Home Berlinale - Festival internazionale del cinema di Berlino Le ereditiere, recensione: la risalita di una donna tra ossessioni e privilegi

Le ereditiere, recensione: la risalita di una donna tra ossessioni e privilegi

Le ansie e le difficoltà di una non più giovane donna in una società paraguaiana che cambia. Le ereditiere parla di amore e ossessione, e di come tutto questo abbia a che fare con la parabola di una donna costretta a voltare pagina quando sembrava non ce ne fosse più bisogno

pubblicato 19 Ottobre 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 16:23


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Borghesia paraguaiana, diversa dalle altre eppure così simile; un po’ come se certe dinamiche si fossero manifestate in leggero ritardo, tenendo conto delle specificità di questo Paese, malgrado un fenomeno che un po’ dovunque si somiglia, passa da step analoghi. Qui Chela e Chiquita vivono in un lussuoso appartamento, ad Asuncion; circondate da oggetti i quali, più che il valore affettivo, rammentano uno status, la provenienza agiata, quella sorta di “grandezza” trasmessa da chi è venuto prima di loro. Qualcosa di cui non c’è più traccia, quasi come avere un morto in soggiorno.

Le ereditiere indugia su questa parte di società al tramonto, che malgrado tutto resiste, non vuole arrendersi all’idea che la Storia stia avendo il sopravvento. Chiquita riceve una lettera attraverso cui le viene comunicato che dovrà recarsi presso un carcere di zona per via di una frode fiscale: comincia la parabola di Chela. È lei, Chela, la vera protagonista, attraverso di lei si materializzano quelle che in fondo sono le istanze di un film piccolino in tutti i sensi, eppure piuttosto eloquente.

Per tutto il film, verrebbe da dire, non accade nulla, ricorrendo a un certo modo di accostarsi che non va tanto per il sottile. Eppure è vero: la macchina da presa segue Chela che fa cose, stando per lo più in silenzio, quasi subendo gli eventi. Eventi che nondimeno cerca goffamente d’indirizzare, lei che, per la prima volta da non so quanto, magari da sempre, deve imparare a stare al mondo, arrangiarsi. È interessante il fatto che Martinessi non appiattisca il suo racconto su argomenti scontati come l’argent, la pecunia, i soldi, bensì resti focalizzato sul percorso di una donna matura ma che per certi aspetti è rimasta un’adolescente.

Uno degli effetti di questa bolla che si viene a creare in un contesto così ovattato, fatto di etichette, di chiacchiere da cortile e giudizi tranchant, è proprio quello d’impedire a chi se ne trova coinvolto di crescere sul serio; certi meccanismi, certi schemi diventano perciò il limite per eccellenza, quello che impedisce il passaggio all’età adulta, la quale, più di ogni altra cosa, si distingue per essere quella in cui non soltanto si prendono delle decisioni ma ci si assume la responsabilità dinanzi a esse, piaccia o meno. A Chela tutto ciò manca, i soldi non c’entrano nulla; anzi, segue da vicino la svendita di mobili e accessori, epilogo al quale non possono più sottrarsi. Più che una questione economica diventa un modo per allenarsi a relazionarsi appunto con degli adulti, che sono tali in quanto, per la prima volta, hanno interessi diversi dal benessere di Chela, personali.

Tutto a quel punto diventa contrattazione, non tanto con le persone bensì con la realtà. Fuori dal guscio Chela deve cavarsela come meglio può, senza consigli o difese da parte di chi o cosa fino a quel punto le ha risparmiato la possibilità di sbagliare. Al tempo stesso, però, Martinessi non prende le distanze, trattando con sufficienza questi discutibili profili: un equivoco in cui cadono spesso parecchi cineasti quando si tratta di raccontare storie del genere sta nel descrivere certi personaggi con velato disprezzo, oppure, altra faccia della stessa medaglia, con accondiscendenza.

Ne L’ereditiere, che è storia di una risalita, Chela è quel personaggio che all’inizio è impossibilitata a fare ciò che deve fare, e che dunque ha bisogno di un confronto tangibile con ciò che vorrebbe/dovrebbe essere. Angy, in tal senso, incarna esattamente lo strumento di cui Chela ha bisogno: giovane, disinvolta, diversa dalle altre donne che Chela bazzica in quell’ambiente. Ne è profondamente attratta, un tipo d’attrazione che per buona parte del film si risolve in pulsione sessuale, brama di possederla, sebbene alla fine si capisce che non si sta parlando né d’infatuazione ma nemmeno di amore, come fin lì adombrato; Chela non ha bisogno di Angy ma di diventare ciò che quest’ultima rappresenta ai suoi occhi.

Un discorso che emerge molto lentamente, mediante lunghe inquadrature con scarsa profondità di campo, proprio a rimarcare l’intimità di un processo che, in quanto per lo più interiore, va vissuto tenendo d’occhio principalmente i personaggi e non ciò che li circonda. Quello di Martinessi è il classico cinema da cui alcuni possono addirittura ricavare una certa soggezione, per via della sua precisione, l’economia di espedienti, che quasi non ci sono, il chiaroscuro della fotografia, quel cercare di trarre il massimo da ogni singola scena anziché imbottirle, finendo col riempirci senza ragione. Un character study molto minimalista, con un’ottima protagonista, che ci trasmette qualcosa d’importante su uno spicchio di realtà specifica, senza però rinunciare a restituirci al contempo quella più importante, relativa a una donna chiamata ad affrontare una serie di sfide notevoli, dinanzi alle quali è finalmente sola nell’accezione più radicale del termine.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7″ layout=”left”]

Le ereditiere (Las Herederas, Paraguay, 2018) di Marcelo Martinessi. Con Patricia Abente, Margarita Irun, Ana Ivanova Villagra e Ana Brun. Nelle nostre sale da giovedì 18 ottobre 2018.

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