Crudelia, recensione, Emma Stone è il migliore effetto speciale
Quasi una celebrazione della sua protagonista, la seppur spettacolare tenuta di Crudelia non ha la stessa intensità di Emma Stone in scena
Estella è un piccolo terremoto; non sta mai ferma, combina guai con una naturalezza disarmante. Di una ragazzina così un tempo si sarebbe detto: è vivace. Tutto ciò costringe lei e la madre a lasciare la scuola, allontanata dal preside, e spostarsi altrove. Prima tappa la residenza von Hellman, dove però accade l’evento che rivoluziona la vita di Estella; da lì in avanti la piccola, con questi capelli metà bianchi e metà neri, finisce per le vie di Londra, sola, abbandonata, ma con altri due giovani amici che le danno un’insperata opportunità, quella di restare a galla. Anni dopo, siamo nei ’70, Estella tenta finalmente di realizzare il suo sogno, entrando nel mondo della Moda. E qui, dopo la premessa che è stata la prima parte, prende corpo Crudelia.
Scelta evidentemente telefonata, Disney ha imboccato la strada del live action da tempo, a volte per aggiungere, o per meglio dire integrare informazioni rispetto agli originali (Mary Poppins), altre per mero gusto del rifacimento (Il re leone). E non è stato mai facile trovare la quadra, ad oggi il migliore di questi esperimenti condotto da Jon Favreau con Il libro della giungla; per il resto tanti passaggi a vuoto, una sfilza di tentativi non di rado inconsistenti, a vario titolo. Con Dumbo, per dire, si è cercato offrire un prodotto ibrido, che tale è per sua natura rispetto al summenzionato Il re leone, facendo un buco nell’acqua pure lì. Ci si è chiesti perciò se non mancasse quell’ingrediente segreto che solo Disney può aggiungere, e che, in rapporto a questo filone, è per lo più mancato.
Crudelia tuttavia rappresenta qualcosa di diverso, se vogliamo atipico rispetto a quanto esplorato finora. Uno spin-off che si concentra su un personaggio senz’altro iconico, rinunciando almeno in parte ai veri protagonisti dell’opera di riferimento, La carica dei 101, ossia i dalmata. Altra traccia interessante risiede nell’elevare a protagonista un personaggio di base negativo, nel caso in questione umanizzandolo; e c’è tutta l’ansia degli ultimi anni nel dare una genesi alla qualsiasi, nello svelare ciò che forse è bello lasciar vuoto, suscettibile alle interpretazioni, alla mercé della fantasia di ciascuno, che può immaginarsi eventi pregressi un po’ come vuole. Non è compito di questo scritto indagare in merito alle ragioni di certe dinamiche, di cosa insomma sia indice questa frenesia nel voler speculare su passati che non si conoscono, ovviamente pure col rischio, ben più che realistico, di rivedere totalmente certi racconti e personaggi alla luce di una prospettiva diversa rispetto a quando certe cose furono “inventate”.
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Non sono convinto di quale lezione si possa trarre dall’idea di rendere un personaggio inquietante come Crudelia così affascinante, avvenente, irresistibile. C’è un gioco di doppi, per cui al personaggio di Emma Thompson, la baronessa von Hellman, per larga parte del film viene assegnato di fatto il ruolo dell’unica, vera Crudelia, spietata e geniale, oltremodo ricca. Ed è uno spostamento interessante, nonché forse l’unico modo per dare un senso all’evoluzione del personaggio di Estella, sebbene la trasformazione di quest’ultima non si spieghi alla luce del mero interfacciarsi con la Hellman. Presso quest’ultima la giovane va a lavorare per farsi notare quale brillante stilista, visto che la maison della baronessa spadroneggia nella già stilosa Londra di quel periodo.
È chiaro che l’intera impalcatura narrativa si muova sull’asse di questi due personaggi, e che ogni singolo passo in avanti lo si registri a seguito del loro incontro/scontro. Nondimeno, si tratta di una produzione che fa leva su altri elementi, attenta com’è Disney alla veste visuale. In questo senso Crudelia si pone ad un livello persino superiore a quello dei live action che l’hanno preceduto, se non altro per l’armonia interna, l’identità che si riesce a conferire; il che in parte si spiega alla luce dell’ambientazione, spaziale e temporale, che ha per forza di cose delle nette ripercussioni sceniche. Insomma, i tormenti della protagonista, la sempre meravigliosa Emma Stone, fanno per lo più da contorno. Come se si trattasse di un musical, l’avanzamento della trama è scandito da questi passaggi dall’intenso impatto visivo, ispirato a un certo grandeur che ahinoi si coglie sempre meno spesso, ricorrenti come le coreografie di questo specifico genere, i quali di fatto reggono l’intera baracca.
Per dire, non è che c’interessa più di tanto capire cosa stia accadendo ad Estella, né dove la porterà il succedersi degli eventi, quanto semmai l’osservarla mentre si muove, con piglio non di rado molto marcato, verrebbe da dire teatrale: il volto calamitante e certe espressioni beffarde della Stone fanno il resto. Si può infatti dire che davvero Crudelia sia in fondo il palcoscenico dell’attrice che interpreta la protagonista, messa qui in condizioni di essere il centro verso cui tutto tende. Non saprei dire quanto ci sia dell’abilità di Gillespie in tutto ciò, a tal punto la presenza scenica della Stone è forte, qualcosa che non si spiega tanto mediante quello che l’attrice fa o come lo fa, quanto con il suo solo stare davanti alla macchina da presa. Se c’è dunque un esempio in relazione a come si possano impiegare così tante risorse su schermo in maniera funzionale, ebbene, le vie attraverso cui si cerca d’impreziosire questa forte presenza rappresenta il vero punto di forza dell’intera produzione, nonché un unicum per Disney.
Detto questo, c’è da chiedersi fino a che punto una scelta di casting così azzeccata possa incidere in senso lato. Voglio dire, La carica dei 101, come altre pietre miliari alle quali Disney ha fatto ricorso con insistenza in questi ultimi anni, rappresenta un fenomeno che riguarda un pubblico piuttosto adulto; e sotto questo profilo l’offrire un personaggio di fatto nuovo, sebbene afferente a quel mondo lì, è probabilmente scelta oculata. Tuttavia il rimando resta e, nemmeno troppo paradossalmente, proprio la buona resa della protagonista finisce con lo spingere a chiedersi, a posteriori, se una cosa del genere davvero non avrebbe potuto funzionare pure senza l’essere ancorata a un brand riconoscibile.
Anche perché tutto in Crudelia è sfruttato alla bisogna, persino la stessa ambientazione, centrale, che strizza l’occhio alla scena punk, una sorta di ventata di nuovo che preme per scalzare il vecchio della tradizione. Operazione che certo non può essere alla portata di una Disney che in questo momento è quintessenzialmente retroguardia, e perciò, limitatamente a questo processo, molto presente quantunque non urlato, tende a generare quel retrogusto un po’ posticcio del prodotto che non può fare a meno di puntare al mainstream più ostinato. Di buono questo Crudelia ha il suo saper essere una giostra almeno un po’ più divertente delle altre; una di quelle che lì per lì ti ha appunto fatto trascorrere un giro piacevole ma su cui non torneresti subito perché in fondo l’entusiasmo non è così alto. Con o senza Emma Stone.
Crudelia (Cruella, USA, 2021) di Craig Gillespie. Con Emma Stone, Emma Thompson, Mark Strong, Paul Walter Hauser, Jamie Demetriou, Kirby Howell-Baptiste, Emily Beecham, Joel Fry, Gianni Calchetti, Pierre Bergman, Nathan Amzi, John McCrea, Kayvan Novak e Niamh Lynch. Nelle nostre sale da mercoledì 26 maggio 2021.