Giffoni 53: gli interventi del regista Mario Martone e dell’attore Tommaso Ragno (video)
Dal Giffoni 53 gli interventi del regista Mario Martone che parla ai Giffoner e dell’attore Tommaso Ragno che riceve il Giffoni Award.
C’era una volta un bambino che amava raccontare storie e c’è ancora. Si chiama Mario Martone, ha sessantatrè anni, è un regista e sceneggiatore partenopeo pluripremiato. Un maestro di cinema. C’era una volta quel bambino, che amava raccontare storie al fratello più piccolo utilizzando soldatini e fantasia sopra sedie capovolte, e c’è ancora. Esiste nello sguardo, nella curiosità, nello spirito. Nel cuore. Perché come lui stesso spiega a Giffoni 53 “se riesci a restare bambino continuerai a fare questo lavoro, a restarci dentro felice al di là della carriera e dei guadagni”.
La Sala Verde della Multimedia Valley è gremita in ogni ordine di posto. I ragazzi del workshop+18 sono seduti sulle soffici poltrone di pelle in silenzio d’ammirazione. Una lunga fila di giffoner in maglietta arancione occupa la scalinata laterale per rivolgere domande al prestigioso ospite. Che subito, in apertura, rende omaggio alla creatura di Claudio Gubitosi: “Sono felice di essere qui, di essere tornato a Giffoni dopo quasi trent’anni. Era il 1994. Avevo fatto il mio secondo film. Allora il festival era diverso ma già molto bello. È cresciuto davvero tanto e bene”. Martone ha una conversazione raffinata che incanta. Lo sguardo fisso davanti a sé, sui suoi interlocutori. I piedi piantati a terra, profonde e solide radici che ne sorreggono l’importante profilo curricolare: tre David di Donatello e tre Nastri d’Argento, più diciotto nomination per entrambi. Solo per citare i titoli maggiori. “Non ho fatto scuole di teatro e cinema. Sono un autodidatta” precisa il professionista napoletano.
“La mia è stata una formazione orizzontale, sul campo. Un film si compone di tante cose e ogni singola cosa tiene insieme tutto come una rilegatura. Quando sei parte di un unico organismo fai davvero il cinema”. Per lui è sempre stato così. Colpo di lancette, all’indietro. Rewind: “A diciassette anni ho mosso i primi passi a Spazio libero, là dove artisticamente potevi fare quello che volevi. È lì che ho conosciuto Tony Servillo” racconta Martone. “Facevo delle istallazioni arrangiandomi con creatività. A Salerno un intellettuale e docente universitario, Rino Mele, fu il primo critico a notarmi. Grazie a lui ho avuto la possibilità di realizzare delle performance in una galleria d’arte. Mi diceva una cosa che ancora oggi ricordo e utilizzo con i miei collaboratori: cerchiamo di fare qualcosa tra il dignitoso e il dignitoso”. La passione che spinge, innata, istintiva, verso una direzione ben precisa. Impossibile da resistere: “Avevo senza dubbio un’attitudine a scrivere e raccontare storie” sottolinea. “Tutti i lavori, anche quelli più tecnici, ne hanno bisogno. Nella mia vita sono stati però fondamentali i compagni di strada. Non ho mai avuto un maestro-padre ma tanti maestri-fratelli. Il gruppo per me è come una famiglia… aperta. Ho mantenuto rapporti saldi dove c’era senso di crescita. Allo stesso tempo sono stato sempre aperto all’incontro nuovo”.
Martone approfondisce il tema dell’ispirazione: “Mi arriva dai romanzi letti, da qualcosa che osservo oppure ascolto. In quel momento mi si accende una visione. È come se vedessi già l’impronta del film. Per il mio primo lavoro sul set, Morte di un matematico napoletano, è andata esattamente così: ho preso ispirazione dalle storie delle persone su questo personaggio leggendario”. A Napoli, sua città natale, ha girato buona parte dei suoi film. “Mi interessa raccontare l’umano non il napoletano. Ma l’umano che conosco meglio è proprio il napoletano” annota. “Napoli è una città che conosce bene l’Incanto e il disincanto. È speciale proprio per questa sua duplicità”. All’ombra del Vesuvio Martone ha realizzato un meraviglioso documentario su Troisi: “Con Massimo abbiamo avuto un rapporto di simpatia e stima reciproche. Aleggiava tra di noi il desiderio di fare un film insieme. Era nell’aria. Ti faceva ridere e commuovere allo stesso tempo. Un artista straordinario, eterno. Entrambi possiamo essere definiti dei figli di Napoli in maniera totale ma, anche, insofferenti ai luoghi comuni che l’attraversano”.
Passato e futuro si incontrano nelle parole del regista partenopeo quando l’accento finisce sui giovani: “Sono loro i veri protagonisti di questo mondo radicalmente cambiato dalla rivoluzione digitale. Abitano questo mondo e sono chiamati a costruirne uno nuovo. Per me, uomo spaccato in due per ragioni di anagrafe tra dimensione analogica e digitale, il rapporto con i giovani è necessario e prezioso”. Dai ragazzi al progresso tecnologico il passaggio è di default. E tira dentro l’intelligenza artificiale sfiorando (anche) lo sciopero di Hollywood: “Non la demonizzo sul piano personale nè artistico” specifica Martone. “Il mio amico Bernardo Bertolucci sosteneva che non bisogna avere paura dei cambiamenti ma la volontà di approfondirli per comprendere come relazionarsi con le trasformazioni. L’intelligenza artificiale può essere usata male come molto bene. Dipende tutto, e solo, dall’uomo”.
Riceve il Giffoni Award e si emoziona, Tommaso Ragno, dopo il workshop con i giffoner +18. “Grazie. E in questo grazie c’è tutto quello che c’è voluto per costruire un posto così. Sono molto onorato di aver potuto passare del tempo con voi”. Il poliedrico attore pugliese – volto di teatro, cinema e televisione nonché voce narrante a Radio Tre nel programma radiofonico Ad alta voce – risponde alle domande dei ragazzi mettendo loro a disposizione la sua esperienza di lavoro e di vita.
“Sono cresciuto in un’epoca in cui non c’era internet. Dovevamo metterci la faccia, anche solo per conquistare una ragazza. Ero 17enne e non c’erano una serie di cose tecnologiche che determinavano il mondo come oggi”, racconta. Quanto ai suoi esordi, “ho iniziato in una città di provincia al penultimo anno di liceo classico. Invitato da un amico in una compagnia amatoriale – ricorda – quel mondo mi era sembrato meraviglioso”. A colpirlo, l’intravedere “tra le persone sul palco la possibilità di stare nel mondo con un equilibrio molto particolare”: la possibilità, cioè, di essere altro da sé attraverso il personaggio interpretato. “In una maniera molto simile a un giovane mago – continua – mi sentivo di aver in mano una sorta di super potere, cioè che una parte di me potesse ogni giorno cambiare identità. Non avevo un avatar, ci mettevo faccia e corpo”. Poi, gradualmente, “fare l’attore è diventato il mio lavoro” perché, spiega, “quella dimensione mi faceva stare a mio agio. Se nella vita ero e sono rimasto goffo, sul palco potevo essere delle cose bellissime o bruttissime, che sentivo come un aumento esponenziale del mio stare al mondo”. Insomma, “conduco una vita parallela, come i supereroi dei fumetti: di giorno sono io e di notte posso essere qualcun altro”. E poi, aggiunge Ragno, “sono stato fortunato perché ho incontrato persone che mi hanno incoraggiato”.
Tante le curiosità dei giffoner e i consigli richiesti. A iniziare dagli errori da evitare. Ma Ragno capovolge la questione: “Penso che gli errori siano dei portali di scoperta – dice – Quello che è augurabile nel fare errori è che siano in una qualità diversa ogni volta. E in ogni caso non bisogna rimpiangere niente”. Curiosità anche su come gestire i momenti di stop tra un lavoro e l’altro: “Cambia a seconda dell’età. Io non sono un attore che sta a casa ad aspettare la chiamata”. E racconta di quanto sia stato importante l’aver fatto tanto teatro all’inizio della carriera, perché “il teatro per me era un luogo dove avevo delle grosse sfide. E quando non lavoravo avevo il problema dell’horror vacui, mi annoiavo, mi chiedevo cosa fare. Però per fare l’attore sono richiesta tante cose, non solo sul set”. Di conseguenza, un attore “è meglio che si dia molto da fare perché c’è una variante che non si può calcolare, la fortuna, ma se non arriva quel colpo di fortuna…”. In sostanza, aggiunge, “appartengo a quelle persone che crede nel lavoro, nello studiare. Ci sono dei saperi che io mi sono procurato e che stanno in soffitta ma che quando sarà necessario li avrò”.
Tommaso Ragno racconta della capacità, acquisita con il tempo e l’esperienza, di passare da un personaggio all’altro in poco tempo, della paura ancora presente nel momento dei provini, della complessità della lettura quando deve essere fatta per altri, del potere e della forza della voce: “La voce ha qualcosa di misterioso, sempre. Ha un profondo potere erotico, nel senso migliore, mitologico, e penso al dio Eros”. L’attore fa anche cenno all’importanza della “presunzione”, intesa come la consapevolezza delle capacità acquisite con lo studio, l’esperienza, il tempo: “Non ho mai pensato di essere interessante in quanto Tommaso, ma per le cose che so fare, che ho sviluppato attraverso il teatro, negli anni, vedendo altri più bravi di me”. Sono due, in particolare i “geni” a cui fa riferimento: Luca Ronconi e Giorgio Strehler.
Ragno ha colto una serie di successi in teatro (in particolare con M – Il figlio del secolo diretto da Massimo Popolizio), al cinema (con dodici film girati tra il 2019 e il 2022) e in televisione (nell’insolita miniserie Monterossi, con il personaggio di Pasquale Carella, poliziotto barese trapiantato a Milano). Ha vinto il Nastro d’argento come miglior attore non protagonista per Nostalgia di Mario Martone e lo Starlight International Cinema Award come miglior attore alla Mostra del Cinema di Venezia.