Un mondo a parte: trailer e clip del film con Antonio Albanese e Virginia Raffaele (Al cinema dal 28 marzo)
Al cinema con Medusa il nuovo film di Riccardo Milani con protagonisti Antonio Albanese e Virginia Raffaele.
Dal 28 marzo 2024 nei cinema d’Italia con Medusa Film Un mondo a parte, il nuovo film di Riccardo Milani (Come un gatto in tangenziale) con Antonio Albanese e Virginia Raffaele.
Un mondo a parte – Trama e cast
Per il maestro elementare Michele Cortese sembra aprirsi una nuova vita. Dopo 40 anni di insegnamento nella giungla romana, riesce a farsi assegnare all’Istituto Cesidio Gentile detto Jurico: una scuola composta da un’unica pluriclasse, con bambini dai 7 ai 10 anni, nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo. Grazie all’aiuto della vicepreside Agnese e dei bambini, supera la sua inadeguatezza metropolitana e diventa uno di loro. Quando tutto sembra andare per il meglio però, arriva la notizia che la scuola, per mancanza di iscrizioni, a giugno chiuderà. Inizia così una corsa contro il tempo per evitarne la chiusura in qualsiasi modo.
Il cast include anche Sergio Saltarelli, Alessandra Barbonetti, Solidea Pistilli, Donatella La Cesa, Bianca Maria Macro, Corrado Oddi, Gianmarco Borsa, Guglielmo Casale, Enzo De Sanctis, Andrea Decina Di Pirro.
Un mondo a parte – Le clip ufficiali del film
Note di regia
Ho maturato questo film in decenni passati nei piccoli centri montani d’Abruzzo, dopo aver visto queste comunità svuotarsi passando, nel tempo, da 3000 a 1000 a 300 abitanti, e le loro scuole chiudere. Un giorno d’inverno di due anni fa, sono entrato in una scuola chiusa da tempo. Banchi accatastati, computer vecchi, un gelo che arrivava allo stomaco e, nella persona che mi aveva aperto la porta e guidava nel giro, la totale e serena rassegnazione a un destino inevitabile. Conosco bene quella rassegnazione e come sia sempre stato complicato, qui, togliersela di dosso per provare ad essere protagonisti del proprio destino: è stato in quel momento che è cominciato “Un mondo a parte” e in quella scuola abbandonata abbiamo girato tutto il film facendole, per un paio di mesi, riprendere vita. E ho cominciato con la consapevolezza che in queste piccole comunità di tutto il nostro paese (il famoso paese reale di cui spesso parliamo ma che, ancora più spesso, non conosciamo), sta piano piano affacciandosi una consapevolezza di cambiamenti.
Sapevo che in molti piccoli centri amministratori e cittadini, per tenere in piedi le scuole, hanno messo in atto da anni espedienti più o meno legali, ma di cui tutti sono a conoscenza; molte scuole, cioè l’asse portante della nostra società, si sono salvate così –in maniera arrangiata e autonoma, ma efficace. Questo è quello che si fa in migliaia di piccoli centri di tutta Italia. E questo è quello che forse si dovrebbe fare in tutto il nostro paese: tagliare la testa al gallo, come canta Ivan Graziani, fare di tutto per difendere la propria identità, la capacità di decidere e partecipare, da protagonisti, alla vita attiva del paese. Una resistenza culturale contro un nemico comune, indifferenza e rassegnazione, impegnarsi per un presente e un futuro migliori per se stessi e per il proprio paese. E tutto questo passa attraverso chi questo futuro lo difende – cioè i nostri insegnanti – e chi lo incarna – cioè i nostri bambini e la loro educazione. Ho visto insegnanti in questo territorio, qui come in tutto il paese, fare 150 chilometri al giorno con neve, ghiaccio e bufera pur di fare il loro lavoro. Per difenderlo, sì, ma anche perché credono profondamente nell’importanza del loro ruolo.
Ho visto un paese che si salva con l’aiuto di tutti, che difende l’istruzione perché è la base di qualsiasi comunità, che vuole sopravvivere in pace con le ricchezze del suo territorio, che si salva grazie a cittadini che, pur non essendo nati nel nostro paese, ne sono diventata parte attiva e viva superando barriere umane, politiche e ideologiche. Perché le cose giuste e necessarie superano le divisioni politiche. Perché sono giuste e basta. Perché non bisognerebbe lasciare indietro nessuno, come fanno gli animali selvatici che vivono in questi meravigliosi territori, che vivono in branco e riescono a fare quello che non facciamo noi – aspettare chi rimane indietro – e avere, sopra ogni cosa, il senso della comunità. Perché forse tutto il nostro paese è potenzialmente fatto di quello che viene cantato dai versi di un umile poeta pastore di queste parti, Cesidio Gentile detto “Jurico”, a cui la scuola del film è intitolata. Virtù (e ne abbiamo veramente tante) e pace (e ne abbiamo veramente poca).
Grazie a Wildside e a Medusa, che hanno creduto fortemente in questo progetto.
Grazie a tutta la mia troupe, per avermi seguito in condizioni complicate.
Grazie ad Antonio e Virginia che hanno vissuto per mesi dentro questa comunità, assorbendone sentimenti e ironia.
Grazie all’intera comunità quella dell’Alto Sangro, per aver accettato di raccontare se stessa, anche se in questo film c’è dentro, come sempre, la mia visione delle cose della vita.
Non so ancora una volta a che genere possa appartenere “Un Mondo a Parte”. Spero solo, come sempre, che arrivi al pubblico un film sincero e appassionato.[Riccardo Milani]
Un mondo a parte – Il trailer italiano ufficiale
Intervista con il regista
Cosa ha scelto di raccontare in questo film?
Le vicende di Michele Cortese (Antonio Albanese), un maestro delle elementari che ha insegnato per quarant’anni nelle scuole di Roma, una città in cui il clima gli era ormai diventato difficile e ostile a causa di alunni distratti e aggressivi e di genitori saccenti che recriminavano e si sostituivano agli insegnanti. Una volta viste frustrate le sue aspirazioni, Michele decide di trasferirsi a insegnare per un anno in una scuola di un piccolo centro montano del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise: un Istituto intitolato “Cesidio Gentile” detto Jurico, un poeta pastore di Pescasseroli concittadino e coetaneo di Benedetto Croce. Il maestro ha scelto la provincia per respirare un clima diverso, lontano dai frenetici ritmi romani e iniziare una nuova vita, più lenta e autentica, fiducioso di poter esercitare finalmente il suo mestiere in maniera positiva e convinto che, in un contesto simile, si conservino ancora valori etici importanti. Si ritroverà presto di fronte a una realtà che non conosceva e scoprirà di dover insegnare in un’unica cosiddetta “pluriclasse”, formata da pochi bambini tra i 7 e i 10 anni, impegnati in programmi di anni scolastici diversi. Nel suo graduale ambientamento alla piccola realtà montana, Michele viene presto colpito dalla spontaneità e dalla sensibilità degli alunni e si rispecchia, ammirato, nel modo concreto e positivo in cui affronta i problemi la vicepreside Agnese (Virginia Raffaele), confrontandosi felicemente con lei. Ma quando il maestro pare essersi integrato alla perfezione nel nuovo contesto e tutto sembra procedere per il meglio, arriverà una notizia inaspettata e sconfortante: la scuola dovrà chiudere alla fine dell’anno per mancanza di iscrizioni. Inizia così una corsa contro il tempo per evitare in ogni modo la fine definitiva delle lezioni. Il film racconta la battaglia dei due insegnanti che, ribellandosi a decisioni prese dall’alto, organizzano una vera e propria resistenza umana e culturale di tutta la comunità per salvare le lezioni. Una soluzione collettiva, creativa e possibile da prendere come esempio contro l’atteggiamento di chi si adatta a subire senza provare a fare qualcosa. Penso che negli ultimi tempi il senso civico e il senso della comunità in ognuno di noi sia stato spesso calpestato e messo da parte, ma anche mantenuto vivo e che, alla prima occasione, riesca a venir fuori. La gente ha necessità di giustizia in cui riconoscersi e bisogno di trovare un piccolo riscatto provando a fare qualcosa piuttosto che abbassare sempre la testa e abituarsi al peggio accettandolo senza reagire.
Come è nata l’idea di questo progetto?
Deriva da una mia assidua frequentazione della terra che racconto, l’Abruzzo, che dura da vari decenni. È una regione che conosco fin da quando ero bambino e da circa vent’anni, ogni volta che posso, trascorro gran parte del mio tempo a Pescasseroli, dove ho una casa. La condivisione di questi luoghi è per me sia umana che culturale. Ho assistito, nel corso del tempo, alle varie trasformazioni di questo territorio – al modo in cui è cresciuto e a quello in cui non è potuto crescere. Negli ultimi decenni, ho visto i piccoli paesi svuotarsi per mancanza di lavoro, per scelta, per ambizione, a volte anche soltanto per una convenzione che spinge le persone a partire per poter fare qualcosa lontano da lì. Spesso, tutto inizia dalla chiusura di una scuola. In genere, poco tempo dopo una decisione simile, l’intero piccolo paese va in crisi. Così, quando in Abruzzo ho visto dissolversi tante classi e la nascita del fenomeno delle pluriclassi, ho notato che spesso le popolazioni locali ponevano subito rimedio in maniera autonoma e naturale a questa nuova realtà. Ho visto gli abitanti di diversi paesi abruzzesi resistere, cercare di porre un argine alla chiusura di tante scuole. Il film vuole essere un manifesto sentimentale e realista dell’Italia dei piccoli paesi, sterminata e allo stesso tempo sconosciuta, dove lo Stato e i servizi non arrivano fino in fondo. Paesi che stanno inesorabilmente svuotandosi. Secolari e naturali reti fra territori che vanno sbriciolandosi e che, invece di creare curiosità, lasciano un che di nostalgico e di pena. Le storie belle, però, esistono e resistono, e spesso sono storie di autonomie di gestione e iniziative avventurose.
Come si è trovato questa volta con Antonio Albanese?
È il quinto film che giriamo insieme (dopo i due capitoli di Come un gatto in tangenziale, Mamma o papà e Grazie ragazzi) e ad Albanese piaceva l’idea di interpretare un maestro in un film come il nostro che pone l’attenzione su un argomento vivo, acceso e sensibile quale è quello dell’educazione. Sull’importanza di questo tema io e Antonio ci siamo trovati subito d’accordo. Lui non aveva mai interpretato un insegnante e gli piaceva l’idea di lavorare con dei bambini in un modo diretto e continuo. Noi due condividiamo da tempo tante esigenze etiche e cerchiamo di affrontare questioni umane legate al nostro Paese e a un percorso che affrontiamo da anni sull’Italia e gli italiani. Mi colpisce molto la sua capacità di divertire e insieme quella di emozionare, è qualcosa di fondamentale; sono i due registri con cui cerco di costruire sempre dei film che aspirano a essere popolari ma che siano anche attenti alla realtà sulla scia della lezione della grande commedia all’italiana degli scorsi decenni. Sono sempre onorato quando si accostano i miei lavori a quei racconti agrodolci così straordinari. So che i film hanno una loro valenza al di là del genere a cui appartengono, hanno un valore di conoscenza, di attenzione, di sensibilità sui problemi del Paese. Io rincorro tutto questo da sempre. Il mio tentativo è quello di poter dire delle cose attraverso dei film che a volte sono divertenti, toccanti, emotivi e cercano di essere commoventi, film in cui la gente si possa riconoscere condividendone le finalità e l’approccio. Non giro mai dei film “a tesi”, ma la realtà che viene messa in scena e sulla quale accendo un riflettore non è inventata e spero che questa luce accesa sui temi venga poi condivisa dal pubblico che poi possa amare i vari personaggi identificandosi in loro. Io
e Albanese nei film girati insieme stiamo facendo tutto questo da diversi anni.
Che rapporto si è creato invece fra lei e Virginia Raffaele e tra Virginia Raffele e Antonio Albanese?
Per me Virginia non è stata una scoperta; negli anni scorsi avevo già cominciato a seguirla nel suo percorso artistico. Per me, però, è stato particolarmente illuminante il suo recente spettacolo teatrale, Samusà, che me l’ha rivelata pienamente: sul palco veniva fuori sia il lato umano di un’artista com’è lei, ricca di umorismo, sia la malinconia e sensibilità di una ragazzina figlia di giostrai, cresciuta a LunEur di Roma che ha trascorso le sue domeniche dietro un bancone dove si sparava col fucile. Tutta quella malinconia è venuta fuori in quello show importante in cui non solo si rideva tanto, ma anche ci si emozionava moltissimo. Virginia è istrionica e usa sapientemente il suo corpo in scena, e abbiamo cercato di inserire nel racconto del nostro film tutta l’umanità possibile. Virginia e Antonio non si erano mai incontrati in passato, ma quando si sono trovati sul set si sono subito studiati, riconosciuti e amati: hanno fatto fronte comune tra loro anche nella realtà, esattamente come i personaggi che interpretano. Si sono divertiti molto ma anche emozionati.