Festa di Roma, C’è ancora domani: nuove clip e interviste del film di Paola Cortellesi (Al cinema dal 26 ottobre)
Nuove clip e interviste di “C’è ancora domani”, l’esordio alla regia di Paola Cortellesi in concorso alla Festa del Cinema di Roma e dal 26 ottobre al cinema con Vision Distribution.
Dopo aver inaugurato in Concorso la Festa del Cinema di Roma (Progressive Cinema – Visioni per il mondo di domani), a partire dal 26 ottobre arriva nei cinema d’Italia con Vision Distribution C’è ancora domani esordio alla regia di Paola Cortellesi che è anche protagonista al fianco di Valerio Mastandrea, Emanuela Fanelli e Vinicio Marchioni.
C’è ancora domani – Le nuove clip ufficiali
Intervista a cast e regista
Come è nata l’idea del film e che cosa ti stava a cuore raccontare?
PAOLA CORTELLESI: È nata dalla voglia di raccontare le storie delle persone che hanno vissuto nell’immediato secondo dopoguerra, storie che ho appreso dai racconti dai veterani della mia famiglia: le nonne, ma anche le zie, i miei genitori. In quei racconti c’erano gioie e dolori delle vite che avevano incrociato: i parenti, i vicini di casa, le comari nel cortile, i bambini in strada. Storie drammatiche, divertenti, paradossali, a volte tragiche. In ognuna di esse c’erano donne comuni che avevano accettato una vita di prevaricazioni perché così doveva essere, senza porsi domande. Desideravo raccontare questa disillusione – in un’epoca in cui i diritti femminili erano pressoché inesistenti- e insieme la nascita di una consapevolezza, un germe spontaneo, nella vita di una donna qualunque. Insieme a Giulia Calenda e Furio Andreotti, abbiamo immaginato la storia di una donna comune di quell’epoca.
Che tipo di collaborazioni avete avuto in fase di documentazione e di scrittura?
PC: Abbiamo decisamente attinto dalle nostre conoscenze familiari ma trattandosi di una storia inserita in un contesto storico molto specifico ci siamo avvalsi della consulenza storica di Teresa Bertilotti, che ci ha messo a disposizione la sua conoscenza sull’ argomento. Sin da piccola, ho sempre immaginato le storie che mi raccontavano in bianco e nero, certamente influenzata dai film ambientati in quel periodo storico, molto amati in casa nostra: la grande produzione di cinema neorealista dell’epoca la commedia all’italiana poi. Nel mio film però mi piaceva fare riferimento al cosiddetto neorealismo rosa, che narrava fatti e personaggi realistici ma inseriti in un contesto romantico, in cui motore in fin dei conti era una storia d’amore (penso ad esempio “Campo dei fiori” di Mario Bonnard, o “Abbasso la miseria!” di Gennaro Righelli). A questo proposito ho usato il formato 4/3 per la sequenza che apre il film prima dei titoli di testa; mi piaceva riprodurre, nei primi minuti del film, le atmosfere quel cinema, per poi “allargare” sia il formato che il discorso.
Chi è la Delia che interpreti e come si sviluppa nel tempo il suo itinerario di redenzione?
PC: Delia è una donna piuttosto inconsapevole, come tantissime donne dell’epoca che non hanno mai potuto scegliere nulla della propria esistenza. Non ha ambizioni se non quella di un buon matrimonio per sua figlia ( è incredibile che per molte famiglie e molte giovani, questo sia tutt’oggi ancora considerato un traguardo, un punto di arrivo); ma è proprio osservando Marcella che Delia capisce di dover rivoluzionare il corso, già delineato, delle loro vite.
Come avete costruito il personaggio del dispotico Ivano, simbolo del maschilismo ottuso consolidatosi durante il fascismo? C’è stata una costruzione comune con Valerio Mastandrea a livello creativo?
PC: In fase di soggetto, quando il personaggio non era ancora approfondito, avevamo immaginato un uomo che avesse anche nella fisicità, nei tratti, una durezza molto evidente ma andando avanti nella scrittura ci è venuto naturale sviluppare Ivano come un uomo comune, violento e a tratti spaventoso ma anche ignorante, goffo, ridicolo. Non un mostro dunque ma uno qualsiasi, che agisce in una “normalità” che prevede una abituale e indicibile violenza e prevaricazione. Per interpretare un ruolo così complesso era fondamentale un interprete che possedesse entrambi i registri e potesse usarli a volte quasi contemporaneamente. Valerio ha la capacità di rendere autentico tutto ciò che fa. Ha colto fin dal primo racconto le sfumature del personaggio e le ha sposate totalmente. In fase di preparazione poi, visto il mio duplice ruolo di regista e interprete abbiamo fatto tre settimane di prove con tutti gli interpreti, come accade abitualmente in teatro, e in quella fase il confronto con Valerio è stato per me irrinunciabile e prezioso.
Come e perché hai scelto i tuoi attori, che cosa hai trovato in ognuno di loro che ti ha convinto a scritturarli?
PC: Valerio, Giorgio, Emanuela, Vinicio, sono attori straordinari con cui tutti vogliono lavorare, quindi piuttosto che spiegare perchè li ho chiamati mi sentirei di ringraziarli per aver accettato di essere nel mio film! Grazie alle brillanti proposte delle casting Laura Muccino e Sara Casani poi ho potuto conoscere i giovanissimi Romana Maggiora Vergano (la figlia Marcella) e Francesco Centorame (il suo fidanzato Giulio). Sono stata folgorata dai loro provini e dalle loro sbalorditive doti attoriali. Hanno entrambi una preparazione eccellente e in più hanno un talento e una sensibilità fuori dal comune.
Ricordi qualche momento della lavorazione che ti ha dato più soddisfazione e più emozioni?
PC: Ce ne sono stati tanti, è stato un set sereno e avvolgente, in cui ho avuto il piacere e la fortuna di poter condividere tutto con una troupe che ha avuto fiducia in me, che mi ha voluto bene e mi ha emozionato ogni giorno. Elettricisti, macchinisti, i reparti di fotografia, scenografia, costumi, trucco e acconciature, mi sono sempre stati tutti vicini, coinvolti e complici, creativi per ogni piccolo aspetto o dettaglio e hanno dato sempre il massimo. Il momento più emozionante è arrivato quando durante le riprese della sequenza finale ho proposto un fuori programma e ho chiesto a circa 300 generici di chiudere la bocca e serrare le labbra: lo hanno fatto nel migliore dei modi, con grande partecipazione emotiva. Mi hanno commosso… però non ho mica pianto sa, ho detto: “Bella! Ne facciamo un’altra”.
Come sei stato coinvolto nel progetto del film?
VALERIO MASTANDREA: Lo sguardo che Paola ha scelto per trattare il tema del film è la scommessa più grande che potesse fare e sentire che potevo aiutarla mi ha lusingato. Credo che mi abbia voluto accanto nella sua opera prima per una ragione puramente antropologica. E cioè non perché mi consideri un attore particolarmente versatile e talentuoso ma semplicemente perché ridiamo nello stesso modo e delle stesse cose. Questo ci permette di guardare e di stare dentro quello che facciamo come fanno due primati dello stesso gruppo. L’istinto alla leggerezza, che spesso fa scopa con la improvvisa pesantezza che uno riversa sui parenti più prossimi, è quello che matura chi, come noi, negli anni 90 in pieno edonismo post reganiano era inadeguato quasi a tutto per goffaggine, timidezza e chi più ne ha più ne metta. Insomma, la colpa della nostra presenza sulla scena italiana in tutti questi anni non è la nostra, ma di chi si sentiva molto più sicuro di noi negli anni della giovinezza.
Quando hai conosciuto Paola Cortellesi e quando sei stata coinvolta in questo progetto?
EMANUELA FANELLI: Ho conosciuto artisticamente Paola Cortellesi quando ero adolescente e l’ho amata da subito, seguendo il suo lavoro nel corso degli anni con ammirazione. Io e lei ci siamo poi incontrate di persona nel 2015 e un paio di anni dopo è nato tra noi un rapporto di amicizia vero e profondo. Una sera, mi ha raccontato il suo film e solo alla fine mi ha detto che il ruolo di Marisa avrebbe voluto lo interpretassi io. Ho risposto subito di sì e ho provato contemporaneamente due emozioni: una grande gioia ma anche la responsabilità di non deludere un’artista che stimo così tanto e neanche la mia amica.
Chi è questo personaggio e che tipo di approccio hai avuto per darle vita?
EF: Marisa è una donna più contemporanea rispetto a Delia, il personaggio interpretato da Paola; ha una vita familiare felice, vive bene con suo marito, non si sente subordinata a lui sotto nessun punto di vista. Marisa vuole molto bene a Delia e vorrebbe la sua felicità, stimolandola e spronandola sempre verso quella direzione. Per dare vita a questo personaggio mi sono abbastanza intonata alla mia nonna paterna, che era molto simile a questo tipo di donna. Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia in cui le figure femminili erano non solo forti ma anche autodeterminate e nella mia vita ho potuto vedere da vicino varie Marise. Ci sono anche diversi tratti che uniscono me a questo ruolo, a partire dall’affetto nei confronti della protagonista che non ho faticato a mettere in scena, ma anche la propensione al sorriso e alla leggerezza, nell’accezione più alta del termine.
Che tipo di collaborazione creativa si è creata con Paola Cortellesi prima e durante le riprese?
EF: Paola si è dimostrata da subito sicura e preparatissima. Nemmeno per un momento ho avuto l’impressione di lavorare in un esordio alla regia, soprattutto perché era evidente una qualità importantissima in una regista: ha sempre avuto ben chiara la visione globale del film. Quando trovi questo in chi ti dirige ti senti più libera da ogni punto di vista, come ad esempio quello di avanzare delle proposte per il tuo personaggio, perché sai che lei saprà fermarti se stai andando fuori dai binari o al contrario alimentare le tue idee quando le valuterà giuste. In tal senso sono state fondamentali le prove perché lì abbiamo potuto confrontarci non solo come regista e attrice ma anche come attrice e attrice, trovando la cifra e le sfumature che poi abbiamo messo in scena sul set. Lavorare con interpreti così talentuosi e capaci è uno stimolo a dare il massimo, condizione fondamentale per me in questo lavoro.
Che clima si è creato sul set durante le riprese?
EF: Oltre a Paola, ho interagito in scena soprattutto con Gabriele Paolocà che ha interpretato splendidamente il ruolo di mio marito. Con gli altri attori ci siamo incrociati per meno tempo però è stato da subito evidente che l’atmosfera sul set fosse speciale e questo dipende sempre principalmente da un fattore: l’energia di cui è capace chi dirige il film, perché finisce per investire la resa di tutta la troupe.
C’è una scena a cui sei particolarmente legata, tra quelle che hai girato?
EF: La mia scena preferita, se proprio devo sceglierne una, è quella in cui Delia e Marisa si concedono una pausa fumando una sigaretta. Volevamo fare in modo che trasparissero l’amicizia, la fiducia e la complicità tra queste due donne. Era necessario che fossimo il più possibile vere e spontanee in quella che non era affatto una scena semplice da recitare.
Che cosa ti piacerebbe che il pubblico apprezzasse di più del vostro film?
EF: Il film affronta delle tematiche serie e importanti con uno sguardo, a volte, anche comico, nella tradizione del più fortunato cinema di casa nostra. Mettendo la lente d’ingrandimento su una storia solo apparentemente piccola ne vengono in realtà raccontate anche tante altre più grandi. Paola non ha fatto una scelta semplice, è stata coraggiosa e il suo, secondo me, è stato un azzardo riuscitissimo.