Dune – Parte Due, recensione: il capolavoro di Frank Herbert ha finalmente il suo adattamento definitivo
La recensione di Cineblog del secondo capitolo di “Dune 2” – Denis Villenueve, alza ancora l’asticella e il moderno kolossal fantascientifico è servito.
Dune – Parte Due di Denis Villeneuve ha fatto il suo debutto nei cinema italiani. Il regista canadese conferma non solo la sua sintonia con la fantascienza, dopo gioielli come Arrival e il sorprendente Blade Runner 2049, ma dimostra anche di aver realizzato l’adattamento definitivo del capolavoro di Frank Herbert. Stiamo parlando una saga e di un universo che possiamo tranquillamente definire “Il signore degli anelli” del genere fantascientifico.
Dune Parte Due – Dove eravamo rimasti…
Il secondo capitolo di “Dune” ci riporta su Arrakis all’indomani della strage perpetrata dagli Arkonnen, su ordine dell’Imperatore Shaddam IV (Christopher Walken), sulla casata degli Atreides. Quello che il signore dell’Imperium non sa, è che l’ordine Bene Gesserit ha operato nell’ombra portando avanti una spregiudicata selezione genetica per giungere allo “Kwisatz Haderach”, un essere superiore dotato di poteri straordinari che scopriremo essere Paul Atreides (Timothée Chalamet), rampollo della casata del duca Leto Atreides (Oscar Isaac). Nel finale di “Dune – Parte 1“, Paul e sua madre, la Bene Gesserit Lady Jessica (Rebecca Fergunson), sono scampati alla morte e hanno affrontato il deserto. Qui Paul incontrerà il popolo dei Fremen e Chani (Zendaya), la giovane ragazza delle sue visioni, e andrà incontro al suo destino: quello di Mahdi, il messia profetizzato per mezzo del quale Arrakis sarà libero per sempre.
“Dune – Parte Due” oltre ad aprire ad un terzo film, porta a termine il cammino del protagonista Paul Atreides e lo fa con un rispetto per il materiale originale che rende quello di Denis Villeneuve non solo il miglior adattamento possibile, ma anche in grado di cogliere il meglio dal passato franchise. Ci riferiamo sia al monumentale e un po’ folle progetto mai realizzato di Alejandro Jodorowsky, sia al controverso Dune di David Linch che andò incontro a problemi quali l’intenzione di condensare in un solo film un’opera maestosa come quella di Herbert, e togliere a Lynch il controllo del film in post-produzione. Ma questa è un’altra storia e avremo modo di raccontarla con un articolo per i 40 anni del film; visto che riguardo al”Dune” di Lynch, come si suol dire, non abbiamo alcuna intenzione di gettare il bambino con l’acqua sporca.
Un adattamento intergenerazionale
Prima di approcciarsi all’adattamento, Villeneuve ha chiesto e ottenuto che il racconto venisse suddiviso in tre parti, e così è stato per la gioia dei lettori e appassionati della saga originale che hanno potuto godere di questa meticolosità, come il reclutamento di David Peterson creatore del linguaggio utilizzato nella serie tv Il trono di spade. Peterson e Villeneuve hanno creato tra le altre cose la lingua Chakobsa, usata dagli attori sul set. Inutile porre l’accento su costumi, scenografie, fotografia, colonna sonora, montaggio ed effetti speciali, tutti comparti che si confermano di altissimo profilo, e che hanno fruttato al primo film 6 premi Oscar su 10 nomination. Elementi squisitamente tecnici che hanno regalato a questa saga reboot l’afflato di un kolossal epico d’altri tempi, in grado di miscelare presente e passato, tecnologia e capacità di narrare un intero universo, come fece asuo tempo Peter Jackson a suo tempo con la trilogia de “Il signore degli anelli”.
Austin Butler lascia il segno con il suo Feyd-Rautha
Per quanto riguarda il cast spiccano lo interpretazioni di Timothée Chalamet, Zendaya, Javier Bardem e di una splendida e magnetica Rebecca Ferguson nei panni di Lady Jessica. Davvero notevole il nuovo arrivato Austin Butler, attore noto per il ruolo di Elvis nell’omonimo biopic di Baz Luhrmann che gli è valso un BAFTA, un Golden Globe e una candidatura agli Oscar. Butler si cala alla perfezione nei panni del crudele e psicopatico Feyd-Rautha, nipote prediletto del Barone Harkonnen. Un ruolo che fu di Sting nel “Dune” di David Lynch, caratterizzazione a cui Butler ammicca aggiungendo un tocco personale che lo rende credibile anche quando brutalizza e umilia un gigante come Dave Bautista, nei panni di suo fratello Rabban aka “Bestia”.
Dune Parte Due – …e il moderno kolossal sci-fi è servito
Villeneuve che ha scritto la sceneggiatura con il candidato all’Oscar Jon Spaihts (Prometheus, Doctor Strange), si è approcciato al romanzo pensando ad un pubblico contemporaneo. Pur mantenendo il focus sull’elemento mistico che permea l’intera trama, il regista ha utilizzato Arrakis e L’Imperium come uno specchio che ricorda lo sfruttamento eccessivo della Terra che affligge i nostri tempi. Al contempo ha anche minimizzato molti degli aspetti riguardanti l’Imperatore e la politica che circonda l’Imperium, puntando invece sul rapporto madre/figlio e sul percorso di Paul per integrarsi con l’etnia dei Fremen, poiché non tutti non accettano questo “figlio di mezzo” che in molti credono sia il messia tanto atteso.
Denis Villeneuve è riuscito laddove il troppo ambizioso Jodorowsky e un David Lynch sopraffatto dalla “macchina” hollywoodiana hanno fallito. Il regista ha riportato sul grande schermo una saga fantascientifica epocale, e lo ha fatto con tutti i crismi del capolavoro, in un mix perfettamente in grado di dosare intrattenimento, spessore narrativo ed estetica da kolossal, con budget contenuti e soprattutto ottimi incassi…si può volere di più?