Venezia 2017 – Giornate di contrasto: Davide non ce la fa con Golia
La promessa della Mostra di presentare un’adeguata serie di film, per quando riguarda il concorso bisogna rimandarla: “Una famiglia” di Sebastiano Riso, usando una volta tanta la metafora calcistica, ha fatto la figura della nazionale di Ventura. L’ America con “Three Billboards Ebbing , Missouri” di Martin McDonagh è più forte della Spagna
Il concorso della Mostra presenta a volte dei contrasti stridenti, pericolosi. Quest’anno ancora più pericolosi in quanto quattro film su ventuno sono stati inseriti come esplicito, convinto, persino condivisibile, tentativo di forzare una situazione critica, e dimostrare che nuoni registi si preparano a rimpiazzare le forti generazioni del passato (da Visconti- Fellini ai Bertolucci, Taviani, Risi, Comencini, Monicelli e tanti altri). Bisognerà attendere, il primo confronto non è andato bene.
Non mi schiero, mai schierato, con gli stroncatori di professione, i cecchini che vengono al Lido non per scrivere sensate ma per sparare nel mucchio, con una insistenza e una violenza tali che forse hanno spiegazione in un livore vecchio e nuovo, qualcosa di volgare che travolge chi spera di essere valutato almeno con misurato rispetto. Gli esempi anche recenti alla Mostra non sarebbero pochi.
Questa volta la vittima è “Una famiglia” di Sebastiano Riso che propone una rappresentazione diciamo noir della “ endita” a Roma di bambini a chi non riesce ad adottarli, come può capitare anche alle coppie omosessuali. E’ uno dei temi di questi anni, importante, delicato, esposto a correnti terribili di superficialità.Insomma, difficile, difficilissimo. Anche per il regista e il suo compagno che condividono questo desiderio. Riso non riesce a decollare, sciupa il tema, un grande tema.
L’altro film, il Golia, è formidabile. Non si possono fare paragoni. “Three Billboards Ebbing, Missouri” di McDpnagh, ammiratore dei fratelli Coen, presenta ancora una volta uno squarcio della vita della cosiddetta provincia americana, una fonte di odi e crimini, in questo caso lo stupro di una ragazza con relativa atroce uccisione.
La polizia non cerca come dovrebbe e la madre dalla ragazza fa issare tre enormi cartelloni pubblicitari per ricordare a tutti quello scempio, facendo il nome dello sceriffo che la madre accusa di avere sospeso la indagini. Non un argomento nuovo, quello delle indagini rimaste nel cassetto.
Ma il confronto tra i due film non è questione di novità, bensì di qualità. “Una famiglia” balbetta nella immagini, anche se il regista non è uno sprovveduto, e nella sceneggiatura: racconta a singhiozzi, passa di fatto in fatto con ritmi incerti , rapida rozzezza. Non riesce a fissare le psicologie dei personaggi, tutti quanti: dalla ragazza al tipaccio che la mette incinta e vende il “prodotto”, alla coppia degli omosessuali che desidera il figlio. Il grottesco violento domina, sciacia la sensibilità e la denuncia. Non so come reagirà il pubico…Il film non va a fondo, scivola e si sfalda soprattutto nel finale.
“Three Billboards Edding” è invece incalzante, sorprendente, nel ritratto dei personaggi, non vuole fare lezioni, guarda e illumina una realtà di violenza che lascia qualcosa: una crisi profonda dei personaggi, una manciata di insensati e di oppositori pronti a tutto per avere giustizia.
E’ l’America del cinema che non sbaglia nella compattezza, nello stile; può anche andare terra terra , non elevarsi nei contenuti, persino giocare con “caricature” dei personaggi che non fanno tanti complimenti con le armi e con il fuoco da appiccare… Ma mai tradisce la ricerca, riuscita, del linguaggio. America First!, ancora in Venice.