David di Donatello 2021, un commento su premi e vincitori
Alti e bassi di un’edizione per forza di cose particolare quella dei David di Donatello, dominata dalla presenza di Volevo nascondermi
Un trionfo per Giorgio Diritti, meglio persino di quanto accaduto nel 2010, quando il suo L’uomo che verrà fece incetta di candidature ma tornò con “soli” tre premi, tra cui il Miglior film. Con Volevo nascondermi di statuette agli ultimi David di Donatello ne contriamo sette, il che basta e avanza per parlare di trionfo, per l’appunto. Un’edizione che, a dispetto del successo del film di Diritti, ha cercato di mettere d’accordo un po’ tutti, almeno fin dove è stato possibile.
Malgrado questa politica, se vogliamo ecumenica, tuttavia degli sconfitti ci sono e si tratta dei fratelli D’Innocenzo ed Emma Dante; sebbene Favolacce almeno un premio se lo sia aggiudicato, a differenza de Le sorelle Macaluso, il numero di candidature in relazione al Palmares segnala un netto ridimensionamento, a conferma che i titoli in questione devono avere convinto poco o nulla. Il che, per quanto ci riguarda, ha senso rispetto al film della Dante, che a parere di chi scrive ha persino fatto troppa strada; diverso invece il discorso per Favolacce, il cui riconoscimento al solo montaggio francamente sta stretto.
È chiaro comunque come certe serate debbano reggersi sulle proprie gambe, offrire uno spettacolo nello spettacolo, cosa sempre più difficile in un periodo in cui certe istanze hanno reso tale obiettivo un’ambizione sempre più al di là della portata di un settore investito da quelle stesse dinamiche che ha contribuito a generare. Certo, siamo lontani dal triste epilogo dei Golden Globes, perciò sono ancora possibili episodi come quelli della Loren, della figlia di Mattia Torre o del collegamento con Checco Zalone. In merito a quest’ultimo, che si è aggiudicato la Miglior canzone originale (Immigrato), verrebbe da pensare che Laura Pausini ha già dovuto confrontarsi con l’amarezza per il mancato Oscar… per il David se ne farà presto una ragione. D’altronde questo premio tende a confermare quanto chi scrive aveva già pensato dopo la proiezione di Tolo Tolo, ossia che si tratta di un Luca Medici meno sibillino, per così dire.
Attore e attrice non protagonisti a L’incredibile storia delle rose? Beh, ci sta. Da questa parte apprezziamo Matilda De Angelis dalla prima ora, e sebbene la sua non mi sia parsa una performance particolarmente degna di nota, le ha fatto gioco un’annata dove nemmeno altre sue colleghe hanno brillato. La scelta di Bentivoglio è invece di quelle facili, sia per genesi che per conduzione: un ministro democristiano che gioca a fare il prepotente, ritratto in modo simpaticamente cialtronesco, è qualcosa che arriva subito.
Guardare alla categoria del Miglior film straniero faceva male a priori, dato che si tratta di titoli usciti più di un anno fa, il che tende a ricordare il chiodo. Vince 1917, il che non contraria, malgrado io avrei magari preferito Clint Eastwood, ma non è questo il punto. D’altra parte non è mia intenzione fare le pulci al responso della serata, premio su premio, statuetta su statuetta. Alcune di queste erano ovvie alla vigilia (a chi dovevi dare i Migliori effetti speciali?), altre invece lasciano un po’ così, se non altro per la difformità di trattamento. Poco sopra abbiamo infatti evidenziato come il premio a Bentivoglio fosse per certi versi “facile”; quantunque per motivi diversi, analoga sembrava la situazione per Favino, il cui Craxi, senza nulla togliere a Elio Germano, è su un altro livello rispetto alla concorrenza. Semplicemente, tocca ammetterlo, questo Amelio non è piaciuto, già a partire dall’idea probabilmente (ricorderete le seppur pallide e circoscritte polemiche per la supposta rivalutazione del leader socialista, latrati sterili che hanno confermato l’arretratezza, se non addirittura la disonestà intellettuale di alcuni).
Ci sono poi dei vincitori silenti, se così vogliamo definirli, perché fanno meno rumore, e sono Miss Marx, con tre statuette, tra cui il Miglior Produttore, e Pietro Castellitto, figlio di Sergio. Quest’ultimo si è trovato in una situazione singolare: protagonista del Miglior documentario, quello dedicato a Francesco Totti, ma soprattutto Miglior regista esordiente per I predatori. Non avendoli visti tutti nelle categorie in questione, trattengo il giudizio, ma resta una tacca importante per il giovane Castellitto, che adesso avrà ancora di più gli occhi puntati addosso, qualora non bastasse l’attenzione di cui era già oggetto, nel bene e nel male.
Tocca chiudere col Re di questa edizione, ossia il già citato Volevo nascondermi. Ebbi modo d’inquadrare l’opera un anno fa, evidenziando come uno dei suoi punti forti, ossia la prova di Germano, finisse beffardamente col far venire a galla i limiti di certi processi alla base di un biopic. E mi piacerebbe, forse, pensare che il film di Diritti abbia fatto breccia solo ed esclusivamente perché il suo film è tanto piaciuto, ma non lo credo. Non lo credo per una serie di motivi. In primis, a ben guardare, è l’unico tra i candidati ad aver ottenuto una sorta d’imprimatur esterno, ossia il riconoscimento alla Berlinale, dov’era in Concorso ed ha portato a casa proprio l’Orso per l’attore. In secondo luogo perché ho la vaga impressione che il limite esposto qualche rigo sopra sia finito con lo spostare troppo gli equilibri.
Che personalmente tenda a preferire Favino non rileva, anche perché ritengo che certe performance vadano lette anche in relazione a come si armonizzano con tutto il resto. Ho tentato di spiegarlo meglio in questo pezzo, senza pretendere di aver anche solo lontanamente esaurito la questione; un film in cui la presenza ed il peso del protagonista è così soverchiante e sbilanciato, continuo a sostenere sia a detrimento non solo del film ma dello stesso attore. In tal senso il Craxi di Favino funziona molto di più, è integrato meglio in un film che, in generale, potrebbe persino essere considerato inferiore a quello di Diritti. Ecco, non credo certo tipo di valutazioni siano state anche solo sfiorate, dunque tocca tornare alla prima casella. I premi sono sempre quello che sono, quindi va loro concesso il giusto. Sempre più s’impone nondimeno la necessità di un confronto più diretto con chi li assegna, poiché credo ci sarebbe da imparare molto di più dalle loro considerazioni, laddove il mero responso, caduto dall’alto, da tempo si sta rivelando insufficiente per dire il meno.