Cannes 2016, The Last Face: recensione del film di Sean Penn in Concorso
Festival di Cannes 2016: il film di Sean Penn è il peggiore dell’intera edizione tra quelli visti, selezione ufficiale e non. Un’opera inspiegabilmente pessima, superficiale e tediosa
La dottoressa Dren Petersen (Charlize Theron) ed il dottor Miguel Leon (Javier Bardem) si conoscono in condizioni limite come quella di una crisi umanitaria in Africa. The Last Face riguarda la loro storia d’amore, per forza di cose tormentata, messa alla prova dalla vocazione di entrambi a vivere in ambienti di guerra, ma in generale dovunque ci sia bisogno.
L’ultimo lavoro di Sean Penn è un film semplicemente indifendibile. C’è tanto di così sbagliato che si fa prima a dire cosa sia andato bene, ossia apparentemente nulla. Tutto ha inizio dai titoli di testa, che ci descrivono questa guerra tremenda che consiste nella strage sistematica di interi villaggi: nel mezzo ci sono loro, un uomo e una donna che si innamorano. Vuoi per le grafiche, vuoi per i tempi con cui viene scandito questo prologo, si resta perplessi (in Lumière il pubblico si è addirittura messo a ridere).
Dren e Miguel si conoscono, si stuzzicano, finché, tra una lavata di denti e qualche boccaccia, non finiscono sotto le coperte. La maniera in cui questo doppio binario non si lega è disarmante: da un lato l’emergenza di un ospedale da campo che accoglie vagonate di corpi feriti, mutilati; dall’altro la melensa relazione di questi due personaggi presi da uno di quei racconti romantici tascabili che si trovano nelle ceste del 3×2.
Nel film si assiste ad una serie di scivoloni a cui si fatica a credere, tanto sono evidenti. Diciamone una, ovvero il reiterato ricorso a Otherside (che sul finire viene pure spiegato, tra l’altro), roba che i Red Hot Chili Peppers dovrebbero quantomeno pretendere che tale traccia venga espunta: il brano fa verso i buoni sentimenti ciò che la nona sinfonia di Beethoven fa nei riguardi della violenza. The Last Face è insomma una sorta di Cura Ludovico di segno opposto, che attraverso l’esposizione compulsiva a cose come umanitarismo, romanticismo et similia, vuole inibire in noi la capacità di essere più umani o più romantici.
Un’altra? Che dire del personaggio di Jean Reno, uno che se ne esce con due frasi tormentone che nemmeno vi riportiamo, ma talmente grottesche e sopra le righe che non si può fare a meno di sorridere nemmeno si stesse guardando uno spettacolo comico. Di quella comicità, inutile dire il contrario, decisamente involontaria, che, specie nel secondo caso, prorompe in pieno apice drammatico: come a dire che non si ha proprio idea di ciò che si sta combinando.
Un discorso che non regge da qualunque prospettiva lo si voglia osservare. A livello politico è povero e pure un po’ offensivo, tale è la superficialità con cui si accosta al fenomeno delle continue guerre in Africa, gettato lì come scenografia e nulla più; quanto alla relazione tra i due dottori, narrativamente centrale, basti pensare che tra la Theron e Bardem non emerge anzitutto alcuna alchimia, sebbene i limiti più invalidanti stiano altrove. Lui, Miguel, che spunta all’improvviso da una parte all’altra del mondo cercando di convincere Dren che sì, non importa se a lui tocca passare buona parte delle sue giornate a ricucire persone mentre in cuffia ascolta Anthony Kiedis, perché lui la ama ed il resto non conta. Non importa poi se, dopo essere per l’ennesima volta tornati insieme, Dren scopre che il suo principe azzurro lo ha tradita per un anno intero, spinto per giunta dall’amore per un’altra donna: il tradimento è più che compensato dal contesto, d’altronde lui di lavoro salva vite umane, perciò. Messaggio velato ma percepibile. Questo è il livello, piaccia o meno.
Un livello che non può che riflettersi sui dialoghi, che a questo punto non si capisce se siano a loro volta sintomo o causa di un simile pasticcio, tanta è la confusione: «quando mio padre è morto sono diventata un surrogato del suo nome» è una di quelle battute che è sufficiente sentirle una volta per capire quanto siano inopportune, quale che sia il contesto, roba che nemmeno i più invisi tra i romanzi sentimentali per adolescenti.
Se a questo aggiungiamo che Penn a tratti sembri non avere la più pallida idea di cosa fare con la macchina da presa, ed un montaggio che si concede finanche taluni vezzi concettuali (scena di sesso -stacco – coccinella che si arrampica su una tenda), beh, ciò che ne esce fuori è davvero scoraggiante. The Last Face non è semplicemente il peggior film visto a Cannes 2016, ma il peggiore da parecchie edizioni a questa parte, al punto da far rimpiangere un The Search a caso. Oltre a candidarsi, va da sé, a peggior film dell’anno in cui uscirà. A questo punto chissà se, come e quando.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”1″ layout=”left”]
The Last Face (USA, 2016) di Sean Penn. Con Charlize Theron, Javier Bardem, Adèle Exarchopoulos, Sibo Mlambo, Jean Reno, Jared Harris, Ebby Weyime, Hopper Penn, Bronwyn Reed, Irina Miccoli, Dominika Jablonska, Christopher Stein, Justin Miccoli ed Oscar Best.