Non essere cattivo, da accattone a mafia capitale, capitale della droga
Claudio Caligari ha fatto cinque film poi è morto quest’anno. Il suo film più famoso è “Amore tossico” del 1983. La droga è il suo grande tema. In apparenza.
La droga che ha invaso le periferie romane o i comuni della costa romana dove è stato ucciso Pasolini. Pasolini è il riferimento di Caligari che risale ad “Accattone”, primo film di Pasolini, in cui il grande tema è la disperazione di Franco Citti, Accattone appunto, in cui il giovane de’ borgata è un pappone che odia il lavoro pesante dell’operaio e va a morire, con il caso che gli dà una mano.
In Non essere cattivo, ambientato nel 1995, siamo nella Roma periferica e del litorale in cui gli accattoni non ci sono, ci sono i ragazzi che sono gli affaristi della droga, si fanno e si rifanno (il portafogli) con la droga, merce che corre a fiumi, fino a inquinare il giallo Tevere che diventa bianco di cocaina. Di fronte a questa proposta, viene in mente l’attualità. Viene in mente Mafia Capitale, in cui la corruzione non è quella del corpo e delle menti sballate di chi s’impippa ma la Roma ladrona non quella che il leghista Bossi incoronata come regno del male, ma la Roma ladrona per via della politica guasta che è affiorata negli ultimi anni come un inquieto tsunami di monnezza, inquinando tutti i partiti e aprendo la porta a un possibile scioglimento del comune romano. Neanche ai tempi del sacco de’ Roma, secoli addietro, si era arrivati a tanta vergogna.
Il confronto viene spontaneo, e lancinante. Nei due ragazzi del film del bravissimo regista Caligari, capace di intensità drammatica e di tragica ironia, Roma è ancora quella degli accattoni, nuovi accattoni di guadagni facili e di sballi clamorosi. La droga che i due ragazzi vendono e prendono, tenendosi aggiornati sugli ultimi arrivi delle sostanze allucinanti energetiche, è la voglia di far quattrini e di sentirsi padroni dei sensi e del mondo, capaci di vedere ciò che non c’è.
Una scena è potente e riassume le visioni. Quando uno dei due vede un pullman che non c’è da cui scendono figure di uno spettacolo inesistente: una ragazza in costume da sirena e tanti altri saltimbanchi che ballano. Gli occhi del ragazzo stanno fuori dalle orbite e si mangiano una scena che non c’è, ma muove un barlume di consapevolezza: fermare l’auto guidato dal compare rimasto un pò più lucido per non investire gli attori, i ballerini, la sirena. Occhi fuori dalle orbite che rivelano un mondo che c’è solo nella balorda deflagrazione della super coca ingerita. Il resto del mondo è merda.
O meglio, il mondo è merda. Ma Caligari ci dice che non è solo merda, è vita, ricerca di vita. I sentimenti ci sono, la mamma è la mamma, i bambini sono i bambini gioia della vita, gli amici possono essere fratelli, le donne non sono solo troie ma nutrono i reconditi, e profondi, desideri di mettere su casa, tenersi l’omo mio, concepire un pupo. E’ la Roma di “Non essere cattivo”, due volti, un inferno solo nella capitale in cui svetta la piccola città del papa, il Vaticano. Non essere cattivo, ovvero un proposito che viene da dentro, dalla famiglia bona, dalla tradizione della parrocchia che nun c’è più.
Nel finale, morto l’amico dello smercio e degli affetti, l’allucinato dagli occhi sbarrati che vede la sirena s’ incanta davanti al pupo dell’amico dello smercio che è morto, e ha lasciato a lui e alla ragazza che ha partorito il frutto di un amore “non tossico”, un “non” che non è scritto da nessuna parte, lo si fa vedere appena, lo si chiama, nel gran gioco tenero degli intenti e dei propositi, riassunti nel bel titolo: “non essere cattivo”, scritto sul petto di un orsacchiotto che finirà su una tomba (quella della bambina tanto cara all’amico che è morto, il ragazzo più lucido al volante dell’auto ferma davanti allo spettacolo inesistente della sirena).
Caligari ha il cuore per concludere, diluendo amarezza e “cattiveria” nelle foglie che tremano nei ragazzi con i brividi di essere normali. E’ il 1995, ricordiamo. Roma è Mafia Capitale, e lo era anche allora, anche se non se ne parlava, se non era venuta fuori, non si osava svelarla. Era la Roma sirena di sempre, e non quella bieca e oscura che questi giorni ci raccontano.
La tenerezza e la commozione finale mostrata da Caligari dopo i fuochi d’artificio “cattivi” della quotidianità delle borgate e del litorale, terra e sabbia di piccoli feroci gangster, forse è quella che gli ha consentito di fare un film aiutato finanziariamente dalle televisione. Una Roma nera di fumi, con una lacrima appesa sulle palpebre di accattoni pentiti o in via potenziale di pentimenti; e così sia.