Brian De Palma, quando dovrò smettere non mi mancherà non girare film
Brian De Palma si sofferma brevemente sulla sua carriera e lo stato attuale dell’industria, mentre esce il suo primo romanzo, scritto a quattro mani
Sulle pagine di AP News è apparsa un’intervista a Brian De Palma, in cui il regista ci ragguaglia su alcune cose, mentre si espone su altri fronti con alcune considerazioni piuttosto dirette. Per prima cosa, forse non sapevate che ha appena pubblicato un libro intitolato Are Snakes Necessary?, scritto a quattro mani con la sua compagna, Susan Lehman, ex-redattrice del New York Times.
A riguardo Martin Scorsese ha detto che è come avere un nuovo film di De Palma, ma quest’ultimo, illustrando il processo che lo ha portato a tirare fuori questo romanzo, ha chiarito che, semmai, il problema è che di idee ce ne fossero troppe per un solo film. E poi il tutto è stato divertente anche perché sia lui che la Lehman non si erano ancora cimentati in qualcosa del genere.
Ma andiamo con ordine. Come ha vissuto l’esperienza col suo ultimo film, Domino (2019), affetto da problemi finanziari e mai uscito negli USA?
È una situazione molto triste. Non c’erano abbastanza soldi. Sono stato lì cento giorni, dei quali solo trenta per le riprese. Non pagavano nessuno ed un buon numero di questi lavoravano per me. L’abbiamo finito ma ero così disilluso con i finanziatori che ho detto… «Ragazzi, eccovelo. In bocca a lupo». Senza preoccuparmi nemmeno della promozione.
Gli ha fatto passare la voglia, perciò?
Non trovavo in una situazione del genere da quella volta che cominciai a fare film indipendenti come Sisters, per il quale credo ci voller centocinquantamila dollari.
A questo punto l’intervistatore pone una domanda che anche Noah Baumbach aveva rivolto nel documentario girato insieme a Jake Paltrow nel 2015, ossia, a quale età ha raggiunto il suo picco creativo. Da notare che la risposta differisce leggermente da quanto detto allora; nel 2015, infatti, De Palma rispose che questa fase la si vive nei quaranta. Oggi invece…
Certo (che l’ho avuto, ndr.). Ho studiato le carriere degli altri registi per tutta la vita. A Susan non piace che parli di queste cose, ma invecchi. Godi di un periodo molto creativo, ma se fai film decenti quando ne hai sessanta si tratta di un miracolo. […] Il mio di picco è stato tra i cinquanta e i sessant’anni con Carlito’s Way e Mission Impossible. Non ho mai fatto meglio di così. Hai tutto il potere e gli strumenti a tua disposizione. Quando il sistema Hollywood lavora per te puoi fare cose notevoli. Non appena però i tuoi film hanno meno successo diventa difficile mantenere quel potere e devi necessariamente scendere a compromessi. Non saprei dire se mentre ti trovi in quella situazione te ne rendi conto.
Immancabile un suo commento in merito allo stato attuale dell’industria; e non è certo lusinghiero, anzi.
Le cose che fanno oggi non hanno nulla a che vedere con quelle che facevamo noi negli anni ’70, ’80 e ’90. La prima cosa che mi fa uscire matto è il loro look. Siccome girano in digitale, allora illuminano malissimo le scene. Non sopporto l’oscurità, la luce che rimbalza. Sembrano tutti uguali. Credo nella bellezza al cinema. Io e Susan stavamo vedendo Via col vento l’altro giorno, e fa impressione quanto sia stupendo quel film. La scenografia, il modo in cui Vivien Leigh è illuminata, è straordinario. Se guardi invece alle cose che danno in streaming in continuazione, è tutto una schifezza. Il raccontare per immagini (visual storytelling in originale, ndr.) è stato gettato dalla finestra.
Attenzione perché, tra le altre cose, c’è ancora in piedi il progetto di un prossimo film, parzialmente ispirato ad Harvey Weinstein, che a un certo punto s’è intitolato Predator ma che adesso ha un altro nome, ossia Catch and Kill (quello che aveva all’inizio), definizione che fa riferimento ad una pratica giornalistica la quale, servendosi di una misura legale, vincola un testimone a non parlare di qualcosa che ha visto o sentito previo compenso elargito dalla parte evidentemente interessata.
Harvey Weinstein c’è in parte, ma avendo lavorato ad Hollywood negli anni ’70, ricordo che situazioni del genere accadevano anche allora e questa cosa m’irritava parecchio. […] Come regista mi offende perché un attore sta solo cercando di avere la parte. Approfittare della situazione è come se un dottore facesse qualcosa di contrario al codice etico. In particolare ci fu un attore-regista che fece una cosa del genere ed è un po’ questo il fulcro di Catch and Kill. Il personaggio di Harvey Weinstein s’inserisce in questa cosa. È spaventoso e divertente allo stesso tempo.
Le riprese del film sarebbero dovute cominciare adirittura ad agosto, ma dato che l’intervista risale più o meno a due settimane fa, è probabile che i tempi si siano già allungati. Altra domanda interessante riguarda la presunta misoginia di cui spesso è stato criticato. Ecco come replica.
Mi hanno sempre considerato un regista misogino perché le donne hanno un ruolo centrale nei miei thriller. Beh, mi spiace. Preferisco fotografare una donna che si muove piuttosto che un uomo. (ride) Credo che un grande filosofo ebbe a dire: la storia dei film è fatta di uomini che fotografano donne. Io invece ho sempre detto: «se devo metteri appresso a qualcuno, preferisco una bella donna anziché Arnold Schwarzenegger». Mi spiace.
Per concludere, a De Palma viene sottoposto un dilemma che affligge Scorsese, il quale ha avuto modo di chiedersi quanti film gli restassero. Qual è la sua risposta a tale quesito?
Credo che siamo pressoché alla fine, ci siamo. Ho un ginocchio malandato. William Wyler disse che se non puoi camminare è finita. Se ti metti a scrivere questi libri può esaurirsi la tua immaginazione. Finché posso farlo però continuerò a farlo. Ma non mi mancherà non farlo più. (ride)