Via dalla pazza folla: recensione in anteprima del film di Thomas Vinterberg
Thomas Vinterberg ricostruisce l’epoca vittoriana in cui è ambientato il romanzo di Thomas Hardy, Via dalla pazza folla. Mulligan-centrica, una trasposizione che brilla per eleganza e capacità di non snaturare la fonte, pur lievemente rivisitandola
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Bathsheba Everdene (Carey Mulligan) è una giovane ereditiera che si cimenta nella conduzione di una fattoria di considerevoli proporzioni. Svariati i dipendenti, tra inservienti e operai, che per forza di cose nell’Inghilterra vittoriana coltivano parecchie riserve su una donna che, sola, intende portare avanti una simile impresa. Via dalla pazza folla è tratto dal celeberrimo romanzo di Thomas Hardy, già trasposta al cinema sia nel ‘15 che nel ’67 ed è tornato alla ribalta per la regia di Thomas Vinterberg.
La sceneggiatura di David Nicholls è intelligente a priori, costruita com’è per mantenere lo spirito del romanzo originale sebbene alla luce di un adattamento sensato ma nondimeno netto. Si comincia dal concentrarsi su un personaggio, ché seguirli tutti, come fa Hardy, è impossibile nelle risicate due ore del film; Everdene perciò diventa la protagonista di questa nuova versione, in tal senso spregiudicata ma nel modo giusto. La vicenda, di fatto, ruota attorno a lei e a questi tre innamorati che stravedono per lei, malgrado quest’ultima si mostri reticente per amore della propria indipendenza.Femminista ante litteram? Beh, dipende da cosa s’intende con certe etichette. Di certo la Everdene della fragile ma ancora una volta aggraziata Carey Mulligan si pone al di là dei canoni di un periodo in cui la donna non si sognava nemmeno di accampare pretese di alcun tipo. Ed in realtà nemmeno la ricca possidente si presta al fracasso, ribadendo recisamente di tenerci alla propria posizione, al proprio status, lo stesso che un matrimonio finirebbe con l’alterare irrimediabilmente: «dal canto mio ho solo l’istruzione». Eppure non c’è, in Via dalla pazza folla, alcun intento anacronistico teso a forzare certe realtà per amore di difendere un messaggio, un principio o che so io.
Il telefonato finale sta lì a testimoniare come l’ambizione di Everdene, per quanto vissuta in maniera sana, debba scontrarsi con una realtà dei fatti ben diversa. Lo definiamo telefonato poiché Vinterberg temporeggia un pelo di troppo sul rapporto tra la donna e Gabriel (Matthias Schoenaerts), quest’ultimo vero e proprio angelo custode della sua signora, che virilmente serve malgrado le svariate vicissitudini, specie amorose.
Non significa però che la storia non si segua. Anzi, semmai Vinterberg in taluni passaggi procede anche troppo spedito, cosicché certi snodi chiave vengono archiviati senza probabilmente trarne il massimo, e ciò accade in più di un’occasione. Ma c’è da comprendere tale scelta, dato che ci troviamo di fronte ad un’opera di quasi cinquecento pagine, perciò in casi come questi si rivela decisiva la rilettura, ossia attraverso quale lente può essere e viene letta. Puntare tutto sulla Mulligan finisce con il rappresentare una scommessa vinta.
La sua Bathsheba Everdene è credibilissima, dolce e posata come una donna dell’epoca, risoluta come il carattere che la Provvidenza le ha assegnato. E mentre gli episodi si avvicendano, incalzanti, ciò che resta è proprio lei, mentre traina la scena con il debito ausilio dei comprimari. Su tutti Schoenaerts, non soltanto per il ruolo ma anche per la sicurezza che il suo Gabriel manifesta. Bravo anche Michael Sheen, chiamato ad interpretare Boldwood, un personaggio abbastanza ambiguo, che non parla molto, ma che lui contribuisce a mantenere interessante. Meno incisivo Tom Sturridge: troppo ampia la forbice di differenza rispetto agli altri tre; spaesato, non aiutano certe sue espressioni forzatamente compiacenti. Quanto a Juno Temple, beh… striminzita la sua parte.
Il modo in cui Vinterberg riesce a girare un film classico informandolo con la sua regia asciutta, priva di fronzoli e abbellimenti, meriterebbe di per sé un plauso. Tuttavia, come detto, vi è un cast che si comporta come deve, oltre che una fotografia meravigliosa, dai colori sgargianti ma mai troppo saturi. Ultimamente i film in costume a fatica riescono ad immergerci nel contesto che di volta in volta descrivono e, sebbene buona parte delle dinamiche in Via dalla pazza folla appaiano prevedibili (anche a chi non ha letto il romanzo, da cui questa trasposizione in piccola parte si “discosta”), il suo andamento placido non è in nessun caso ingessato. C’erano forse i presupposti per essere addirittura più grandioso, può darsi; ma già così è roba che non se ne trova tanta in giro. Gli estimatori di certi scenari apprezzeranno senz’altro.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”7″ layout=”left”]
Via dalla pazza folla (Far From the Madding Crowd, USA-Regno Unito, 2015) di Thomas Vinterberg. Con Carey Mulligan, Matthias Schoenaerts, Michael Sheen, Tom Sturridge, Juno Temple, Jessica Barden, Richard Dixon, John Neville, Hilton McRae, Eloise Oliver, Bradley Hall e Helen Evans. Nelle nostre sale da giovedì 17 settembre.