Cannes 2020, Thierry Frémaux si esprime su Festival online e collaborazione con Venezia
Ecco perché secondo Thierry Frémaux non ha senso presentare i film di Cannes online
Dopo che anche la possibilità di spostare tra giugno e luglio l’edizione di quest’anno è definitivamente sfumata, serviva che qualcuno ci mettesse la faccia. Ed è stato infatti così; a mettercela è Thierry Frémaux, direttore artistico del Festival di Cannes, che ha rilasciato un’intervista a Le Figaro, mettendo ordine, o quantomeno dando un senso a ciò che potrebbe accadere nei mesi a venire.
Intanto già ai microfoni di Variety Frémaux aveva anticipato che guardare all’autunno è inevitabile, sebbene anche a tal proposito al momento si può per lo più speculare. Intensa la comunicazione con Alberto Barbera, direttore della Mostra di Venezia, con il quale pare vi sia una certa convergenza nell’ottica di uno sforzo congiunto, anche se ancora è difficile dire in che termini. Questo perché pure Venezia, quantunque ancora lontana di mesi, non può dirsi al riparo da questa infame situazione. Anche Locarno, San Sebastian e Deauville, si sono detti disponibili ad escogitare insieme un piano, gesto che Frémaux ha trovato toccante.Tornando all’intervista concessa al noto quotidiano transalpino, il direttore artistico di Cannes ribadisce quanto espresso nel comunicato ufficiale del Festival, evidenziando che allo stato attuale non c’è granché altro da fare. Le dichiarazioni più interessanti ci sembrano invece quelle relative alla ventilata possibilità di un Festival online, un’edizione digitale insomma, come per esempio, proprio in Francia, sta provando a fare Annecy. Qui Frémaux è categorico.
No, Cannes è un festival, un’assemblea, un giudizio collettivo, un’influenza. Proiezioni, acclamazioni, fischi e tutto il resto. Quando un film viene presentato sulla Croisette viene applaudito, ricompensato, venduto, comprato, distribuito. Ricordiamoci di Parasite. Il valore aggiunto di questa cornice è insostituibile: oso dire purtroppo, data la situazione in cui ci troviamo.
Come contraddire tali esternazioni? Chi scrive lo ha rilevato tempo addietro, senza la pretesa di dirsi originale. Chiunque abbia partecipato all’esperienza condivisa che chiamiamo Festival, in specie Cannes, sa che, nel bene e nel male, nel suo convergere in quel luogo, nel corso di quelle specifiche due settimane, trova la sua ragion d’essere, la condizione indispensabile che giustifica non solo sé stessa in quanto manifestazione, bensì, inscindibilmente, la presenza di quei film che intende sottoporre.
Potremmo stare ore e ore a discutere in merito ai pro e ai contro di un evento così globale, che non si esaurisce certo nel proiettare film, quantunque di rilevanza internazionale; quel che è chiaro a priori è che a certi livelli non si può pensare che un eventuale trasferimento sulla rete sia una soluzione anche solo accettabile. Dopo magari sì, quando il rito si è svolto e ha avuto luogo, allora quella dicitura “Selezione Ufficiale” può avere un senso. Discorso articolato, le cui premesse però sono queste ed è un problema ribaltarle.
D’altro canto la questione va ascritta ad un dibattito più annoso, che vede proprio il Festival di Cannes uno dei principali attori, con riferimento alla diatriba non del tutto rientrata, ma solo diplomaticamente lasciata in sospeso, con Netflix. Il cinema come luogo, la sala come tempio, è una battaglia che si combatte da tempo ed in rapporto alla quale i suoi promotori non vengono certo colti di sorpresa a fronte di questo estremo stravolgimento. La differenza, rispetto a prima, è che la battaglia per la visione di film quale esperienza condivisa, con al centro la sala, non quale luogo esclusivo ma di certo privilegiato, potrebbe inserirsi in quella più ampia e di portata potenzialmente epocale attraverso cui, di qui a breve, molti rivendicheranno il diritto ad una normalità che, per quanto graduale, dovrà comunque essere perseguita con ogni mezzo. Se non saranno gruppi o persone, ad esigerlo sarà la vita, in un modo o nell’altro.