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Torino 2010: commenti a caldo su Les signes vitaux, Jack goes boating e I saw the devil – Con Trailer

Les signes vitaux (Vital Signs)- di Sophie Deraspe (In Concorso) Simone torna da Boston a Quebec City in occasione della morte della nonna. Qui entra come volontaria in un centro per le cure palliative, e decide di abbandonare gli studi e di dedicarsi sempre meno al ragazzo, Boris, che inizia ad essere stufo delle poche

pubblicato 30 Novembre 2010 aggiornato 28 Agosto 2020 19:11

Les signes vitaux (Vital Signs)- di Sophie Deraspe (In Concorso)
Simone torna da Boston a Quebec City in occasione della morte della nonna. Qui entra come volontaria in un centro per le cure palliative, e decide di abbandonare gli studi e di dedicarsi sempre meno al ragazzo, Boris, che inizia ad essere stufo delle poche attenzioni di Simone ed inizia a farle notare che la sua voglia di stare in un luogo dove regna la morte forse è per nascondere le sue debolezze…

Si può essere delusi da un’opera prima? Ovvero: si può restare delusi dall’opera prima di una regista che non conoscevi e che non potevi conoscere per ovvie ragioni? Provo a spiegare cosa succede con questo bel Les signes vitaux. Un film bello, diretto dalla canadese Deraspe con tutte le qualità che un soggetto “di peso” e difficile come questo meriterebbe.

Les signes vitaux affronta il tema della morte con pudore e rispetto, e la regista sa dosare molto bene i silenzi senza risultare mai noiosa o fintamente autoriale. Tutto è frutto di una necessità etica ed estetica, e il risultato è quello di un’emozione angosciante continua ed azzeccata, che tiene incollati alla poltrona.

Merito anche dell’interpretazione di Marie-Hélène Bellavance, che regala una performance trattenuta e convincente. Dall’altra parte il film rivela la psicologia della protagonista poco a poco, grazie ad un gioco di svelamenti interessante (notare la scena in cui scopriamo che a Simone mancano entrambe le gambe).

E perché allora dovremmo essere rimasti delusi da un film così bello e convincente, rispettoso ed emozionante? Perché arriva il finale: uno dei finali più deludenti che io possa ricordare. Un finale assurdo, semplicistico e assolutamente fuori luogo che proprio sul più bello distrugge come un castello di sabbia tutto quello che c’è stato prima. Perché bisogna rovinare un’opera del genere con una scena così? Vedrete e capirete.

Voto Gabriele: 6

Jack-goes-boating.foto

Jack goes boating – di Philip Seymour Hoffman
Jack e Clyde sono amici, vivono a New York ed entrambi sono automobilisti di limousine. Il primo conosce Connie, single ed impiegata in un’impresa di pompe funebri, collega di Lucy, la ragazza di Clyde. E mentre Clyde e Lucy tentano di risolvere i loro problemi sentimentali, Jack tenta di conquistare Connie: imparando a cucinare e imparando a nuotare per poterla portare a fare un giro in barca in estate.

Se devo essere onesto, Jack goes boating all’inizio non mi stava proprio convincendo. Sarà per l’aria troppo indie che forse in un film diretto da un grande attore come Hoffman non mi aspettavo, sarà che l’apparente delicatezza del racconto mi pareva superficialità.

Poi però devo ammettere che l’opera d’esordio dell’attore è un bel lavoro, che riesce a catturare anche gli scettici, e forse anche quelli che il cinema da Sundance non lo possono proprio tollerare. Il merito sta proprio nella descrizione dei personaggi, fragili ed umanissimi, e in quella delicatezza che mi sembrava superficialità, e forse invece è proprio rispetto verso la dimensione umana.

C’è davvero empatia da parte del regista nei confronti dei personaggi, soprattutto quello del protagonista Jack interpretato dallo stesso Hoffman. La confezione curatissima e lo sfondo della sempre meravigliosa Manhattan contribuiscono a rendere il film un piccolo, bello, godibile e a tratti tenero ritratto delle ansie e delle paure delle persone ai giorni nostri.

Voto Gabriele: 7, qui potete vedere il trailer e qui leggere la recensione in super-anteprima da Los Angeles

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I saw the devil – di Kim Jee-Woon
Kyung-chul è un serial killer che rapisce giovani ragazzi, le tortura e le uccide per proprio piacere personale. Un giorno rapisce e uccide Ju-yeon, figlia di un capo della polizia in pensione. Il ragazzo, anche lui in polizia, decide di mettersi sulle tracce dell’assassino per avere la sua vendetta. Una vendetta che però non vuole consumare velocemente…

Ritorna Kim Ji-Woon con uno dei film orientali più attesi dell’anno, tanto discusso e applaudito quanto contestato per le molte scene violenti che si vedono. Il suo ultimo I saw the devil è un thriller, una caccia continua tra “gatto e topo” che dura ben 141 minuti: sono tanti, ma scivolano via che è un piacere.

La regia del regista coreano è ancora una volta adrenalinica, tostissima, e riesce a rendere avvincente una storiellina che avrebbe meritato non più di metà del tempo effettivo della pellicola. E invece così come I saw the devil è proprio uno spasso, con una bella dose di sangue che farà la gioia dei fan del genere e soprattutto due attori in stato di grazia.

Lee Byung-hun e Choi Min-sik si danno la caccia per tutto il film e tengono assieme la pellicola, tra botte da orbi e torture sadiche. Mentre il film va avanti, poi, è chiaro che c’è anche un ragionamento sulla vendetta stessa e sull’odio che alimenta altro odio, fino a trasformare tutti in mostri. Ma chi cerca vera profondità forse è meglio si rivolga ai film di Park Chan-wook, ovviamente: qui si corre come matti, e quel che conta al di là di tutto è il coinvolgimento. La morale senza speranza è solo un qualcosa in più, che non fa male…

Voto Gabriele: 8

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