L’auditorium, cupola di legno, continua il suo passo sapiente di tartaruga con la festa del cinema di Roma
Nata nel 2006, anni veltroniani, la parola “festa” è enfatizzata o ridimensionata, a secondo dei numerosi direttori che si sono susseguiti in poco tempo alla sua guida, fra critiche e risse tra i partiti
Sono andato il giorno prima alla Festa del cinema di Roma, all’Auditorium, mi piace questo ambiente, con i suoi spazi interni ed esterni, il portico e i negozi d’arte, le sale espositive d’arte, la ampia libreria, i simpatici bar, punti di ritrovo. L’aria della vigilia si vedeva al primo colpo d’occhio. In passato, era un delirio, a volte. Confusione. Aria di mercatino. Capanni o capannoni. Provvisorietà, voglia di grandeur, accompagnata dalle voci e vocine dei ragazzini portati dalle insegnanti a sentire il respiro del cinema, dall’altra parte della città, lontana dalla vecchia e cara Cinecittà, nelle strade rubate alla campagna tuscolana.
Quest’anno, nel giorno della inaugurazione, il 16 ottobre, l’attuale Festa è apparsa composta, persino severa, smossa dai partecipanti in cui i vecchi appassionati del cinema (che vanno dappertutto per dichiarare il loro amore per l’era infinita della pellicola) si mescolano ai giovani, molti, che cercano occasioni come questa per sognare. Il sogno di un cinema che li riguardi, andando incontro alla loro passione che vive tra albe di persistente desiderio (ci posso sperare? che vedrò? che posso sperare? in chi?) e tramonti di sconforto (che resterà del cinema? esiste ancora? com’è, come sarà? la sfera globale fatta di celluloide è fatta di coriandoli?).
La Festa ha un nuovo direttore, Antonio Monda, scrittore, giornalista, uomo di letteratura e cinema, anche regista); e uno stretto consiglio di amministrazione composto da Piera Detassis, Laura di Colli, Lorenzo Tagliavanti, Carlo Fuortes, Roberto Cicutto; esperti). Nomine alla prima prova, tranne la Detassis, che è stata direttore artistico. Nomi che garantiscono. Li si attende.
La seguirò la Festa. Lascio cadere le vecchie discussioni sulla domanda: Roma ha davvero bisogno di un Festival (o simili) quando a Venezia c’è la Mostra della Laguna, ultrasettantenne? Rispondo: Roma, con i suoi terribili guai, ha bisogno di una industria nella immagine forte, sapiente, intelligente, aperta; non di una industria stanca o inesistente, di risulta, sopravvissuta, corrotta dalla politica senza eccezioni (compresi ex risorse di categorie artistiche e sindacali).
Roma è affamata di cinema. Preciso: di produzione ideativa, creativa, industriale che sappia dare il senso del cinema contemporaneo, pescando nella grande tradizione non solo italiana, ma mondiale; in cui le fasi critiche si sono alternate a fasi potenti di ripresa. L’analisi e le proposte sono materia di riflessione. E la prima tra queste riflessione, me l’ha data una bella intervista pubblicata dalla “Repubblica” a Ettore Scola, lo sceneggiatore e il regista di tanti bei film. Si parla con lui di un documentario “Ridendo e scherzando” realizzato dalle figlie Paola e Silvia.
Conosco Scola personalmente quando andai a casa sua a girare un filmato sul suo lavoro, anni fa. Mi colpì il suo spirito, serenità, convinzione; e la sua storia cominciata come apprendista in una rivista satirica, fucina di talento, e proseguita come sceneggiatore e poi come regista, su invito di Vittorio Gassman. Una storia, è facile dirlo, dentro una grande bottega di grande competenza in cui una “popolazione” di fantastici attori (Gassman, era uno dei tanti), registi (anche qui abbondanza), scenografi, costumisti…
Oggi non esiste più quel magnifico mondo- fatto di belle persone, ma anche di mediocri, e di produttori affaristi, ma anche illuminati, etc. Eppure, si sente bisogno di ristabilire garanzie di serietà e di efficienza. Il cinema, come tutta Roma, è afflitta da burocrati, portaborse, figure pallide e squallide designate dal peggio dei designatori. La Festa sarebbe questa. Fare pulizia anche qui, in questo cinema, se no farà la fine dell’Atac, per dire uno dei guasti romani. Ripensare l’organizzazione del cinema sul piano industriale e creative. I giovani fanno uno o più documentari, uno o due film, un video o qualsiasi film o prodotto audiovisivo, nell’abbandono: lavori che finiscono in proiezione invisibili, senza verifiche, senza prospettive. Un piccolo mondo antico e adesso attuale, lontanissimo dal mondo delle immagini e della narrazione contemporanea. Botteghe nuove inesistenti perchè non sono botteghe ma luoghi creati tra incompetenze e compromessi.
Domando: i festival possono surrogare con le loro manifestazioni “tutti o in parte” i doveri e le strategie ideativa e produttiva che servono? Torno alla Festa, è importante. Che cominci e vada avanti, che indichi uno stile, vedute, intenzioni diverse rispetto al passato. La Festa richiama la parola intrattenimento, quello colto, inatteso, sperimentale che il cinema ha sempre inventato, inventando anche persone geniali, sapendo cercare e trovare. Creando artisti e arte. Come Scola, e i tanti come lui.