Bohemian Rhapsody di Bryan Singer: Recensione in Anteprima
Dopo anni di attesa e infiniti stravolgimenti produttivi arriva finalmente al cinema Bohemian Rhapsody di Bryan Singer.
10 anni per tramutare una mitologica storia musicale in film. Persi per strada Peter Morgan, Sacha Baron Cohen e Ben Whishaw, la vita dei Queen e del leggendario Freddie Mercury è finalmente diventata lungometraggio grazie a Bohemian Rhapsody, titolo diretto da Bryan Singer.
Il regista degli X-Men e de I Soliti Sospetti, in realtà, è stato licenziato dalla Fox per divergenze creative a riprese quasi concluse, con Dexter Fletcher chiamato in sua sostituzione ma di fatto escluso da quei titoli di coda in cui troneggia Rami Malek, 37enne diventato celebre in tutto il mondo grazie alla serie tv Mr. Robot.
E’ Malek, di origini egiziane, a riportare in vita Mercury, con annessi baffoni e dentoni finti, affiancato per l’occasione da Ben Hardy (Roger Taylor), Joseph Mazzello (John Deacon) e Gwilym Lee (Brian May). Il film di Singer inizia e si conclude sul palco del memorabile Live Aid del 1985, che vide i Queen fare la storia con un’epica scaletta che recitava Bohemian Rhapsody, Radio Ga Ga, Hammer to Fall, Crazy Little Thing Called Love, We Will Rock You e We Are the Champions. Nel mezzo la nascita di una band, di una famiglia.
Un biologo, un dentista e un fisico incontrano un ragazzo dello Zanzibar e insieme riscrivono la storia del rock. Sembra l’incipit di una barzelletta ma è da queste premesse che Bohemian Rhapsody prende vita, romanzando e adulcorando fino all’eccesso la cavalcata dei Queen verso la gloria eterna. Tralasciando i tanti, troppi errori storici cronologicamente dettati dall’esigenza di comprimere l’intero film ‘entro’ l’estate del 1985, ciò che stona nell’opera di Singer è l’illogica scelta di tramutare la vita di Mercury, più ‘puttana’ che ‘santo’, in un’esistenza da educanda.
Impossibile tralasciare la parentesi ‘sessuale’ di Freddie, perché il Malek di Bohemian Rhapsody si concentra quasi esclusivamente sullo storico rapporto d’amore prima e d’amicizia poi con Mary Austin. L’omosessualità del cantante viene praticamente dipinta come una ‘casuale parentesi’, un’esperienza passeggera, fugace, che vede Mercury sperimentare dopo l’apparizione di un camionista in un autogrill. Falso, storicamente parlando. Solo nel finale, con inconcepibile ritardo, il film si ricorda di Jim Hutton, ultimo storico fidanzato di Freddie, rimasto al suo fianco fino alla sua morte. Non a caso nel Regno Unito è subito montata la polemica ‘straight-wash’, perché Bohemian Rhapsody ci racconta un Freddie clamorosamente trattenuto, frenato, quasi ‘disneyzzato’ rispetto a quello che hanno raccontato i tabloid dell’epoca a cadenza praticamente settimanale, tra festini a base di sesso, alcool e cocaina.
Singer presta attenzione soprattutto ad alcune celebri esibizioni live dei Queen, perfettamente ricreate (perfetta e coinvolgente quella del Live Aid), ma tolto l’effetto Tale e Quale Show ciò che resta è un biopic fasullo, perché fastidiosamente smussato e romanzato, che quasi certamente non sarebbe piaciuto in primis al diretto interessato. Patinato e ovviamente trainato dalle iconiche canzoni dei Queen, il film guarda ad Hollywood ma dalla sua parte sbagliata, provando a piacere a tutti ma finendo, inevitabilmente, per non accontentare realmente nessuno. L’ordinario, purtroppo, straccia lo straordinario, che avrebbe dovuto abbracciare un uomo come Mercury, privatamente complesso e pubblicamente strabordante.
Enorme il lavoro di Rami Malek sulla fisicità di Freddie, sui suoi movimenti da palco e sulla mimica, ma è chiaro che al cospetto di un simile mostro era pressoché impossibile riuscire a replicarne anche il carisma, praticamente inarrivabile.
[rating title=”Voto di Federico” value=”5″ layout=”left”]
Bohemian Rhapsody (biopic, musicale, 2018) di Bryan Singer; con Rami Malek, Joseph Mazzello, Ben Hardy, Gwilym Lee, Allen Leech, Aaron McCusker, Lucy Boynton, Mike Myers – uscita giovedì 29 novembre 2018.