Torino 2017, Mary Shelley: recensione in anteprima
Quella di Haifaa Al-Mansour è una Mary Shelley che funge più da introduzione alla tormentata vita della scrittrice, pur nondimeno indovinando alcune cose che consentono a questa trasposizione di restare a galla
Figlia di un libraio, Mary (Elle Fanning) si diletta coi racconti di fantasmi; Letteratura di serie B, secondo il padre, che invece la incoraggia a bazzicare capisaldi di ben altro spessore, integrando il consiglio col vecchio adagio secondo cui chi legge ha il mondo tra le mani. Ma lei insiste, trovando certe letture irresistibili. Periodo di grande fervore positivista quello in cui è calata l’esistenza di Mary Shelley, con quel Romanticismo non meno incalzante incarnato dal personaggio di Lord Byron, presso la cui maestosa magione Mary ed il futuro marito soggiornano per un breve periodo.
Il film della Al-Mansour è mosso da duplici istanze: da un lato quelle ineludibili di un femminismo nascente, di cui per certi versi la sua Mary è pioniera, santa e martire laica sacrificata alla causa; dall’altro la protagonista serve a bilanciare questi due moti che meglio descrivono e contraddistinguono la cultura dell’epoca, a volte intrecciati, ossia la fede assoluta nella scienza e la visione più sregolata, viscerale dei romantici. La Shelley si trova a metà strada, in una sorta di punto d’equilibrio tra i due eccessi; spettatrice e attrice degli eventi che la travolgono, dall’innamoramento con Percy Shelley e poi su fino alle difficoltà sperimentate a seguito dello scandalo che tale coppia costituiva agli occhi dei salotti buoni di quella Londra lì.
Certo che il tutto è trasposto forse in maniera un po’ troppo marcatamente letteraria, quasi che questa lente fosse non dico l’unica ma anche solo la privilegiata per dar ragione di cosa portò alla creazione del celeberrimo Frankenstein. In questo senso alla regista saudita viene meno l’abilità d’imprimere un’idea di cinema se non forte quantomeno netta, sulla qual cosa incida la già incerta sceneggiatura, alla quale forse andava corrisposto un taglio meno tradizionale, classicismo, se così possiamo definirlo, nel quale il film in certi passaggi va (s)cadendo.
A tutto ciò però viene opposto un tenore che consente a questa storia di reggere, malgrado tutto, espressione di un contributo notevole sia dal punto di vista foto e scenografico, sia in virtù di prove accettabili da parte dei giovani attori. Sembra infatti quasi un teen-movie Mary Shelley, roba alla quale non si crederebbe se non si avesse modo di confrontare l’anagrafe dei protagonisti con quella delle controparti reali. Storie di vita bruciate troppo in fretta, se si pensa, per esempio, che Frankenstein la Shelly l’ha scritto quando ne aveva diciotto e che il marito Percy morì a soli ventinove anni, quando già i due ne avevano passate di tutti i colori e vissuto parecchio tempo insieme come coppia finalmente sposata.
Non giova a nessuno, in certi casi, forzare le cose con improvvidi paralleli, men che meno al film, che più di tutti ne risentirebbe. Non ci si deve infatti aspettare un trattamento analogo, pur con i dovuti distinguo, tra le due operazioni, ossia quella della Shelley reale, che incapsula la propria esperienza in un racconto pressoché senza difetti, e quella della Al-Mansour, il cui compito era non meno arduo, per certi versi impossibile se interpretato a priori in questi termini. Riuscire a mantenere il radicalismo di fondo rispetto al personaggio al quale si attinge è certo opera meritoria, oltre che auspicabile, ma che non può essere pretesa a tutti i costi, pena il gettare tutto dalla finestra. Mary Shelly (il film) in tal senso si limita al ben più modesto ma non meno prezioso lavoro d’introduzione, che non esaurisce ma nemmeno mortifica la fonte. Salvo non essere stufi di certa impronta teatrale, altra fattispecie nella quale comunque la regista non indulge più del lecito.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”6″ layout=”left”]
Mary Shelley (USA, 2017) di Haifaa Al-Mansour. Con Elle Fanning, Bel Powley, Maisie Williams, Tom Sturridge, Douglas Booth, Joanne Froggatt, Stephen Dillane, Ben Hardy, Ciara Charteris e Hugh O’Conor.