Fare film da qui in avanti, un prospetto – Parte prima
Fare film dopo il 2020 sembra un’impresa sempre meno possibile. David F. Sandberg ci dà modo di ragionare sul perché non debba per forza essere così
Non è la prima volta che ci troviamo a segnalare un video di ponysmasher, il canale YouTube di David F. Sandberg (Lights Out, Annabelle 2, Shazam!). Il regista svedese, sbarcato ad Hollywood dopo una lunga gavetta, anni di corti ed esperimenti proprio sul tubo, finché uno di questi suoi lavori non ha attirato l’attenzione giusta e da lì è stata un’escalation che l’ha portato a trasferirsi negli USA e dirigere film dal budget sempre più corposo.
Nel suo oramai penultimo video (l’idea di questo pezzo è nata ieri, prima che ne pubblicasse un altro ancora, sebbene nel nostro Paese non sia accessibile per motivi di copyright), Sandberg affronta una tematica particolare: si può essere dei registi introversi? Per chi mastica inglese, consiglio la visione del video: niente di particolarmente illuminante, ma il diretto interessato ha quantomeno il merito di una retorica «no bullshit». Perciò su qualunque argomento si soffermi è sempre molto diretto, oltre che apparire sincero, ché è poi il vero motivo per cui si tende a seguirlo, questo suo porsi come personaggio tutto sommato accessibile.
La risposta ve la diamo a mo’ di spoiler: sì, si può essere introversi eppure esercitare la professione del regista. Sandberg peraltro spiega che intende per introversione: il regista, tra le altre cose, è quello che, nel corso delle riprese, mette bocca su tutto, prende decisioni e spesso si trova a doverle difendere contro tutto e tutti, sia rispetto a chi gli sta sopra che da coloro che gli stanno sotto. Si capisce che, a queste condizioni, ripiegare su sé stessi, non esporsi, tendere ad evitare il confronto possa rivelarsi deleterio, se non addirittura impedire di condurre il lavoro. Va da sé che lui si dichiara rientrante in quest’ultima categoria.
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Ma ancora una volta, più che le parole, l’esempio migliore ce lo sottopone la sua carriera. Una parabola di successo, molto contemporanea, nata e sbocciata sulla rete, che ha portato il nostro a trasferirsi negli States ed essere assorbito dall’industria, che fin qui ha servito più che dignitosamente, visto e considerato che i suoi film sono andati tutti parecchio bene al botteghino. Ed è proprio questo uno dei punti ad essere cavalcato nel video di cui sopra, ossia come fare ad iniziare, ma soprattutto a continuare a girare film, specie se si è poco propensi al coinvolgimento.
Sandberg riporta l’esempio, senza fare nomi, di registi che riescono a girare film malgrado il riscontro al box office si riveli mediocre, logica che immagino da quelle parti tenga parecchio banco: o fai far soldi o non sei nessuno. A un certo punto l’unica spiegazione che è riuscito a darsi, con cognizione di causa, è che alcuni di questi registi siano anche degli ottimi venditori; gente capace appunto di coinvolgere, di convincere il potenziale investitore che la loro idea sia pazzesca, o almeno buona quanto basta per scommetterci. Ecco, e se uno ‘sto piglio non ce l’ha? Bravo e talentuoso per quanto possa essere, metti che un regista/sceneggiatore non abbia questa skill (sic)… che fa?
La risposta sembrerebbe banale per quanto semplice: il lavoro. C’è un ragionamento appena abbozzato sul talento, su chi ne ha di più e chi meno, che insomma, si spiega da sé e non mi pare di conseguenza vi sia granché d’aggiungere; chi è più versato in una cosa dovrà pur darsi da fare, non quanto tuttavia colui o colei invece di base è meno portato. Quel che ci resta di buono in relazione a questo ennesimo video di Sandberg, il quale, già solo per esporsi in questo modo merita un seppur piccolo plauso, quasi si sentisse in dovere di dare testimonianza visto come gli sono andate le cose, ebbene, la lezione che a mio parere va tratta è in merito al cinema che verrà.
Chi opera anche in maniera marginale nell’ambiente avverte l’aria pesante che aleggia, se non addirittura intride l’intero settore: gli uffici stampa sono stremati, riflesso, suppongo, di quanto a loro volta ricavano dal loro interfacciarsi con le realtà più addentro nell’industria, le quali, al netto di tutto, non riescono a fare a meno di manifestare la paura e lo smarrimento davanti ad una realtà così profondamente incerta. Ciò che si coglie è un’atmosfera da fin de siècle, come se la festa fosse finita e tutto sia prossimo a scomparire, o per lo meno a cambiare così radicalmente da non riconoscerlo più.
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In tutta onestà, non saprei dire se si tratta solo di vaneggiamenti o in scenari simili vi sia qualcosa di fondato. Non si può negare che la situazione sia estrema, e che certi assetti stiano venendo ribaltati in maniera troppo repentina per non ammettere la possibilità che come prima difficilmente potrebbero tornare. La verità è che a questo punto si può tutt’al più congetturare, tentare una diagnosi e tracciare una parabola, quantunque non vi sia la necessità che la traiettoria si riveli quella pronosticata, non importa quanto scientificamente.
Da anni, e ci siamo trovati a constatarlo più e più volte su queste pagine, il vero scoglio è diventato la distribuzione, non solo per motivi strutturali. Eppure tali motivazioni, di struttura appunto, sono proprio quelle che stanno risentendo con maggiore intensità di questa fase storica; le dinamiche ad esse sottese quelle che più di tutte vengono messe a dura prova in un momento in cui la distribuzione viene improvvisata settimana dopo settimana, fattispecie alla quale fin qui si sta per lo più facendo fronte con continui rinvii, oppure riparando sull’online. Online che non fa più rima, qualora l’avesse mai fatto, con meritocrazia, per cui non è che siccome la sala per ora è assente, allora il canale che la sostituisce rimedia a certe sue consolidate schizofrenie.
Seconda parte: Fare film da qui in avanti, un prospetto – Parte seconda
Foto di Stephan Müller su Pexels