The Stanford Prison Experiment: recensione in anteprima
Un altro film sull’esperimento carcerario di Stanford: ce n’era il bisogno? Forse no, ma The Stanford Prison Experiment è probabilmente tra tutti quello più distaccato, ‘ambiguo’, e per questo persino giusto. Forse Kyle Patrick Alvarez è davvero un regista, nonostante tutto, da tenere d’occhio.
E se avessimo trovato un lucido provocatore e non ce ne fossimo accorti? A guardarli superficialmente, due film come C.O.G. e The Stanford Prison Experiment sono due opere piuttosto lineari e forse persino fragili nell’esecuzione. Qualcuno non a caso, soprattutto nel primo caso, l’ha definita piattezza di stile, la cifra stilistica di Kyle Patrick Alvarez.
Però C.O.G. aveva almeno il coraggio di presentare un protagonista non per forza ‘simpatico’ o empatico, e il pubblico in qualche modo non sapeva se dovesse patteggiare per lui o meno. Succede qualcosa di simile anche in The Stanford Prison Experiment, ispirato all’esperimento tenuto dal professore Philip Zimbardo e il suo team nel 1971 nella Università di Stanford, a Palo Alto.
La storia è risaputa ed è stata raccontata svariate volte, si veda anche The Experiment di Oliver Hirschbiegel: 24 studenti volontari vennero divisi in prigionieri e guardie in una prigione simulata per esaminare la fonte del comportamento abusivo nel sistema carcerario. I risultati stupirono il mondo con i partecipanti che in pochi giorni passarono da normali studenti a sadici e vittime sottomesse.
Nel giro di due giorni si verificano i primi casi di violenza. Le ‘guardie’ iniziano a umiliare i ‘prigionieri’, che si barricano nelle celle e poi tentano addirittura di evadere dal ‘carcere’. Il tutto viene sorvegliato in diretta dalle telecamere di Zimbardo, che spesso non sa se intervenire, lasciar andare il ‘normale’ flusso delle cose, o direttamente bloccare l’esperimento per eccesso di violenza.
Insomma: la trama si presta perfettamente a una presa di posizione netta, si veda lo stesso film di Hirschbiegel. Eppure, cercando quasi disperatamente un appiglio ‘morale’ in questa vicenda, lo spettatore difficilmente lo troverà. Questo perché Alvarez, aiutato evidentemente dalla collaborazione dello stesso prof. Zimbardo, non è interessato ad alcun giudizio.
Ancora più che in C.O.G. c’è una vicenda e ci sono personaggi umani portati sullo schermo in una modalità che accarezza la piattezza, ma è in realtà un tentativo apprezzabilissimo di non distorcere questioni morali e ambiguità. Alvarez insomma, più che colpire lo stomaco dello spettatore in modo gratuito, prova a far sì che sia la vicenda stessa a dialogare con lo spettatore, tanto basta.
Lo aiutano deciamente molto tutti gli attori più giovani (in primis il solito, splendido Ezra Miller), ‘affiatati’ anche nell’essere da due parti opposte della barricata, e Billy Crudup, testardo nel voler avere delle dimostrazioni eppure mai sempre molto convinto delle modalità con cui potrebbe ottenere certi risultati. E gli ultimi minuti, tra l’altro, spiazzano seriamente, compresi i finti filmati d’epoca con le reazioni e i confronti di ‘guardie’ e ‘prigionieri’.
Non è un film che urla in faccia allo spettatore che, se messo in certe condizioni, l’animo umano si trasforma, sia da una parte che dall’altra. E anche il fattore omoerotico non viene ostentato ma fatto strisciare sottopelle (anche perché per certe pulsioni non c’è stato manco il tempo necessario perché esplodessero). Si esce dalla visione condannando l’esperimento ma trovandone una sua urgente utilità.
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”7″ layout=”left”]
The Stanford Prison Experiment (USA 2015, drammatico 122′) di Kyle Patrick Alvarez; con Billy Crudup, Ezra Miller, Michael Angarano, Nicholas Braun, Olivia Thirlby. Sconosciuta la data d’uscita italiana.