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Cannes 2017: Jupiter’s Moon – recensione del film di Kornél Mundruczó

Festival di Cannes 2017: un regista troppo innamorato della propria idea finisce con l’appesantire un film delicato come Jupiter’s Moon, a cavallo tra istanze sociali e soprannaturali

pubblicato 20 Maggio 2017 aggiornato 28 Agosto 2020 06:09

Aryan è un giovane siriano che arriva in Europa a bordo di un barcone. Giunto al confine con l’Ungheria è il delirio: la polizia comincia a sparare, la barca si ribalta (lasciate perdere i riferimenti geografici, dato che non c’è mare a bagnare il Paese; ma magari è un fiume), cadaveri che galleggiano, urla, gente che prova a scappare da ogni parte senza avere la più pallida idea di dove si trovi. Aryan riesce a dileguarsi per un po’, finché non si trova faccia a faccia con un poliziotto: due colpi al petto e via. Quanto accade dopo ha dell’incredibile: delle gocce di sangue cominciano a fluttuare come se fossimo nello spazio, in assenza di gravità. Il giovane comincia a sua volta a levitare, rimanendo in aria per un po’. Aryan è vivo. E vola.

Mundruczo sta sul pezzo e tratta la scottante questione relativa alla crisi europea degli immigrati protendendosi verso il soprannaturale. Istanze sociali e metafisiche si mescolano in Jupiter’s Moon, al quale senz’altro va riconosciuto di osare; solo, viene da domandarsi, a che pro? A tratti il film sembra poggiare interamente su un trick visivo e quello soltanto, ossia evidentemente la levitazione del protagonista, di cui un dottore sgangherato e pieno di problemi si serve per fare un po’ di soldi facili. Però, sul serio, il regista ungherese appare sin troppo innamorato alla propria idea, a tal punto da reiterarla senza però riuscire a trovare la chiave giusta per raccontarci questa vicenda.

Torno a dire, apprezzabile il tentativo di affrontare la questione, su cui uscirsene con qualcosa d’interessante o anche solo sensato si fa sempre più fatica, da una prospettiva più anomala, permeando di soprannaturale una serie di episodi di per sé debolucci. O per lo meno, debole è il loro insieme, anche perché in realtà Mundruczo riesce ad infilare alcune accattivanti sequenze, non solo inerenti alla fattispecie di cui sopra. In alcuni punti infatti Jupiter’s Moon vira al thriller, genere che per l’appunto ingloba, e le migliori scene sono girate in pianosenquenza, per lo più fughe, in auto, per le scale e via discorrendo. La stessa levitazione, la quale ricorre più e più volte, ha un impatto visivo notevole; solo, tolto lo stupore iniziale, né la sovraesposizione né le ragioni per cui vengono inseriti questi passaggi ne giustificano la presenza.

Eppure Mundruczo ha le idee anche troppo chiare. Il ragazzo siriano si chiama Aryan e si trova a scappare da un corpo di polizia zelante, che ubbidisce a leggi, stando a quanto vediamo, anti-immigrato, è figlio di un carpentiere ed in generale ha un’aria da unto del Signore. Dice infatti di avere una missione sebbene la cosa venga un po’ lasciata nel vago; il dottore che prima si approfitta di lui, per poi affezionarcisi, ad un certo punto lo dice chiaramente: «so perché sei qui… per ricordarci di guardare in alto» (sic). Esatto. Altro limite non da poco sta infatti nei dialoghi, tra le cui righe compaiono anche uscite come: «non c’è rifugio dalle ferite della storia», che sono sentenze che ci piovono addosso un po’ a casaccio.

Jupiter’s Moon soffre insomma di questa pesantezza dovuta all’affezione del suo regista per certe sue intuizioni, qui molto più centrali e ricorrenti che nel suo film precedente, White God. Come ravvisato in apertura, si apprezza il tentativo di sottoporre uno scorcio atipico in merito all’argomento, sebbene si rimanga interdetti per la mancata quadratura del cerchio, che specie a tre quarti di film, quando oramai si è capito che da lì non si muoverà più, comincia a pesare non poco. D’altro canto si tratta di una variazione sul medesimo tema, rispetto al già citato lavoro precedente, perciò d’ora in avanti ci si aspetta che Mundruczo si confronti con tematiche diverse anziché declinare la stessa in modo differente. Il coraggio non dovrebbe mancargli.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”5″ layout=”left”]

Jupiter’s Moon (Ungheria, 2017) di Kornél Mundruczó. Un film con Mónika Balsai, Merab Ninidze, György Cserhalmi e Zsombor Jéger. Concorso.

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