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Abbiamo Captain Italia e ha una faccia simpatica

Un film, che non è un piccolo film, richiama attenzione, scalando il successo con calma e placida sicurezza, “Lo chiamavano Jeeg Robot”, ma non è un robot

pubblicato 13 Marzo 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 07:56

Non c’è altro sistema per andare al cinema. Tentare. L’abitudine, sostenuta dai giornali e dai media, è quella di seguire i prodotti con etichette di critici e giornalisti spesso smarriti tra le influenze che subiscono semplicemente appunto per abitudine e pigrizia. Io sono stato attratto dal titolo Lo chiamavano Jeeg Robot suggestionato solo dai manifesti e dal nome di Claudio Santamaria, un attore ancora prestante e giovane che ho conosciuto, e incontrato l’ultima nei corridoi di Cinecittà dove stava girando gli interni di un film di Ermanno Olmi, “Torneranno a fiorire i prati”.

Non mi sono pentito. Ho scoperto che se gli americani hanno il loro Captain America noi possiamo avere un Captain Italia. Senza sbrodolature, enfasi, non professionista, volontario.

La storia del film di Gabriele Mainetti, studente di cinema, con esperienze all’estero, anche d’attore, è presto raccontata. Nel sacco di Roma che continua nella nostra Capitale, bolle la criminalità in piena evoluzione e bolle il silenzio della città che politicamente parlando non sa che pesci prendere. Nel bollore, spunta fuori un ladruncolo che finisce per sfuggire a poliziotti inetti tuffandosi nella cloaca del Tevere. Sotto, nella merda, sfonda il coperchio di un bidone e…

…E acquista una forza da campione da fumetto. Non vado oltre, non voglio sciupare la scoperta della storia che non è banale e l’effetto che fa nella Roma dei giovani assassini che torturano e uccidono con lenta sapienza la loro vittima giovane come loro. Mostri umani troppo umani, nel solco dei delitti che non si spiegano neanche… convocando in tv psichiatri, scrittori, criminologi…

Non posso però non indicare che nel film a un certo punto affiorano prepotentemente i delinquenti professionisti, in carica per rubare ai ricchi vendendo droga e girando (?) i proventi ai bisognosi della sodoma & gomorra napoletana. La lotta diventa continua; e neanche Quentin Tarantino, da cui Mainetti & Soci hanno imparato a memoria, lo professano senza copiarlo troppo.

Basta informazioni. Conta però un altro fatto: che il ladruncolo possente Santamaria (solleva tram e blocchi di cemento, estirpa i bancomat dalle pareti) suscita l’invidia di un cantante detto Zingaro che vorrebbe essere anche lui così possente…

Ed ecco che cosa affiora. La figura di Captain Italia, Claudio, che suggella i passaggi principali. Buono, incapace nell’innamoramento, timido e coraggioso nel fondo della coscienza. Compare e vola. Un eroe. Quando gli va. Sarebbe un disastro, concettualmente parlando. Senonchè il racconto va veloce, incalzante, e soprattutto spiritoso, si sorride e si ride. I paradossi incalzanì e i sentimenti prendono anche loro il volo con l’eroe. Il gioco non cigola, scorre.

Il merito va al regista e alla sua disinvolta bravura, che tenta un tono scaltro ma non pretenzioso, divertente, non rinunciatario.

Vorrei azzardare. Se Checco Zalone sta avendo successo con il suo personaggio di “idiot savant”, l’idiota saggio, che denuncia leggero il peso veramente idiota di uno stato opaco, inesistente, pasticcione; Claudio Santamaria è un Captain, una sorta di Superman in sandali, senza travestimenti. E’ meno imbranato di quanto sembra (l’imbranataggine è comunque una importante risorsa), e ha la faccia da buono tagliata da spinte e reazioni istantanee contro crimini e criminali. Mi ha ricordato, pensate un po’, Raf Vallone, il campione umano del neorealismo. La faccia, la mimica di Claudio sono però una maschera di sfiducia, le reazioni le medita poi si scatenano, trasmettono di giustizia immediata, energia, voglia di vivere alla meglio, nella Capitale Mafia che muore (forse). Ecco l’Eroe qualunque. Ci aiuterà?