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Pantafa: clip, interviste e colonna sonora del film horror con Kasia Smutniak (al cinema dal 30 marzo)

Tutto quello che c’è da sapere su “Pantafa”, il film horror di Emanuele Scaringi con Kasia Smutniak e Greta Santi al cinema dal 30 marzo 2023

30 Marzo 2023 11:54

Dopo l’anteprima al 40º Torino Film Festival nella sezione “Crazies”, dal 30 marzo arriva nei cinema d’Italia con Fandango Pantafa, un horror sovrannaturale ispirato al folklore abruzzese, diretto da Emanuele Scaringi e interpretato da Kasia Smutniak e Greta Santi, quest’ultima nuovo talento visto di recente nella commedia Tre di Troppo al fianco di Fabio De Luigi e Virginia Raffaele.

Pantafa – Trama e cast

La trama ufficiale: Marta (Kasia Smutniak) si trasferisce insieme a sua figlia Nina (Greta Santi) a Malanotte, un piccolo paese di montagna. La bambina da qualche tempo soffre di paralisi ipnagogiche, un disturbo del sonno che può portare ad avere stati allucinatori, e Marta ha pensato che un po’ di aria di montagna e di lontananza dalla frenesia cittadina possano giovare alla piccola. La casa in cui si trasferiscono però è tutt’altro che accogliente e per le strade di Malanotte non si vedono mai bambini. I sintomi di Nina cominciano a peggiorare già dalla prima notte, la bambina fa incubi sempre più vividi in cui una figura spettrale le si siede sul petto, la immobilizza e le ruba il respiro. Per Marta, madre sola in un paese che le appare sempre più sinistro, sarà ogni giorno più difficile trovare il modo di fare la cosa migliore per la sua bambina.

Il cast include anche Mario Sgueglia, Betti Pedrazzi, Mauro Marino, Giuseppe Cederna e Francesco Colella.

Pantafa – Trailer e video

Nuove clip ufficiali pubblicate il 30 marzo 2023

Curiosità

  • Il film è una co-produzione Italia-Argentina
  • Emanuele Scaringi (La profezia dell’armadillo, Bangla – La Serie, L’alligatore) dirige questo suo secondo lungometraggio da una sua sceneggiatura scritta con Tiziana Triana e Vanessa Picciarelli.
  • Il produttore Domenico Procacci ha parlato di “Pantafa” con il sito americano Variety:  “Fandango non ha mai realizzato un film horror in 30 anni [della nostra esistenza] perché personalmente non sono né un grande fan [di questo genere] né un esperto. Ma Scarigni credeva davvero in questo progetto, quindi ho accattato la cosa…è un tipo piuttosto particolare di film horror che mescola naturalismo e horror.
  • Il produttore Domenico Procacci per il film ha potuto avere la costumista premio Oscar Gabriella Pescucci (“Penny Dreadful”). Ha incontrato Pescucci durante una visita a Smutniak sul set della serie Sky “Domina”, che guarda l’Antica Roma attraverso un prisma femminile. In “Domina” la Smutniak, compagna di Procacci, interpreta la protagonista, Livia Drusilla, moglie dell’imperatore Augusto.
  • Il film fruisce anche della fotografia di Simone D’Onofrio, del montaggio di Gianluca Scarpa e delle scenografie di Alessandro Vannucci.
  • Il film è prodotto da Domenico Procacci e Laura Paolucci per Fandango in patnership con Rai Cinema e Lifi (Argentina)

Note di regia

Vi è mai capitato di svegliarvi all’improvviso e di trovarvi con gli occhi sbarrati nel cuore della notte, con addosso una strana sensazione di panico, l’incapacità di muovere un solo muscolo e la percezione di qualcosa o qualcuno sul petto che vi opprime? Non preoccupatevi, non siete soli. Qualche anno fa un gruppo di ricercatori dell’università di Padova in associazione con l’Università della California e di Harvard ha condotto uno studio sul fenomeno della paralisi del sonno, scoprendo che questa patologia colpisce circa il 10% delle persone nel corso della vita. La paralisi ipnagogica è l’incapacità di muoversi quando ci si risveglia durante la fase REM nella quale avvengono i sogni e il corpo è paralizzato per impedire il loro attuamento nella realtà. L’attività onirica della fase REM, ancora attiva, può creare allucinazioni, anche terrificanti. Un terzo delle persone coinvolte nello studio ha dato una sorprendente interpretazione culturale a questo fenomeno. Riteneva che questa potesse essere causata da un’entità soprannaturale conosciuta con il nome di Pantafa. La Pantafa è una leggenda popolare. Una creatura che si siede sul petto e ti ruba il respiro. Il folclore italiano è popolato da numerose leggende che fanno parte della nostra cultura e che rappresentano uno dei modi principali con cui esorcizzare il male e le paure. Attingere a questo impressionante pozzo di storie significa entrare in un mondo fatto di riti, superstizioni e meraviglie. Un mondo affascinante e pauroso insieme. La Pantafa è la raffigurazione del mostro. La rappresentazione del male. L’incarnazione della nostra parte più buia. Un male oscuro che ci consuma quotidianamente e rode ogni nostra piccola sicurezza. Una delle paure più inconfessabili e difficili da accettare è l’odio verso la progenie. Un rancore indicibile e soffocato. Quello spirito maligno che insinua il dubbio che senza quel figlio la propria vita sarebbe stata diversa. Un tabù. Forse il più terribile di tutti. La Pantafa è una parte di noi, parla delle nostre bassezze più recondite. Quello che spaventa non è l’orrore mostrato ma il non visto, l’orrore che viene evocato. Quello che non si potrebbe raccontare. Le storie dell’orrore servono anche a questo, a trasformare, tramandare e liberarsi delle nostre paure e debolezze.

Emanuele Scaringi – Note biografiche

L’horror “Pantafa”, basato su una leggenda popolare, è il suo secondo lungometraggio dopo l’esordio con “La Profezia dell’armadillo” tratto dalla graphic novel di Zerocalcare, Venezia 2018, con cui ha partecipato a oltre 50 festival. Ha curato la regia delle serie tv “Bangla”(Nastro d’Argento come miglior commedia) e “L’Alligatore” (puntate “Il corriere colombiano” e “Il Maestro di nodi”) tratta dai romanzi di Massimo Carlotto. Produttore creativo del film “Bangla” di Phaim Bhuiyan e produttore delegato dei film “I predatori” di Pietro Castellitto, “Il regno” di Francesco Fanuele, “Dove cadono le ombre” di Valentina Pedicini, “Smetto quando voglio” di Sydney Sibilia, “Tutti contro tutti” di Rolando Ravello e “L’ultimo Terrestre” di Gipi. Ha scritto le sceneggiature di “Senza nessuna pietà” di Michele Alhaique, “Diaz don’t clean up this blood” di Daniele Vicari e “BB e il cormorano” di Edoardo Gabriellini. Realizzato il documentario “Okùnchiràn – Emergency in Cambogia”, I edizione festa del cinema di Roma 2006. Ha diretto le riprese degli spettacoli teatrali “Moby Dick” di Alessandro Baricco, “Non Dirlo” di Sandro Veronesi, “Chisciotte e gli invincibili” di Erri De Luca, “I capitoli dell’infanzia” di Davide Enia e dei concerti della notte della Taranta, del tour di Vinicio Capossela “Nel niente sotto il Sole”, di “Ciao Poeta” omaggio a Sergio Endrigo.

Intervista a cast e regista

Che cosa vi siete ripromessi di raccontare con questa storia?

Emanuele Scaringi: Volevamo creare un mostro nostro, un guardiano del sonno, che aleggia su un luogo e al tempo spesso spaventa e protegge. Impersonifica un male, un disturbo. Un archetipo, che permette di affrontare la paura, come nelle fiabe. C’è una madre con la sua bambina che stanca della città decide di trasferirsi in un paesino montano, abitato da una leggenda popolare. Ma chi è la Pantafa? O meglio, cosa rappresenta, cosa simboleggia? Temiamo sempre le cose che vengono dall’esterno, invece spesso il buio alberga dentro di noi.

Come si è confrontato con l’alone di leggenda popolare che aleggia sulla storia e che tipo di documentazione e ricerca avete compiuto con gli altri sceneggiatori sui disturbi del sonno e gli incubi a loro legati?

ES: Non avevo mai immaginato di approcciarmi all’horror ma ho incontrato un articolo sui disturbi del sonno e ho scoperto la Pantafa: abbiamo costruito un nostro immaginario sul folklore italiano che è poco sfruttato ma è popolato da numerose leggende che fanno parte della nostra cultura e che rappresentano uno dei modi principali con cui esorcizzare il male e le paure. Attingere a questo impressionante pozzo di storie significa entrare in un mondo fatto di riti, superstizioni e meraviglie, un mondo affascinante e pauroso insieme. Siamo partiti dallo studio di un vero disturbo certificato scientificamente, quello sulle paralisi ipnagogiche di Andrea Romanelli dell’Università di Padova condotto con l’Università della California e Harvard. E poi abbiamo preso in considerazione “I tre fratelli che non dormono mai” di Giuseppe Plazzi, da cui stiamo cercando di realizzare una serie sui disturbi del sonno. Da lì abbiamo compiuto delle ricerche sulla figura che si siede sul petto, ti immobilizza e ruba il respiro, la Pantafa, consultando soprattutto studiosi di tradizioni popolari abruzzesi come Gennaro Finamore, Antonio De Nino e Emiliano Giancristofaro. Abbiamo studiato le feste popolari, per lo più agricole, e la loro funzione propiziatoria. C’è anche un racconto di Dino Buzzati pubblicato in “Misteri d’Italia” che è stato per noi un’importante fonte d’ispirazione. Mi piace pensare che il nostro film sia anche un po’ un racconto orale che recupera e tramanda le tradizioni che stanno scomparendo. Fondamentali sono state per noi anche le ninne nanne, abbiamo pescato dall’enorme lavoro di Domenico Di Virgilio, così come abbiamo tenuto presente il saggio di Garcia Lorca sulle ninne nanne andaluse da cui si evince che la maggior parte risultano essere delle minacce al bambino che non vuole prendere sonno. Una cosa molto vicina al tema del nostro film.

 

La sinossi del libro: Nulla è più misterioso della nostra mente quando dormiamo. Accadono infatti cose che neanche la fervida fantasia di un grande scrittore saprebbe immaginare, e molte sono le domande che tutti ci facciamo, senza però trovare risposta. Com’è possibile guidare una macchina, parlare lingue misteriose o camminare per ore durante il sonno? Da dove vengono quelle inquietanti visioni di demoni, folletti e spettri che infestano la nostra stanza? Che cosa spinge i bambini a gridare terrorizzati nel cuore della notte? Perché alcune volte abbiamo l’impressione di cadere da una sedia e ci svegliamo? Il neurologo Giuseppe Plazzi ci apre le porte del suo laboratorio, dove ogni giorno pazienti con disturbi del sonno rari e affascinanti – oppure molto diffusi, come il sonnambulismo, l’insonnia, il terrore notturno e la sindrome delle gambe senza riposo – riscrivono i limiti scientifici delle nostre conoscenze e, forse, della nostra realtà. Tre fratelli affetti da un’insonnia letale, un frate perseguitato dal diavolo, un uomo capace di volare, una donna tormentata da fantasmi col collo lungo, un giovane sonnambulo colpito da una mutazione genetica, le acrobazie sessuali di una coppia durante il sonno, un intero paese caduto in letargo: sono soltanto alcune delle molte storie raccolte in queste pagine dal dottor Piazzi, dalle quali emerge un universo notturno costellato di sogni, incubi, allucinazioni, capacità soprannaturali e imbarazzanti risvegli in cui ogni lettore, con sorpresa, non faticherà nel suo piccolo a riconoscersi. Un’opera dal ritmo romanzesco e dalla temperatura letteraria – nel solco della tradizione di Oliver Sacks -, spaventosa a volte, altre volte divertente, grazie alla quale scoprire gli angoli più bui delle nostre notti, capire i meccanismi segreti del sonno e acquisire una consapevolezza preziosa: neanche solcando tutti i mari, guadando tutti i fiumi, attraversando tutte le terre o arrampicandoci sulle più impervie cime che punteggiano questo mondo riusciremmo a vedere tante cose quante il nostro cervello è in grado di mettere in scena in una notte.

Il libro “I tre fratelli che non dormivano mai e altre storie di disturbi del sonno” di Giuseppe Palazzi è disponibile su Amazon.

C’è stata una costruzione comune del personaggio con Kasia Smutniak?

ES: Kasia è una perfezionista. Molto esigente, soprattutto con sé stessa. Abbiamo preparato molto il personaggio, voleva sapere perfettamente qual era il suo percorso. Io però tendo a “sgusciare” via, a sterzare di lato, non volevo metterla su dei binari predefiniti. Volevo che fosse man mano meno sicura di dove stesse mettendo i piedi. Ci sono dei momenti, in scene anche apparentemente innocue e quotidiane, in cui lei regala grande intensità. È stata molto generosa, anche nel mettersi a nudo. Si è caricata il personaggio sulle spalle dando vita a una creatura complessa, esplorandone gli angoli bui. Sono molto contento di aver potuto lavorare con lei e se penso alla qualità e all’intensità del suo lavoro mi sembra incredibile che un’attrice del suo calibro non abbia ancora ricevuto i riconoscimenti che merita.

La sinossi del libro: Il mondo fantastico e magico, inquietante e surreale di Buzzati poteva forse trovare occasione più felice, per confrontarsi con la realtà quotidiana, che un’inchiesta giornalistica sui fenomeni di parapsicologia? E infatti Buzzati la colse con contagioso entusiasmo nell’estate del’65, quando scrisse per il “Corriere della Sera” una Serie di “pezzi” dal titolo “In cerca dell’Italia misteriosa”. Ne uscì un servizio dal fascino straordinario, che riusciva a rendere allucinatorio il reale e realistico l’incredibile: dai ferroviere medium che organizza a Verona una seduta e poi scopre che è morto tre mesi prima, alla strega abruzzese che conficca 400 aghi nel corpo di un bambino. Mai lo humour nero del Buzzati narratore aveva trovato modo di calarsi così spontaneamente nella immediatezza del Buzzati giornalista. Così questa raccolta, mentre ci propone il puzzle imprevisibile di un’Italia sconosciuta, fa emergere l’immagine, affabile ed elusiva, ironica e indecifrabile, di un grande scrittore del nostro Novecento.

Il libro “Misteri d’Italia” di Dino Buzzati è disponibile su Amazon.

Che tipo di lavoro ha compiuto con la piccola Greta Santi e quale collaborazione creativa c’è stata tra di voi?

ES: Greta è un altro piccolo mostro di bravura. Era la sua prima volta sul set ed è stata incredibile. Abbiamo cercato di trasportare tutto sul gioco, di non farle pesare certe scene, di farla sentire a suo agio il più possibile. In un’occasione però non sono stato molto corretto e me ne scuso, volevo si spaventasse veramente…”.

Ricorda qualche momento della lavorazione più difficile e complesso di altri?

ES: Per Greta Santi una particolare sequenza, poi tagliata in fase di montaggio, in cui lei doveva mangiare dei lombrichi. Ha fatto di tutto nel film: dall’andare a cavallo, al volare in aria, all’essere lanciata contro un muro, agli schizzi di sangue sul viso, a sostenere il peso dell’attrice Betti Pedrazzi che le sale in piedi sul petto; eppure non c’è stato verso di farle mangiare quei wurstel a forma di anelide, le facevano senso. Da un punto di vista emotivo sono state particolarmente impegnative le scene delle paralisi e degli attacchi mentre da un punto di vista tecnico sono state complicate quelle della battaglia finale e della festa in piazza, dove Kasia in piano sequenza, praticamente in un primo e unico ciak, fa qualcosa di incredibile. A un certo punto della nottata si è affacciata una signora dal balcone per aiutarla…”.

Quali sono state le difficoltà nell’allestire un horror oggi?

ES: Gli horror, i film di genere in generale, hanno bisogno di essere girati per acquisire maggior padronanza. Un po’ come la protagonista del nostro film, Marta, che si trasferisce a Malanotte e vuole dedicarsi a un pezzo di terra. C’è bisogno di un po’ di tempo per riappropriarsi di alcuni mestieri. Magari ora “Pantafa” potrà diventare una saga, vediamo se piacerà al pubblico. Un’altra difficoltà è insita del genere. La questione non è il genere, che è solo un modo per raccontare, un vestito: il tema mamma-bambina è complesso e l’horror ci sembrava il genere giusto per renderlo popolare, ti fa affrontare una parte buia di te e io ne sono stato attratto particolarmente. Non esistono però scene facili, non basta girare bene certe sequenze, devono anche far paura. C’è un continuo alzare l’asticella, nonostante l’horror venga preso un po’ sottogamba, sottovalutato. Alla fine, un film o è buono o non lo è, va oltre il genere.

Quale curiosità e interesse crede che possa esserci per un film come questo nell’attuale momento del cinema italiano in sala?

ES: Speriamo di arrivare alla settimana successiva all’uscita… La pandemia ha dato il colpo di grazia alle sale, ha accelerato la fruizione attraverso le piattaforme. Il teatro e la musica hanno ritrovato un loro pubblico ma il cinema non ancora. Fatica, e tutto questo è triste. Dovrebbe essere un evento. Arrivare in sala dopo anni di lavoro e condividere l’esperienza cinematografica con il pubblico. Un po’ quello che dicevo prima per i racconti orali. Un film e un po’ una fiaba, ed è bello condividerla al buio insieme.

Chi è la Marta che lei interpreta nel film?

Kasia Smutniak: E’ una donna libera e indipendente, una madre che va ad abitare in un paesino di montagna dove vuole ricominciare la vita da capo permettendo alla sua bambina, Greta, di respirare aria pulita: la piccola infatti soffre di paralisi del sonno, cosa che la rende soggetta ad apnee notturne per cui si sveglia e non riesce a muovere il corpo che, al contrario del cervello, sta ancora dormendo. Questo particolare disturbo crea una terribile sensazione di peso sul petto che non permette di respirare bene e di confondere il sogno con l’essere svegli. Marta è una donna che ha un piano ma rimane sempre spigolosa, si concede poco, è ossessionata dall’ansia di protezione nei riguardi di sua figlia, ma per proteggerla poi da chi e da che cosa? È un personaggio molto complesso, sappiamo pochissimo del suo passato, capiamo che è una madre imperfetta, una donna in fuga, divisa in due, una donna che avrebbe bisogno di aiuto e invece deve dimostrare di essere un punto di riferimento per la sua bambina, capiamo che avrebbe bisogno di qualcuno, di un sostegno ma deve combattere da sola. Il tutto si svolge sotto l’occhio vigile ma un po’ sfuggente della balia Orsa (Betti Pedrazzi) e quelli volitivi quanto teneri e rassicuranti della mamma, non fino in fondo soltanto spettatrice degli eventi che chiamano in causa la sua bambina il cui disturbo sarà condizionato nel tempo da una vera e propria terrificante maledizione: quella che doveva essere una trasferta rigenerante si rivelerà così un incubo.

Che cosa l’ha interessata e incuriosita di più in questo progetto?

KS: Soprattutto la sceneggiatura, non avevo mai girato un film di questo genere, mi era piaciuta la possibilità di collaborare con Emanuele Scaringi, un amico che conosco e stimo da tempo, e mi è sembrata subito una bella sfida, qualcosa che non avevo mai affrontato e che ancora adesso non capisco del tutto. Mi era piaciuto il mio personaggio e avevo capito che si poteva approfondire un tema interessante come quello delle crisi ipnagogiche, ero curiosa di sapere qualcosa di più su questa paralisi del sonno che nel film ha un vero e proprio volto fisico angosciante, quello della Pantafa, una creatura che secondo una leggenda popolare si siede sul petto e ti ruba il respiro diventando così una metafora del difficile rapporto tra la madre e la figlia che ne soffre. Questa rappresentazione della malattia viene così incarnata in un personaggio del folklore italiano, popolato da numerose e oscure leggende popolari che fanno parte della nostra cultura e che rappresentano uno dei modi principali con cui esorcizzare il male e le paure. Si parla di fenomeni inspiegabili che facevano parte delle tradizioni, del tramandarsi la consapevolezza, la paura esiste da sempre, anche per i bambini, se si pensa a Cappuccetto Rosso o ad altre favole si tratta sempre di storie terrificanti a cui i bambini vengono iniziati forse per avvicinarli alla paura e per esorcizzarla, si è creata una specie di necessità in tutte le culture e tutte le tradizioni, è qualcosa che unisce tutte le civiltà dall’inizio dei tempi. Attingere a questo impressionante pozzo di storie significa entrare in un mondo fatto di riti, superstizioni e meraviglie. Un mondo insieme affascinante e pauroso da portare in scena in un’operazione interessante per decentrare il discorso narrativo in zone meno frequentate dalla nostra produzione: l’horror rurale, la storia di fantasmi, il centro Italia, la prevalenza del femminile”.

Come ha costruito il suo personaggio?

KS: Innanzitutto non l’ho mai giudicato, prevaleva la psicologia, necessaria nel processo della storia. C’è questa madre molto fragile, la sua incapacità di avere un rapporto col mondo esterno: “Pantafa” è anche un film sul distacco tra madre e figlia, che non tutti sono in grado di affrontare senza paura. Il racconto va a esplorare certi aspetti del subconscio femminile, racconta una parte femminile dell’universo: c’è una madre, una figlia, una donna adulta che tramanda il proprio sapere a queste due femmine e c’è il lato oscuro, e anche questo è una donna. Non avevo tanti strumenti a disposizione per rendere la paura e lo stress, non ho mai avuto modo di sperimentare da vicino le crisi ipnagogiche (e per questo mi ritengo fortunata), mi sono fatta guidare dal mio regista. Poi cerchi sempre di capire e di immaginare come avresti reagito in un certo contesto ma quello che ci metto dentro rimane tutto mio, lo so soltanto io e non so e non devo spiegarlo ma se poi arriva al pubblico e rimane credibile tanto meglio.

Si è accostata al ruolo puntando all’immedesimazione o al distacco?

KS: Ho fatto un ragionamento diverso: era fondamentale essere credibili, è un confine labile quello tra l’avere paura e il far finta di avere paura, la grande sfida era quella di trovare una bambina che fosse matura abbastanza da un punto di vista emozionale per distaccarsi e reggere un film sulle proprie spalle: abbiamo fatto tanti provini, sono state visionate molte bambine e il percorso delle ricerche per provinarle si è rivelato tortuoso. Greta Santi è stata un colpo di fulmine, aveva la maturità e il distacco e questa maturità si è manifestata nella realtà in un rapporto tra me e lei che somigliava a quello che esisteva tra i nostri personaggi di madre e figlia.

Che rapporto si è creato con questa bambina?

KS: Lavorare con lei è stata una gioia, è pazzesca, non ha mai avuto paura di niente, tra noi due era quella meno labile, quando io in certi momenti piombavo nel terrore, era lei che dava forza a me e non il contrario, era pur sempre una bambina ma con un enorme talento e una grande intelligenza e questi due elementi uniti hanno fatto sì che lei abbia dimostrato non solo di essere all’altezza ma anche di saper dare molto di più di quello di cui noi avevamo bisogno.

Che tipo di relazione si è creata con il suo regista e la troupe, avete contato su un copione solido o c’è stato anche spazio per aggiungere qualcosa sul set?

KS: Ci sono state delle cose anche improvvisate, ad esempio nelle scene con i bambini, la sfida era quella di giocare, ho sentito molto forte sia il rapporto con Emanuele Scaringi che quello con tutti i compagni di lavoro, è come se avessimo vissuto un’esperienza in cui eravamo trascinati in una sorta di paranoia collettiva: penso ai mesi di riprese durante il lockdown nella “zona rossa” in Abruzzo: per qualche strano scherzo del destino abbiamo alloggiato in un convento sconsacrato e abbiamo trascorso notti intere circondati da buio e da animali selvatici con una forte sensazione di isolamento e una paura che non ha giovato alla tranquillità della troupe ma ha intensificato ulteriormente un po’ per tutti la sensazione di smarrimento. Tutto questo non aiutava nessuno a sentirsi particolarmente bene. Pensavo che partecipando a un horror avrei esorcizzato la paura e invece è successo l’opposto, è stata un’esperienza singolare da non rifare, dopo le riprese non ho dormito tranquillamente per mesi e ancora oggi non ho avuto ancora il coraggio di vedere il film e non so se lo avrò mai.

Avete anche potuto contare su una squadra di lavoro di prim’ordine…

KS: Sì e a questo proposito vorrei mettere in rilievo l’apporto decisivo di Gabriella Pescucci, la straordinaria costumista premio Oscar per “L’età dell’innocenza” di Martin Scorsese che è entrata nel nostro progetto con grande entusiasmo. Amo lavorare con lei, sono felice di averla incontrata nel mio percorso di attrice e di persona a partire dalla serie tv americana “Domina” di cui sono stata la protagonista un paio di anni fa, quando l’avevo “sondata” per sapere che cosa pensava del nuovo film che mi accingevo a interpretare. Le ho chiesto se avesse avuto tempo e voglia di disegnare magari soltanto il costume della Pantafa ma lei ha letto il copione in una sera e il giorno dopo mi ha detto che non solo avrebbe realizzato l’abito ma che avrebbe lavorato volentieri per tutto il film come costumista, rivelandosi poi fondamentale in ogni fase nella creazione dell’immaginario della nostra storia. Avevo il timore che lei e il suo magnifico gruppo di lavoro potessero snobbare un film di genere ma Gabriella e i suoi collaboratori sono artisti sensibili, artigiani preziosi di altri tempi, e tutta la discussione sul progetto è stata subito portata su un altro livello, superiore.

In genere il suo approccio a un film e a un personaggio cambia a seconda del film che interpreta?

KS: Sì, cambia ma non ruota intorno al genere, dopo 20 anni di lavoro si impara tanto ma ogni volta la cosa più bella è ricominciare da una carta bianca e rimettersi sempre in discussione e in gioco, essere in ascolto, avere un canale di percezione aperto, essere pronti ad accogliere la sorpresa che può portare con sè un nuovo percorso. Il nostro è un mestiere che spinge ogni volta a essere sinceri con se stessi, è estremamente personale, credo che sia la cosa che si avvicina di più alla psicanalisi, non è un lavoro che finisce con lo stop a una scena o con la fine di tutte le riprese, un attore non è attivo soltanto nel periodo che trascorre su un set, il suo è un percorso che certe volte finisce e altre no. La cosa più bella avviene quando un ruolo e un’esperienza ti rimangono addosso per sempre, è come se tu ti regalassi un’esperienza in più, una vita parallela in più, cerchi sempre dentro di te tutto quello che serve per interpretare un certo personaggio o una determinata storia. Ogni progetto e ogni giornata di lavoro sono differenti, è qualcosa di particolare, difficile da spiegare e da raccontare, viviamo tutto in una sfera molto personale, anche in totale solitudine, nel senso che alla fine ci sei soltanto tu a fronteggiare tutte le tue paure, quando il film finisce rimani tu col tuo bagaglio di esperienze ed emozioni e non sai se a un certo punto ti sentirai “liberato” o meno.

Pantafa nella credenza popolare

Una delle più radicate credenze popolari del folklore abruzzese e marchigiano, nonché più spaventosa, è la Pantafica, chiamata anche “Pantafiche” e “Pandafeche”. La Pantafica, secondo la credenza popolare, è una donna spettrale dagli occhi demoniaci, personificazione dell’incubo che agisce di notte posizionandosi sopra le persone che dormono. Si accovaccia sul corpo e con una mano blocca la bocca del malcapitato impedendone il sonno. Poi passa a braccia e gambe e quando la persona si sveglia, la Pantafica svanisce magicamente. Sembra una strega, è vestita di bianco e ha la bocca (o muso) a punta. In più, ama realizzare trecce con le criniere dei cavallie in alcuni casi assume invece l’aspetto di un grosso gatto nero. Figure simili sono presenti con altri nomi: pesàntola in Istria, la fantàsima in Toscana e Umbria, il linchetto in Toscana, il pundacciu e l’ammuntadore in Sardegna, lo stricacuor, il calcatrep, il calcarello e il mazapegolo in Emilia-Romagna, la carcaveja in Piemonte, il carcun in Lombardia, il pesarello nelle Marche, il fracariol, la smara, il premevenco e il sanguanello in Veneto. Leggende analoghe si trovano anche in Egitto (shaitan, jinn), Canada (old hag), Giappone (kanashibari), Cina e Cambogia. La soluzione per proteggersi dalla Pantafica tramandata di generazione in generazione è lasciare un fiasco di vino vicino al letto, così la strega ne sarà distratta, oppure un sacchetto di legumi o una scopa con tante setole. Queste ultime due soluzioni stuzzicano una delle ossessioni della strega: contare piccoli oggetti.

Altre storie e leggende d’Abruzzo

SANSONE E LA NASCITA DELLA MORGIA: Secondo la leggenda, la “Morgia” viene attribuita niente che di meno all’eroe biblico Sansone, il quale prese il masso roccioso e con un solo passo lo portò da Palena a Gessopalena, posizionandolo così come lo vediamo oggi…
LA GROTTA DEL CAVALLONE E LE FATE: Si narra che nel territorio di Taranta Peligna, sembra che alcune fate abruzzesi, abitassero all’interno della Grotta della Figlia di Iorio (così chiamata successivamente da Gabriele D’Annunzio)…
ERNESTINA DI POMPEO, LA STREGA CURATRICE: Ernestina, figlia di Alberico pescatore e di Ave massaia e levatrice, nasce a Campli nel 1598, dopo varie vicissitudini e carestie la sua famiglia decide di trasferirsi in quel di Giulianova anche per via del lavoro del padre…
LA LEGGENDA DEI BAMBINI SCOMPARSI E IL COLLE DELLE FATE: Secondo la leggenda, le Fate appartengono ad una specie di “terra di Mezzo”, un limbo tra cielo e terra, ed è per la loro natura, né demoni, né angeli che sono costrette a vivere in zone crepuscolari, come il colle a loro nome…
IL BOSCO SACRO DELLA DEA ANGIZIA A LUCO DEI MARSI: Poco lontano dalle rive dello scomparso lago del Fucino a Luco dei Marsi (AQ) c’è un bosco: gli antichi abitanti attribuivano a questo bosco il termine sacro, “lucus”, proprio per indicare che si entrava in un luogo dai richiami soprannaturali…
COSTOLA DEL DRAGO: Secondo la leggenda, Atessa era in principio formata da due città Ate e Tixa, separate da una valle paludosa nella quale abitava un temutissimo drago…
IL LUPO MANNARO IN ABRUZZO: Le storie di lupi mannari non sono mai mancate qui in Abruzzo, ogni paese della regione può vantare la propria storia o leggenda di esseri umani che all’improvviso, nelle notti di luna piena si trasformavano in “licantropi”…
IL TESORO DI RE MANFREDI: Nel fondo della Gola del Salinello, dove la corrente del fiume è più forte, si narra di un enorme macigno che bloccherebbe una grotta in cui si celerebbe il tesoro di Re Manfredi di Svevia in monete d’oro, rame e argento…
LA LEGGENDA DEL MAZZEMARILL: Il suo nome è Mazzemarill, questo strano ometto vengono attribuite diverse storie e straordinarie capacità. Il suo anello infatti, possiede misteriosi poteri col quale può fulminare ed uccidere chiunque lo tradisca…
LA LEGGENDA DELLA STREGA MELINDA: prepara la sua prima fattura, appresa da una “commara”, con una ciocca dei suoi capelli, un bottone del suo corpetto e un pezzo di stoffa imbevuto del suo sangue mestruale, lasciandola sul letto per il ritorno dal fronte del seduttore…
LA STORIA DI ERNESTINA DI POMPEO: La storia più vicina a noi è quella di Ernestina Di Pompeo la più emblematica di tutte, avvolta da un velo di tristezza e rabbia. Siamo nell’anno di grazia 1619 in quel di Castrum Novum “Giulianova”…
LEGGENDA MADAMA ANGIOLINA: Esistono diverse leggende che narrano la storia del lago di Scanno. Secondo una di queste, Angiolina abitava in una rocca inaccessibile posta al centro del lago e si dedicava all’arte della magia…
LA LEGGENDA DEL MANTO REALE: C’erano due re. Uno aveva un figlio, e un altro una figlia. Tra loro c’era amicizia stretta; ma si proponevano di stringerla di più, con la parentela, volendo che, a tempo debito, succedesse un matrimonio tra i loro figli…
I MORTI SENZA SEPOLTURA: L’antico uso di seppellire i morti sotto le pietre trae origine dall’orrore istintivo che l’uomo ha sempre avuto alla vista dei cadaveri, ma anche dal fatto di voler dare al morto la possibilità di difendersi dai geni maligni…
LA LEGGENDA DEL LUPO E LA LUNA: Secondo una leggenda, si narra che una sera di tantissimi anni fa, la luna scese sulla terra e rimase impigliata tra i rami di un albero. In quel momento un lupo che passava di là si accorse della luna che non riusciva a liberarsi…

Se volete approfondire una o più delle leggende elencate cliccate QUI.

Pantafa – La colonna sonora

  • Le musiche originali del film sono di Ratchev & Carratello (Gianni e le donne, Tommaso, Il campione, Padrenostro, La foresta di ghiaccio)
  • La colonna sonora include il brano “Ninna Nonna Ninna No’ (Nuovi Canti della Terra d’Abruzzo)” di Luigi Di Tullio & Coro Polifonico Histonium, tratto dal libro “Nuovi canti della Terra d’Abruzzo” (Squilibri Editore, Roma, 2018), a cura di Luigi Di Tullio e Domenico Di Virgilio, che hanno recuperato molti canti della tradizione popolare abruzzese riproponendoli attraverso nuove elaborazioni.

1. Il Sogno della Pantafa
2. La Vecchia Casa
3. Giochi per il Citele
4. Sale, Ceci e Ramelle
5. I Figli della Pantafa
6. Nell’Armadio
7. Gatto Forastico
8. La Notte Ruba il Respiro
9. Sotto il Letto
10. Lo Spettro della Madre
11. Sfida al Mostro
12. La Morte della Pantafa
13. Pantafa
14. Ninna Nonna Ninna No’ (Nuovi Canti della Terra d’Abruzzo) – Luigi Di Tullio & Coro Polifonico Histonium

La colonna sonora di “Pantafa” è disponibile su Amazon.

Pantafa – Foto e poster

Foto: Christian Nosel

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