America Latina, recensione del film dei fratelli D’Innocenzo
I fratelli D’Innocenzo cambiano spartito e, dopo l’infanzia e l’adolescenza, virano al thriller psicologico incentrato sull’età adulta
Massimo (Elio Germano) è un dentista e vive nella campagna laziale. Il titolo, America Latina, si riferisce proprio al capoluogo di provincia, mentre America, beh, chi ha visto Favolacce avrà intuito quali siano i riferimenti letterari dei fratelli D’Innocenzo, quei toni dark che scavano nella vita dei sobborghi. Stavolta, delle zone periferiche, si guarda più all’alienazione, quell’isolamento che abbiamo un po’ tutti sperimentato un anno e mezzo fa, qui ovviamente sublimato mediante altro tipo di suggestioni.
La vita di Massimo è molto semplice: quando non visita pazienti nel suo studio, si concede qualche birretta con l’amico Simone (Maurizio Lastrico), per poi tornare a casa da sua moglie e le sue due figlie. Un ritratto impeccabile, borghese, con questa villa che è un po’ un’oasi nel deserto, circondata dalla natura, lontano dalla civiltà, architettura anni 60/70. Non c’è nulla che non vada nella quotidianità di Massimo, una quiete destinata ad essere bruscamente interrotta quando il dentista scende nella cantina, scoprendo qualcosa d’incredibile: una ragazzina legata a un palo, malnutrita, piena di lividi, verosimilmente rinchiusa là sotto da tempo.
Da questo momento in avanti America Latina procede nel tentativo di rispondere al perché di quella ragazzina nel seminterrato, ma soprattutto… chi ce l’ha portata. Al loro terzo film i D’Innocenzo hanno imboccato un sentiero diverso rispetto a La terra dell’abbastanza e Favolacce, sia a livello tematico che da una prospettiva meramente formale. Più consapevoli dei loro mezzi, abbiamo assistito ad una progressiva virata verso una prosa più centrata sull’aspetto visivo; la loro opera seconda, in tal senso, aveva già fatto registrare un passo ulteriore verso una componente che ai due registi evidente sta molto a cuore, che è quella sensoriale. Quel mood cupo che contraddistingue proprio Favolacce, ma che lì è comunque subordinato al racconto, mentre in America Latina diventa in qualche modo portante.
In parte la scelta sembra essere obbligata. Si tratta infatti di un film più piccolo, tutto d’interni, che gioca coi codici, i D’Innocenzo ancora una volta attenti al discorso sui generi, determinante pure a ‘sto giro. Le criticità purtroppo sorgono in capo alla tenuta di una storia volutamente “essenziale”, concepita come dispositivo per consentire di operare su altri piani. La ricaduta è sulle aspettative generate in corso d’opera: a fronte dell’accumulo di elementi, infatti, la percezione è che la chiusa, con il twist finale, non renda giustizia. Nei loro precedenti lavori, i D’Innocenzo si sono mostrati capaci di andare più in profondità, al cuore del disagio esistenziale che non viene mai esposto in bella vista ma che nondimeno si riesce a far filtrare per altre vie.
Il mistero dietro al personaggio di Germano resta invece impenetrabile, e l’impressione è che due abili scrittori come i due autori non siano pervenuti a tale corollario involontariamente. Se è vero, com’è vero, che c’è qualcosa da rivelare, allora, in qualche modo, a tale rivelazione si deve arrivare, quale che sia la risposta. L’ultima parte del film, venata di rimandi espressionisti, ci precipita di punto in bianco nel mondo di Massimo, spostando la prospettiva dall’oggettività dei primi due atti alla soggettività del terzo ed ultimo; è qui dove i D’Innocenzo possono dare pieno sfogo al proprio impeto stilistico, conferendo un’impronta visivamente netta ed appagante, con alcune inquadrature inedite per loro fino a questo momento.
Ciò che probabilmente agevola un certo disorientamento sta nel contrasto tra la prima e la seconda metà di America Latina; nella prima parte, molto dilatata, ci si muove con circospezione, attenti a snocciolare il minimo indispensabile. Il che non sarebbe affatto problematico se la seconda parte non fosse costruita come se la prima costituisse una base sufficiente affinché il tutto assuma quello spessore che, almeno in parte, il film fatica ad acquisire.
Qualcuno potrebbe far notare come certi passaggi, intrisi delle giuste tensioni, tendano però a raccontare poco. L’abbiamo già sottolineato, è vero, il cuore di questa parabola è forse poco accessibile, a tal punto sfuggente da non incoraggiare a cercarlo oltre. Derubricare però la maggiore attenzione per la tenuta visiva a mero esercizio di stile non è esatto, dato che l’impressione non è che quanto raccontato sia stato adattato ad una modalità specifica, quanto piuttosto si sia deciso di procedere in questo modo perché si è pensato fosse il modo migliore per trasmettere la portata delle implicazioni che porta in dote lo scenario.
È interessante notare come i fratelli D’Innocenzo si stiano specializzando nel raccontare i moti delle diverse stagioni della vita: nel primo era il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, nel secondo dall’infanzia all’adolescenza, mentre al terzo giro tocca ad uomo già formato. Sempre spietati nei riguardi della famiglia intesa come nucleo fondante la società, tesi tradizionale alla quale i due registi sembrano diffidare proprio perché con ancora più convinzione credono agli scheletri nell’armadio. Forse lo scarto sta proprio nel grado di cognizione che i D’Innocenzo hanno sin qui maturato, per esperienza diretta o mera speculazione.
I fantasmi che braccano infatti Massimo sono di matrice diversa, né può essere diversamente, rispetto a quelli che tormentavano Mirko e Manolo o i ragazzini di Favolacce. Una distanza che in qualche modo rispecchia anche il percorso artistico dei fratelli D’Innocenzo, che una voce hanno dimostrato di averla, sebbene tassello dopo tassello stiano operando sulla sua modulazione. America Latina ha senz’altro un potenziale inespresso, probabilmente si pone persino come il meno compiuto, rotondo dei tre, ma è nondimeno l’attestazione di un cinema organico, dunque vivo, in continuo mutamento, che vibra.
America Latina (Italia/Francia, 2021) di Damiamo e Fabio D’Innocenzo. Con Elio Germano, Astrid Casali, Sara Ciocca, Maurizio Lastrico, Carlotta Gamba, Federica Pala, Filippo Dini e Massimo Wertmüller. In Concorso.