Leonardo da Vinci – Il genio a Milano: recensione in anteprima
Un’ora e mezza per raccontare l’esperienza milanese del genio toscano. Tentativo improvvido ma che vale comunque la pena aver sperimentato. Leonardo da Vinci – Il genio a Milano, se non altro, ci forza ad interrogarci su cosa siano genio e grandezza, ciascuno di noi, che abbiamo smarrito il senso di entrambe
«Come sta la luna?». Le ultime parole di Leonardo furono analoghe a quelle del Federico Fellini regista, sebbene quest’ultimo guardasse alla Luna per interrogarla, mentre il genio toscano intendesse letteralmente studiarla. «Un naturalista, altro che esoterico!», avverte il professor Vittorio Sgarbi, bacchettando tutti quelli che dietro al suo operato c’hanno visto oscuri messaggi per pochi eletti: inutile tentare di trincerarne la grandezza nell’angusto e mortificante spazio di un’etichetta. Tanto più vera tale affermazione, se si pensa al Leonardo da Vinci milanese, che qui lasciò ben altro che il solo Cenacolo. Anzi, la nota parabola del capolavoro di Santa Maria delle Grazie si fa in qualche modo metafora dell’esperienza nel capoluogo lombardo: sbiadì subito quell’affresco perché del soggiorno milanese non il Leonardo pittore venisse ricordato, bensì quello che alla Città della Madonnina tanto diede sotto altri aspetti.
Con queste ed altre parole Leonardo si presentò alla corte di Ludovico il Moro: anzitutto ingegnere e architetto; in tempo di pace, se serve, ho poco da invidiare ad altri in pittura, coreografia e scultura. Leonardo da Vinci – Il genio a Milano ha anzitutto questo merito, ossia avvicinare un po’ di più una delle più meravigliose figure italiane ad un pubblico che dei suoi illustri avi magari se ne compiace… molto spesso senza però averli bazzicati affatto. Il metodo è lo stesso che Luca Lucini aveva già adottato per Teatro alla Scala – Il tempio delle meraviglie: parte documentario, parte messa in scena, intervistando i protagonisti dell’epoca, appositamente interpretati da altrettanti attori.Ho modi de ponti leggerissimi et forti… So in la obsidione de una terra, toglier via l’acqua de’ fossi… Et quando accadesse essere in manere, ho modi de molti instrumenti actissimi da offender et defender, farò carri coperti, securi et inoffensibili… In tempo di pace credo satisfare benissimo ad paragone de omni altro in architectura, in composizione di edificii et pubblici et privati, et in conducer acqua da uno loco ad uno altro. Item, conducerò in sculptura di marmore, di bronzo et di terra, similiter in pictura, ciò che si possa fare ad paragone de onni altro, et sia chi vole.
Sokurov apprezzerebbe, lui che qualcosa di simile ha già fatto non solo con l’affascinante Arca Russa, ma anche con Francofonia, ultimo suo lavoro, presentato a Venezia lo scorso anno. Siamo su due livelli diversi, intendiamoci: qui manca ciò che davvero impreziosisce i film di Sokurov, ossia un punto di vista forte. Più modestamente, l’intenzione di Lucini e soci (il film è co-diretto insieme a Nico Malaspina) è quella di smussare gli angoli del formato canonico e rendere più appetibile un’operazione di questo genere, che, non a caso, non disdegna di farsi cinema all’occorrenza. Data piuttosto la qualità degli spezzoni di finzione, sia a livello scenico che recitativo, ci si domanda perché non dare la possibilità a Lucini (o chi per lui) di fare qualcosa del genere in un’ottica di lungometraggio.
Ad ogni modo, se da un lato abbiamo perciò le interviste ad alcuni studiosi e critici, tra cui Pietro Marani, uno dei più accreditati esperti dell’opera leonardesca, dall’altro abbiamo questi brevi ma intensi monologhi: Bramante, Raffaello, Isabella d’Este, il Salaì… tutti personaggi che sono in qualche modo venuti a contatto col genio toscano. Ma è sempre lui, Leonardo, a farla da padrone. Né potrebbe essere diversamente. La sua insaziabile curiosità prima ancora che il suo ingegno, quell’atteggiamento infantile che lo spingeva ad interrogarsi minuziosamente su ogni cosa. Non saprei dire fino a che punto sia merito del documentario, ma è innegabile che questo lavoro ci faccia ragionare, in un tempo tutto sommato ristretto (90 minuti) su cosa sia il genio, cosa la grandezza. Ancora più puntuale in un tempo in cui abbiamo smarrito il senso sia dell’uno che dell’altra.
Nessuna risposta definitiva, ci mancherebbe. Ma Leonardo è stato tra i pochissimi ad avere delle braccia abbastanza lunghe da poter tentare di abbracciare il mondo intero; pur sapendo che a nessun uomo una cosa del genere è possibile, allora come adesso. Si spiega così, almeno in parte, la sua cronica abitudine a non portare a termine le sue opere, quali che fossero. Tanto che oggi di Leonardo disponiamo di una mole cospicua di appunti, note, progetti appena abbozzati, concepiti per rimanere tali. «Mi mancò il tempo», disse in punto di morte quell’uomo che rese Milano più grande, più vivibile, più bella e finanche più alla moda. Lui che partiva sempre dal particolare per poi arrivare, gradualmente, al generale, quando vide approssimarsi il suo di tempo in questo mondo, si rivolse al cielo chiedendosi come facesse la Luna a rimanere sospesa lassù. Ma non era ancora il momento per porsi certi quesiti, anche se a lui sarebbe tanto piaciuto aspettare ancora un altro po’.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”7″ layout=”left”]
Leonardo da Vinci – Il genio a Milano (Italia, 2016) di Luca Lucini e Nico Malaspina. Con Vincenzo Amato, Cristiana Capotondi, Alessandro Haber, Gabriella Pession, Paolo Briglia, Edoardo Natoli, Giampiero Judica, Nicola Nocella e Sandro Lombardi. Uscita evento il 2, 3 e 4 maggio. A questo indirizzo trovate l’elenco delle sale.