Contromano: recensione in anteprima del film di Antonio Albanese
Pallido ritorno dietro la macchina da presa per Antonio Albanese, che in Contromano non riesce ad alternare leggerezza a gravità rispetto ad uno degli argomenti più caldi di questa fase del nostro Paese
A Mario (Antonio Albanese) non serve granché, essendo una persona semplice e di poche pretese: basta il marocchino che gli prepara ogni mattino il suo barista di fiducia, quello conosciuto trent’anni prima e che da allora non ha mai abbandonato; il contatto “umano” con un impiegato di banca, il suo orticello nel tetto che dà sulla Madonnina. Cosa accade però quando uno dei tanti «amici» stranieri si piazza davanti al tuo storico negozio di calze raffinate e comincia a fermare potenziali clienti vendendogliene a sua volta ma di qualità infima?
Niente, succede che un milanese che ne ha abbastanza e, da bravo cittadino, rapisce il malcapitato con l’intenzione, serissima, di riportarlo al paese d’origine, in Senegal. Sulla targa di Contromano c’è scritto “commedia”, eppure nemmeno alla fine è del tutto chiaro che oggetto sia l’ultimo film di Albanese, o per lo meno a cosa tenda. A fare un discorso un po’ più leggero ancorché puntuale su uno dei fenomeni più controversi di questo periodo? Non so, parrebbe così. Se così fosse però, ahia. Di certo il nostro si tiene a distanza da un approccio becero, tipico delle commediacce che dietro i buoni sentimenti giocano sulla scorrettezza a buon mercato, pessimo atteggiamento di chi dà troppe cose per scontate.
Albanese è un artista sensibile, dopo circa trent’anni di carriera lo si dovrebbe aver capito. Lo è pure quando si getta a capofitto su progetti che insomma, un po’ furbi lo sono, come i vari Qualunquemente, che restano suoi a prescindere da chi siede dietro la macchina da presa. E non appronterò la sterile eulogia di quell’Albanese che, insieme a Cerami, tirò fuori una delle commedi italiane più genuinamente demenziali degli anni ’90 (Uomo d’acqua dolce); questo però per dire quanto in fondo quel Goffredo ci manchi ancora. Non solo. Ci serve pure per evidenziare i limiti dell’Albanese dalla verve contenuta, quando insomma si cimenta in ruoli dai toni più seriosi, o finanche drammatici.
In Contromano, va detto, a pesare parecchio è proprio il modo in cui viene affrontata la tematica, il taglio favolistico del tutto fuori fase, la sin troppa semplicità con la quale ci si accosta. Nell’Italia post-4 marzo, quella dei cosiddetti populisti, della Lega di Salvini al 17%, in cui parlare d’immigrazione, in un senso o nell’altro sembra tabù, un contributo così povero e privo di spunti non si capisce davvero come interpretarlo. Tanto che si è veramente tentati dal rigettarlo, in toto, così per com’è. Ma cos’è che non va?
Mario, il protagonista, è un personaggio costruito quasi senza discernimento, cliché che cammina, coacervo di luoghi comuni da ambo le parti manco fossimo in epoca della più sfrenata Democrazia Cristiana. Il fatto stesso che per tentare di descrivere l’operazione si sia dovuti ricorre già due volte a categorie o allusioni politiche la dice lunga: in Contromano di umanità se ne vede poca. C’è chi dice che i film migliori siano quelli in cui non si capisce da che parte stia l’autore, però insomma, c’è modo e modo. Ed invece un colpo al cerchio e uno alla botte, così sono contenti più o meno tutti (quasi tutti eh, ché alla fine in qualche modo ci si deve pure un po’ esporre).
Oba (Alex Fondja), il senegalese rapito, viene posto dinanzi a una scelta difficile: se te ne vai ti pago io il viaggio, anzi ti ci porto in macchina. Ok, sì, è chiara l’ironia, il sarcasmo sul «aiutiamoli a casa loro» e via discorrendo. Il punto è che non funziona, non incide, se non in negativo. Oba accetta purché con lui possa venire pure la sorella Dalida (Aude Legastelois), ed allora i due, avendo capito di avere di fronte sì un razzista latente (ancora con ‘ste malattie latenti?!) ma che in fondo è pure una brava persona (perciò si può essere entrambe le cose? E come?), decidono di approfittare di questa sua bontà da fesso e farsi a sue spese la vacanza che diversamente non si sarebbero mai potuti concedere.
Albanese prova a raccogliere quelle che in fondo possono essere scambiate per verosimili testimonianze, espressioni e idee che in fondo un po’ tutti andiamo sentendo in giro, del tipo: «a noi ci volete fuori dall’Italia, però le prostitute nigeriane volete che restino eh…» (sic), senonché certo sentire viene evocato ed ancor più integrato così male, con così scarsa attenzione, che davvero non si capisce cosa farsene di tutto ciò. Nemmeno la summenzionata impronta favolistica dà poi ragione del telefonatissimo capovolgimento, quello che vede passare Mario da “decente razzista” a una sorta di eroe umanitario con la passione per il giardinaggio: insomma, dal più inflazionato degli imprenditori brave persone, tristi e noiosi, onesti finché non si tocca l’argomento «stranieri», al modello non meno incasellato di uomo di sinistra con la passione per l’esotico e la maglietta di Emergency. La realtà, va da sé, è più complessa, ma non è questo il problema. Il problema è che uno scenario del genere dovrebbe porsi in funzione di qualcosa, mentre invece, se si sorride, lo si fa malgrado non grazie a certe uscite; quanto al riflettere, beh, non si va oltre le premesse.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”4″ layout=”left”]
Contromano (Italia, 2018) di Antonio Albanese. Con Antonio Albanese, Alex Fondja, Aude Legastelois, Daniela Piperno e David Anzalone. Nelle nostre sale da giovedì 29 marzo 2018.