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Over the Moon – Il fantastico mondo di Lunaria, recensione, quando l’ambientazione non aiuta

Il mondo di Lunaria tende ad essere fagocitato dai suoi troppi colori, direzione che ad ogni modo non offusca del tutto alcuni spunti di rilievo

31 Ottobre 2020 15:38

Fei Fei abbraccia la Dea un attimo dopo che quest’ultima conclude la sua scoppiettante perfomance musicale, intro di un popstar più che di una divinità: scandalo e sgomento tra gli abitanti di Lunaria… tutti sanno che la Dea non è nemmeno avvicinabile, figurarsi stringersi a lei.

Insieme a Chin e la sua coniglietta Bungee, Fei Fei sbarca su Lunaria, la Luna insomma, perché vuole testare la veridicità di una certa leggenda che la madre, venuta meno anni prima, era solita raccontarle quando era piccola. Non per mera curiosità, che eppure sarebbe una ragione non di poco conto, bensì poiché il papà è sul punto di sposare un’altra donna.

C’è qui parte della portata delle storie che ci raccontiamo da sempre, in forma di leggenda o resoconto, in fondo importa relativamente. La piccola Fei Fei ha creduto così intensamente a quel racconto incentrato su un amore eterno che adesso, con il padre pronto a voltare pagina, sembra essere diventato solo questo… una storia.

Superfluo, forse addirittura fuorviante soffermarsi sulle definizioni, così come su certi concetti inerenti allo statuto del raccontare e di ciò che viene raccontato: specie in progetti come Over the Moon va un po’ dato per scontato che il discorso vada a parare lì, specie per via del ricorso a mondi immaginifici che, appunto, con la cosiddetta realtà sembrano all’apparenza avere nulla da spartire.

Malgrado tutto ciò, se da un lato il film di Glen Keane dice una cosa, senz’altro involontariamente tende a mostrarne un’altra. Si guardi allo scarto, in parte certamente comprensibile, tra la prima mezz’ora, ambientata in questa cittadina cinese, ed il resto del film, che invece si svolge nel coloratissimo reame lunare: c’è qualcosa che al passaggio non funziona, anzitutto a livello visivo, ma che, scena dopo scena, finisce col non convincere pure su altri fronti.

Non so se la ragione vada rintracciata in primis proprio sulla direzione artistica intrapresa nella costruzione di questo mondo fantastico, saturo di colori i più disparati, ispirato palesemente all’impronta infusa in Inside Out, ma di gran lunga meno incisiva. Per intenderci, è come se l’intera vicenda di un Ralph Spaccatutto si fosse svolta nel mondo di Vanellope e del suo Sugar Rush, posto che in quest’ultimo caso certi eccessi sono più che giustificati e, anzi, non ci si immagina un contesto del genere a condizioni tanto diverse.

https://www.cineblog.it/post/952517/over-the-moon-trailer-dettagli-film-animazione-netflix

Si potrebbe forse glissare in una certa qual misura, specie in considerazione di come la parabola di Fei Fei finisca per sovrapporsi a quella della Dea, entrambe mosse dalla ricerca di qualcosa che però non riescono ad identificare: la verità di quel racconto nel caso della piccola, un non meglio precisato dono invece per quanto riguarda la divinità. Per un po’ tale leitmotiv tiene botta, sebbene lo sfondo sia sempre lì, incalzante, inadeguato a reggere l’impalcatura di questa parabola.

Non che Over the Moon non abbia i suoi momenti, anzi, oserei dire che respira essenzialmente tramite essi: in questo c’è tutto il retaggio, il mestiere di Keane, abile nel mettere in risalto certi particolari in passaggi che in effetti fungono da riempitivo rispetto al dipanarsi della trama forse, senonché un film, contro ogni regola accademica o pseudotale, non è solo snocciolare informazioni (a volte non lo è affatto). In particolare con l’animazione, e con quella del tipo a cui Over the Moon appartiene, sono i siparietti a dare consistenza, quelle scene interstiziali che, quasi sempre, coinvolgono i personaggi comprimari.

Per ciò è facile rintracciare nella coniglietta uno dei più riusciti, anche senza star lì a ricamare su significati aggiunti rispetto al peso che assume nell’economia della narrazione. Stesso dicasi per il ranocchio di Chin, a cui, come per Bungee, manca solo la parola, e per fortuna, oltre che come da tradizione specialmente in ambito Disney e Pixar.

Insomma, manca quel quid, non lo si può negare. Misurare la resa di Over the Moon in base alla premessa ha davvero poco senso, dunque le seppur corroboranti tracce, le piccole ma enormi questioni che solleva mediante l’esperienza di una ragazzina che deve superare una volta e per sempre il trauma di una perdita significativa, come quella della madre, oppure la consapevolezza che spesso si perde qualcosa per trovarne un’altra che ci serve ancora di più; spunti che contribuiscono senz’altro a dare spessore ma fino a un certo punto. Certo, si avverte una discreta unità nel risultato finale, senza dispersioni o, peggio, disgregazioni di sorta.

Tuttavia resta ad Over the Moon precluso quel livello ulteriore, a dire il vero riservato a pochi, che gli consenta di spiccare; verrebbe persino da dire, ma non vorrei sembrare ingeneroso, che non si sforzi nemmeno troppo ad alzare la testa rispetto a ciò che lo circonda, sensazione non piacevole che ahimè si tende ad avere con alcuni degli ultimi classici Disney, specie dopo che hanno avuto modo di sedimentarsi.