Venezia 2017, Non è una nuova era, ma il cinema paga il pizzo alla tv
Sono sempre stato convinto di una collaborazione tra cinema e tv purché non sia punitiva. La punizione può capitare in infiniti modi. Ogni giorno si verifica qualcosa sotto gli occhi di tutti ma non viene abbastanza sottolineato. E così accade che la tv, le tv. si mangiano pezzo a pezzo il cinema rispettato solo quando è library, ossia cinema di magazzino passivo, comodo, svuotato.
Alla Mostra non mancano i film finanziati dalla tv, dalle tv; accade da anni, nessuno trova da ridire, è giusto, spesso i finanziamenti sono operazioni corrette, mescolanze di stili e di contenuti interessanti. Quest’anno a Venezia le tv, sul piano della comunicazione, hanno fatto una comunicazione ordinaria, senza acuti; come se i rapporti informativi si siano riducendo in idee e in quantità di spazi. E’ importante rilevarlo, forse qualcosa sta cambiando in profondità: le tv snobbano il cinema perché lo stanno inghiottendo. Chissà.
In questi giorni è stato presentato a Venezia un film italiano con l’insegna di RaiCom. Titolo “Ammore e malavita”, registi i fratelli Manetti Bros, inventivi, impegnati su vari fronti per fare proposte attraenti, che hanno lavorato sia per la tv che per il cinema distintamente.
Non appena sono comparse le prime immagini è stato subito chiaro che testi e musiche erano, forse, stati suggeriti dalla voglia di fare un musical, e non solo perché a Venezia ha vinto di recente “La La Land”, Leone d’oro, e poi anche Oscar.
La ragione sta nel fatto che un genere tradizionale come il musical sfondò con un successo nel mondo con la comparsa del sonoro (1929) e di affermazione in affermazione rimane nel cuore di chi fa il cinema e di chi lo vede.
“Ammore a malavita” è tutt’altra cosa da “La La Land”, premiato da altissimi incassi, ma non lo imita, ne prende atto, cerca un piglio sorridente. La storia parte dalla sostituzione di un capo camorra con un sosia,ucciso appositamente, per togliere il boss da ogni insidia giudiziaria e regalargli una nuova vita con la moglie.
Una trovata tipicamente teatrale che però si fa cinema con ritmo e passione, sia per merito degli sceneggiatori e dei registi, sia per la bravura degli attori (in primo piano Claudia Gerini). Alla prima prova, la proiezione del Palazzo del cinema veneziano, è stata costellata di adesione, simpatia, risate e solidarietà nello sviluppo di canzoni inserite come nei musical d’antan (e “La La Land”) nelle scene in corso.
Non una trovata ma una proposta artistica sostenuta da parole e musica non banali, anzi al contrario, spiritose, allusive, satiriche. Gran divertimento e adesione. Ma quando il finale sta per congedare il film, gradevole e riuscito nei limiti che s’impone, ecco che compare un’aggiunta inattesa (pare condivisa dagli autori), una sorta di nuova conclusione in cui il racconto viene svuotato del suo contenuto (i paradossi della malavita, caricaturali, ricche sparatorie persino comiche). ll pubblico ,felice fino a quel momento non approva. Si divertiva, il divertimento gli risulta stoppato, in parte ridotto. Peccato. Un finale per evitare rischi nell’intrecciare commedia e violenze plateali, con un inneggiare all’amore nel nome di Napoli? Chissà…timore per il pubblico della tv…Non saprei dire, non voglio pensarlo.
A proposito della tv e del suo uso del cinema, nella stessa giornata a Venezia è stato presentato un film australiano dal ritmo lento e serioso, “Sweet Country”, capacità recitative, impegno civile nella Australia della schiavi. Ecco un film da library, ovvero passivo, destinato a campare nel tempo nella polvere del tempo, copia risaputa di tante pellicole…
E’ possibile pensare, fare un cinema capace di tenere insieme temi aggiornati e forme capaci di non da archivio con cautela esagerata non aggiunta, complici gli autori?