Quay: recensione del cortometraggio di Christopher Nolan e dell’evento di New York
Uno dei registi più influenti della Hollywood contemporanea e due geni dell’animazione: Christopher Nolan incontra Stephen e Timothy Quay. Cronaca di un evento affascinante tenutosi a New York, in occasione di una breve retrospettiva dei fratelli e della prima mondiale del corto documentario che il regista di Interstellar ha dedicato al loro lavoro.
“Non vogliamo per niente emulare quello che possiamo vedere fuori dalla nostra finestra”, dicono i fratelli Quay ad un certo punto del corto documentario che Christopher Nolan ha dedicato loro. Una frase che riassume non solo uno stile e un approccio, ma anche una visione del mondo.
Quando ho visto The Forbidden Room di Maddin a Berlino, l’ho definito ciò che sarebbe se il cinema si mettesse a dormire e sognasse. Ecco: le opere di Stephen e Timothy Quay sono in particolare ciò che il cinema sognerebbe se avesse un sonno inquieto e fantasioso, quasi nel momento in cui ci si sveglia di soprassalto da un incubo in piena fase REM.
I Quay sono, assieme al collega Švankmajer, tra i pochi registi al mondo che hanno fatto della carriera d’animazione (in stop motion) un vero e proprio percorso artistico e autoriale. Facile capire perché Nolan ne sia rimasto affascinato e in parte influenzato, e con lui tanti altri lì fuori (penso a Jonathan Glazer, altro inglese che si dev’essere rivisto più volte i lavori dei due gemelli).
Il Film Forum, celebre cinema di New York emblema dell’indipendenza e delle retrospettive più interessanti della città, ha omaggiato i Quay con una piccola rassegna. Si sono visti tre loro cortometraggi, nell’ordine: In Absentia (2000), The Comb (1991), e Street of Crocodiles (1986). Curiosamente tutto cronologicamente al contrario. Tra il primo e il secondo c’è stata la prima mondiale di Quay, il corto di Nolan.
Quay, della durata di poco più di 10 minuti, è un omaggio che Nolan ha voluto fare ai gemelli di Norristown, Pennsylvania (e poi inglesi d’adozione). Ma è soprattutto un regalo che fa agli spettatori, permettendo loro di entrare per la prima volta nello studio dei due registi. Girato in 35mm proprio come i lavori dei Quay, e con una fotografia caldissima che personalmente mi ha ricordato le scene sulla Terra di Interstellar, Quay è un piccolo viaggio tra bambole, atmosfera e magia.
Piccolo e inaspettatamente intimo, Quay rivela innanzitutto la capacità di Nolan di mettersi da parte (il regista non viene mai inquadrato e non proferisce parola), lasciando spazio a Stephen e Timothy, e lasciando spazio soprattutto alla loro ‘casa-lavoro’, ai loro oggetti inanimati pronti a prendere vita. A loro basta un po’ d’olio (extravergine!) d’oliva sugli occhi di un bambolotto per far sembrare che siano umidicci, o che la sua bocca stia salivando.
Ma per tornare all’evento in sé, la cosa più incredibile – vista la presenza eccezionale di Nolan – era che davvero tutta l’attenzione è stata catalizzata sui Quay. Soprattutto chi per la prima volta vedeva le loro opere, avendo poi il privilegio di vedere delle copie originali in 35mm su grande schermo, ha atteso la conversazione fra Nolan e i fratelli senza la morbosa speranza di sentire proprio Nolan parlare delle influenze dei due nel suo cinema, ma bensì per saperne di più sul loro lavoro.
Come potrebbe essere altrimenti? I tre lavori, scelti proprio da Nolan, sono effettivamente un buon punto di partenza per iniziare a conoscere i Quay o ricordarci perché sono così importanti: la fantasmagoria sensoriale e triste di In Absentia, la ‘fiaba’ tra sonno e realtà di The Comb, il viaggio surrealista basato sulle opere di Bruno Schulz che incomincia letteralmente con uno sputo che mette in azione il meccanismo cinematografico di Street of Crocodiles.
Nella conversazione post-visione dei film, i Quay hanno avuto modo di raccontare aneddoti sul loro metodo di lavorazione. Girando in 35mm ad esempio non è possibile vedere in tempo reale come le riprese stanno venendo, e per un lavoro in stop motion si tratta di un lavoro meticoloso. I movimenti di macchina – orizzontali, verticali e non solo – sono presenti a tonnellate nei film: si veda soprattutto The Comb, con le sue lunghissime scale da salire.
Però questi movimenti comportano spostamenti della mdp di pochissimi millimetri alla volta in contemporanea con i soggetti da riprendere: guai a sbagliare. Nolan, che dice che lavorando nel sistema hollywoodiano ha in qualche modo delle ‘restrizioni’, ammette che ha la sensazione che, guardando i loro film, i Quay abbiano una libertà totale e tantissime possibilità: ma loro giurano ovviamente che non è così, per i motivi di cui prima.
Ma è in particolare la storia che sta dietro a In Absentia ad aprire ancora di più il loro mondo e ad ampliare il significato del corto. Commissionato dalla BBC per la serie Sound on Film International (in cui a ogni filmmaker veniva assegnato un brano musicale su cui costruire un corto: in questo caso è Zwei Paare di Karlheinz Stockhausen), è basato su una terribile storia vera dai risvolti che neanche i Quay potevano immaginare mentre ci lavoravano.
Tra i suoni, i giochi di specchi e luce, e la commistione tra stop motion e live action, lo spettatore può intuire che sta assistendo alla storia di una donna rinchiuse in un manicomio. La donna scrive e scrive e scrive, e fa la punta a decine di matite, e scrive ancora. La storia vera su cui i Quay si sono basati è quella di una donna effettivamente rinchiusa in un manicomio che per anni ha scritto lettere al marito: lettere che non gli sono mai arrivate.
Ma è il fatto che la stessa madre di Stockausen fu stata rinchiusa in un manicomio, dove morì, che aggiunge un’inaspettata e involontaria aura di commozione. I Quay questa storia l’hanno saputa solo a film ultimato. Empatia tra artisti, si dirà. Forse la stessa che Nolan prova istintivamente per i Quay.
Ultima nota: involontariamente o meno, Nolan ha confermato di essere davvero al lavoro su un altro film. E, forse, sono persino coinvolti proprio i Quay. Chissà cosa potrà saltar fuori…