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Pasolini, un delitto politico? In cerca di un finale

Alla cerca di un finale per la trama di un assassinio avvenuto quarant’anni fa, un “film”, una “vita” che non si chiude…

pubblicato 7 Ottobre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 12:06

Se io dovessi fare un film su Pasolini,comincerei dal suo arrivo a Roma, per poi tentare qualche flash back, utile per sostenere il racconto, illuminarlo. E’ l’intenzione che mi ha accompagnato per tutto il tempo in cui ho lavorato al libro Pier Paolo Pasolini Vivere e Sopravvivere (Lindau). L’arrivo a Roma del poeta- regista seppe subito di cinema. All’inizio Pasolini abitava a Ciampino che sta vicino a Cinecittà, e il respiro della pellicola lo avvolgeva fino a spingerlo a bussare ed entrare, disposto a tutto, anche a fare la comparsa.

L’arrivo nella capitale era carico delle reazioni alle accuse di “molestie” sessuali ad alcuni giovani, poi smontate. Bisognava però andare via, Casarsa, paese della madre e suo come professore di scuola, lo incitava a farlo. Cercò di ritrovare entusiasmo. Cercava di dimenticare. Giorni faticosi. Giorni nuovi e complessi. Ma, sulla base delle notizie delle “molestie”, della sua omosessualità non nascosta, Pasolini venne attaccato in maniera violentissima dai giornali di destra e da una stampa borghese che lo ha attaccava su tutto, accusandolo di furto e di minaccia a mano armata. Una specie di realtà da “Los Angeles Confidential” che fu inventata dalla stampa italiana e che non corrisponde a verità. C’era semplicemente l’intenzione di danneggiare un intellettuale comunista che, nel cinema, era poi entrato e debuttato come regista in “Accattone”, un film che fu uno degli esempi più interessanti, dopo “La dolce vita”, del cinema italiano.

Nei venticinque anni, dall’arrivo a Roma nel 1950 alla morte avvenuta nel 1975, che racconto nel mio libro, c’è un’altra vita rispetto al passato. Vivere e poi sopravvivere. Ma come sopravvivere, vien da chiedersi dopo che è morto, quarantanni fa? Vogliamo ricordare solo il delitto? Mi sono un po’ ribellato a questo, che mi sembra riduttivo. Dobbiamo recuperare Pasolini nella sua totalità: l’autore, la persona che ha vissuto una vita difficile tra disperazione e violenza, tra lampi di gioia e drammi. Una persona coraggiosa che interveniva nella società,che nei suoi scritti ne osservava le problematiche. Una persona, un personaggio unico nella scena italiana.

Pasolini era un italiano, teneva ad esserlo. Si potrebbe fare un esempio, una semplice comparazione. Citare Giorgio Gaber che si interrogava dopo la scomparsa del poeta-regista su perchè e come vivere nel nostro Paese. Non sono italiano- dice nella canzone Gaber- per tante ragioni, ma per tante altre lo sono, nel passato col Rinascimento ma anche grazie ad altre ricchezze del presente.

Moravia, al funerale di Pasolini, disse una cosa fondamentale: lo chiamò poeta civile. Civile perchè preoccupato per l’Italia, il suo Paese, che voleva moderno, maturo, e non si lasciasse influenzare dal consumismo, sulla omogeneizzazione, cose che cambiano i connotati di un popolo e lo trasformano. In questo senso Pasolini è stato veramente l’ultimo poeta civile. Ha riflettuto sulla identità italiana, sul senso profondo di questa identità, una tradizione millenaria che sciupiamo con provincialismi e settarismi. Lo ha detto Ejzenštejn a proposito del suicidio di Majakóvskij: non ci si toglie la vita, non si esce dalla vita solo per disperazione d’amore, ma per il contesto che porta a compiere il gesto, e ciò vale anche per Pasolini che aveva perduto dai primi anni di Roma ogni speranza, e cercava qualcosa che non trovava più, come suggerisce il suo ultimo film “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, il ritratto di un disfacimento violento, uscito proprio nel 1975, l’anno del delitto che lo uccise, in cui fu ucciso da uno o più persone.

Pasolini ci ha spaventato con “Salò”, finale tragico di una Roma che giorno per giorno caricava il poeta-regista di un malessere in aumento. Questo è il senso di “Pier Paolo Pasolini Vivere e Sopravvivere”, che ho scritto non come una biografia ma come il ritratto di una città e di un Paese, confuso e smarrito, di cui Pasolini è stato ed è un testimone senza reticenze, controcorrente.