Hedi: recensione in anteprima del film in Concorso a Berlino 2016
Opera generazionale, Hedi di Mohamed Ben Attia ci parla di (quasi)trentenni d’oggi, alle prese con un mondo diverso rispetto a quello a cui sono abituati, e perciò in balia dei propri desideri
Rym: Se non fosse per il lavoro resterei per sempre a Mahdia.
Hedi: Anch’io.
Parabola di un amore impossibile, o forse semplicemente impraticabile. Hedi Barrak è un agente di vendite tunisino che lavora per la Peugeot. Mancano pochi giorni al matrimonio combinato con la bella Kahdja, frutto di tanto lavoro da parte della madre di Hedi, che ha letteralmente pensato a tutto. Anche troppo.
Un’esistenza apparentemente vissuta all’ombra di questa madre/matrona, che dopo la morte del marito si è caricata su di sé il ruolo di capo famiglia. Hedi è insoddisfatto, scoraggiato; nel tempo libero lavora al suo fumetto, disegna pure a lavoro, a tal punto gliene frega di vendere macchine. Finché un giorno non viene mandato a Mahdia per dei colloqui con alcuni rivenditori e lì, nel villaggio turistico in cui soggiorna, conosce Rym, una delle animatrici.
È amore a prima vista. O per meglio dire, un colpo di fulmine che segna entrambi: qualche maldestro scambio di battute, poi un bagno a mare e dritti in camera da letto. Ma come tutte le passioni precoci, di quelle che bruciano le tappe, anche questa è una fiamma destinata a bruciare troppo in fretta.
Per Hedi, Rym rappresenta la sveglia, l’amaro pedaggio per passare allo step successivo. Non si direbbe, e forse è ingeneroso per entrambi porla in questi termini, eppure è così. Lo è per Rym stessa, sebbene la sua vita entri di striscio, sfiorata appena nella misura in cui si tocca per un attimo con quella di Hedi. I due vivono una passione travolgente, qualcosa che è più di una semplice infatuazione.
Il punto è che entrambi si ritrovano ad un punto morto nelle rispettive esistenze: lui, convinto che tutto ciò che sta vivendo sia un mero artificio della madre, mentre in realtà desidera qualcos’altro; lei, poco più grande, nient’affatto convinta di voler passare il resto della sua vita passando da una struttura alberghiera all’altra. I due s’incontrano e, confusi come sono, scambiano l’altro per la soluzione ai rispettivi problemi.
La scrittura di Ben Attia è semplice, diretta, anche molto onesta. Evita inutili fronzoli, cercando da subito di andare dritto al cuore della questione. Ed è indicativo il fatto che in alcuni passaggi si riesca anche a sorridere, perché certe volte anche le situazioni più insostenibili celano un lato comico. Limpidezza, questa, che reca scritto il finale già all’inizio; perché sappiamo come andrà a finire questa storia, il cui epilogo non può che essere uno solo. Al momento ci sembra una “debolezza”, ma non è detto che chi scrive non abbia torto: d’altronde questo parrebbe essere il dazio da pagare se s’intende essere così schietti.
Non fa specie che i fratelli Dardenne si siano interessati al progetto, che dal particolare di questa complessa vicenda che riguarda i due infatuati, svela qualcosa in più sul contesto generale. Un ambiente su cui non ricade alcun giudizio, perché la disamina sa essere lucida, senza cedere a ragionamenti semplicisti. Si soffre davvero per la condizione di Hedi, così come quella di Rym non lascia indifferenti. Ma ciò che assesta il colpo più duro è forse non riuscire a dare un nome esatto a tale inquietudine, che in fondo, con i dovuti distinguo, coinvolge buona parte dei trentenni o giù di lì di oggi.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”7.5″ layout=”left”]
Hedi (Inhebbek Hedi, Tunisia/Belgio, 2016) di Mohamed Ben Attia. Con Mad Mastoura, Rym Ben Messaoud, Sabah Bouzouita, Hakim Boumessoudi e Omnia Ben Ghali.