Warcraft – L’inizio: recensione in anteprima del film di Duncan Jones
Di orchi e umani. Meno epico del dovuto, Warcraft secondo Duncan Jones è opera derivativa, in cui però il mestiere è tutto. Una macchina capace di preservare certo spirito, offrendo un’esperienza che, pur non segnando alcuna rottura, coglie gli elementi giusti
Il mondo degli orchi è oramai perduto, perciò l’unica via per garantire la sopravvivenza della razza è quella di conquistarne un altro. Lo sciamano Gul’dan guida quest’orda attraverso un portale che conduce ad Azeroth, il cui regno umano è governato dal giusto Re Llane e dalla sua Regina Lady Taria, sovrani illuminati che risiedono nella splendente città di Roccavento. Ma la guerra è lì, a un tiro di schioppo da quel contesto di pace durato fin troppo. Al Re non resta che affidarsi al valente Lothar, fratello della Regina, nonché al Guardiano di Azeroth, il potente Medivh.
Warcraft è però storia di umani quanto di orchi, e sull’altro fronte abbiamo il Capo del Clan dei Lupi Bianchi, Durotan, che sta per ricevere il suo primogenito dalla moglie Draka. Leader saggio, che avverte il peso del destino a lui affidatogli, ossia quello di difendere la sua gente; non a caso sospettoso circa l’operato di Gul’dan, che si serve del Vil, una forza magica soverchiante grazie alla quale lo sciamano è riuscito ad aprire il portale che dà sul nuovo mondo. «La guerra risolve tutto», è una verità incontestabile per gli orchi, a cui credono ciecamente. Ma la guerra è tale solo se si aderisce a un codice, che nobilita e rende veri guerrieri: diversamente non c’è onore. E l’onore per gli orchi è tutto.
Duncan Jones ha avuto un ingrato compito, ossia quello di dare vita ad un franchise dall’equilibrio precario a priori: da un lato i fan della saga videoludica, dall’altro i critici, dall’altro ancora un pubblico vergine, avulso dall’universo creato da Blizzard. Il regista di Moon si destreggia dignitosamente, a dispetto di chi credeva di sapere cosa dire su Warcraft già a partire dal trailer. La sua versione di questo prologo ad un progetto che si staglierà su più episodi rappresenta un discreto inizio, uno di quei rari casi in cui certa dicotomia spiccia funziona anziché no.
Certo, in un mondo in cui esiste Game of Thrones alcuni (molti?) saranno tentati da inopportuni paragoni, tali sia in forza del fatto che quest’ultima è una serie televisiva, sia perché si tratta di due progetti il cui unico denominatore, cioè il fantasy, non è affatto sufficiente a catalogarli nella medesima categoria. Lo sforzo profuso per questa multimilionaria produzione ha forse il demerito di non aver osato, di avere attentamente eluso ogni rischio. È vero ma va altresì riconosciuto che il mix di elementi, per lo più basilari, riesce a rendere il tutto quantomeno godibile. La mancata profondità circa determinate tematiche, che senz’altro si prestavano ad un discorso più ampio e soprattutto sfaccettato, viene almeno in parte compensata dal carattere introduttivo di questo Warcraft; che quindi in tal senso funziona.
Si avverte l’assenza di quel quid capace di rendere il film di Jones non dico indimenticabile ma almeno notevole; tuttavia ci troviamo davanti ad una trasposizione che mantiene il legame con la fonte senza però mortificare qualsivoglia idea di cinema (cosa che quasi sempre avviene coi film tratti dai videogiochi). Non è epico come ci si aspetterebbe, ma è anche vero che l’Epica beneficia di tempi lunghi, non è fatta per respiro corto e didascalie, esito ineludibile.
Magari alcuni si erano fatti una strana idea per via della presenza di Duncan Jones, il quale però non era chiamato a confezionare il fantasy d’autore, bensì un equilibrato prodotto hollywoodiano capace di limitare i danni. E malgrado profili che potremmo definire standard, il suo Warcraft fa presa. Restare indifferenti alla parabola di Durotan, così come ai capovolgimenti di fronte in quel di Azeroth significa alienare questa storia dal suo fondamento principale, il quale, prima ancora che nel videogioco, sta appunto nel Mito.
Mito a cui abbiamo assistito una caterva di volte, ma che, in quanto tale, si presta ad essere reiterato anche in forme canoniche come questa. Malgrado l’assenza di sfumature ed il modo sbrigativo attraverso cui buona parte dei conflitti (interni ed esterni) vengono risolti, emergono ragioni per seguire con passione lo sviluppo della vicenda. Sviluppo che ha almeno il pregio di non dilungarsi, di distillare gli eventi chiave in maniera funzionale, anzi, talvolta addirittura correndo un po’ troppo. Ma è l’epoca a costringere a certe misure, e a questo proposito Warcraft è decisamente figlio del proprio tempo.
La bravura di Jones è stata quella di preservare almeno l’impronta di una saga la cui trasposizione non richiedeva di essere fedele come alcuni fan superficialmente forse pretendevano (c’è solo una sequenza che “scimmiotta” il gameplay, adottando la classica inquadratura di gioco dall’alto); si trattava di cogliere certi aspetti e renderli accessibili, cercando di non smarrire il tutto in corso d’opera. Warcraft costituisce un sufficiente compromesso, spettacolare ma non troppo, sorretto da uno sforzo tecnico notevole e plausibile, i cui soldi spesi si vedono tutti, tra computer grafica e motion capture.
Per farsi un’idea di come si sia riusciti a mantenere tale equilibrio basti pensare all’aspetto visivo, anzitutto a livello scenografico. Il gioco beneficia di una paletta cromatica decisamente più ricca, con scenari molto colorati; bene in un videogioco, meno in un film. Ed infatti qui i toni vengono anzitutto desaturati, laddove possibile, oltre che uniformati in base agli ambienti. Spesso accade che a fronte di un uso massiccio di computer grafica si sottovaluti la credibilità fotografica di un lavoro, che è al contrario la componente principale, quella che chiunque percepisce anche se inconsciamente. Qui l’aspetto in questione viene curato, mettendo in luce una semplice ma tante volte disattesa attenzione verso un elemento così importante.
Si fa presto perciò a squalificare Warcraft come l’ennesimo film mal riuscito tratto da un videogioco, il cui vero, fondato difetto sta semmai nella sua strenua reticenza a concedersi quei rischi che già dal secondo devono necessariamente essere presi di petto; né tantomeno ci si può scagliare contro perché non sposta alcun equilibrio nell’ambito di operazioni di questo genere. No, qui dentro c’è un mondo, uno di quelli che forse conosciamo, forse no; si parla di tradimenti, di Bene e Male perennemente contrapposti, di onore e disonore, di speranza e disperazione. E senz’altro il lavoro di Jones non rappresenta il miglior esempio di tutto ciò. Nondimeno, in ciò che dice e mostra è sorprendentemente credibile.
Sorprendentemente perché i presupposti per un risultato per lo più confusionario e poco ispirato c’erano tutti, mentre il mestiere è ciò che fa la differenza, salvando un prodotto rivolto a tutt’altra sorte. Senza contare che qui, più che in altre occasioni, si ha davvero l’impressione che la tanto vituperata e scoraggiata reazione del singolo sia davvero ciò che fa la differenza; c’è poco da discutere ed approfondire, poiché Warcraft è quello che è. Solo che, da par suo, una mano la tende eccome, tenendosi quanto più alla larga da quella mediocrità alla quale l’opera sembrava essere destinata.
Warcraft – L’inizio ha perciò sì il demerito di non costruirsi un’identità netta e ben definita, ma resta la prova di una macchina che funziona e che sa relazionarsi col Mito prendendo spunto da una tradizione di cinema fantastico dinanzi al quale difficilmente si resta tiepidi. Assaggio di ciò che potrebbe essere, propone almeno un personaggio che varrà la pena seguire (la seducente Garona, orco mezzosangue che ha un ruolo importante), più altri due, Lothar ed il mago Khadgar, comunque intriganti. In grado, al netto dei limiti sin qui elencati, di lasciare più di un qualche spiraglio all’esperienza da vivere, non importa fino a che punto l’intreccio sia prevedibile. Fare le pulci non sempre giova.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”6.5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”5″]
Warcraft – L’inizio (Warcraft, USA, 2016) di Duncan Jones. Con Travis Fimmel, Paula Patton, Ben Foster, Dominic Cooper, Toby Kebbell, Ben Schnetzer, Robert Kazinsky, Daniel Wu, Ruth Negga e Clancy Brown. Nelle nostre sale da mercoledì 1 giugno.