In difesa di Jurassic World e del T-Rex che rivendica il suo potere
Di Jurassic World se n’è già parlato tanto, soprattutto dal punto di vista degli incassi. Non sono mancate molte critiche, come previsto. Eppure è un blockbuster senza un attimo di respiro, e in cui il vero ‘protagonista’ rivendica il suo potere nel cinema e nell’immaginario collettivo: lunga vita al T-Rex!
I giovani fratelli Zach e Gray sono appena riusciti a fuggire dal temibile Indominus Rex e scoprono un portone segreto all’interno del nuovo parco dei dinosauri a Isla Nublar. Ci entrano e scoprono un luogo decrepito e abbandonato. Per terra, coperto dalla terra e dalla polvere, c’è uno striscione con una scritta. I due ragazzi la leggono, ma la macchina da presa ci fa vedere solo una parola: ‘Rule’.
Tutti coloro che hanno visto Jurassic Park non potranno non ricordare che quel luogo è il Visitors Center del parco originale, quello in cui ci fu lo scontro finale tra i protagonisti del film di Spielberg e i velociraptor. Soprattutto è, appunto, il luogo dove il T-Rex faceva il suo ingresso in scena finale e dove si staccava proprio lo striscione ormai celebre con la scritta ‘When Dinosaurs Ruled the Earth’.
Sono cresciuto con Jurassic Park, e questa scena di Jurassic World mi ha per ovvie ragioni commosso. Qui Zach e Gray ci trovano non solo la jeep che faranno funzionare nel giro di pochi minuti come manco MacGyver, ma anche altri memorabilia. Tra questi ci sono i binocoli a infrarossi usati nel primo capitolo da Tim e il ‘dipinto’ del velociraptor in cucina. Brividi lungo la schiena assicurati per i fan del capitolo originale e per coloro che all’epoca c’erano; brividi poi amplificati dallo score di Giacchino che richiama Williams.
A Colin Trevorrow è spettato il compito più antipatico della recente storia dei blockbuster: quello di dirigere un nuovo sequel di Jurassic Park. Ovviamente fuori tempo massimo, ovviamente con tutti i benefici del dubbio a priori, ovviamente in un’epoca in cui la CGI non sembra tenere il passo con gli animatronic dell’epocale e rivoluzionario film di Spielberg, che ancora oggi fa impressione.
Trevorrow deve quindi dare in pasto citazioni, omaggi e brividi al cinefilo o al semplice appassionato che si ricorda ancora del primo film, e poi deve pure stare al passo coi tempi. Deve comunque adattarsi al gusto di oggi, alla regola di mercato del ‘più è meglio’, che in questo caso si traduce con more teeth. Deve accontentare un po’ tutti, cosa che il più delle volte o quasi sempre rischia di avere l’effetto di scontentare chiunque.
Ma questa sceneggiatura scritta a otto mani che molti hanno liquidato come ‘cretina’ a me pare invece un minuzioso lavoro di equilibrio hollywoodiano. Un compromesso calibratissimo che dice molto sullo stato dell’industria, certo, ma che credo riesca a portare a casa il compito accontentando se non tutti almeno molti (sembrava già una missione impossibile). Il fatto che Jurassic World stia in un’ipotetica mappatura della Hollywood di oggi in un centro equidistante da sequel, remake e reboot la dice lunga su questo suo essere un prodotto ‘di equilibrio’.
Poi potrà non piacere e risultare assai ridicolo, per carità (ma in questo caso mi verrebbe da ridefinire il concetto di ‘ridicolo’). Il dogma del more teeth ci regala però almeno una sequenza clamorosa e di crudeltà anche spaventosa: quella con l’attacco degli pterodattili. Qui fa una bruttissima fine l’assistente di Claire: prima alzata in volo da uno dei dinosauri e fatta roteare, poi gettata in acqua, quindi ripresa e crudelmente quasi annegata, e infine divorata dal Mosasaurus. Sono rimasto a bocca aperta, quasi quanto rimasi a bocca aperta all’epoca per la morte di Gennaro nel gabinetto.
Niente male per un blockbuster per tutta la famiglia (inutili e fuori luogo i paragoni con l’ultimo Mad Max sul riaggiornamento dei franchise), e che non ha un minimo di stanca, che non si ferma un attimo e che offre uno spettacolo in cui evidentemente ‘non si è badato a spese’. Però non va bene, perché Jurassic World non è Jurassic Park. E se prova a essere Jurassic Park lo scopiazza a destra e a manca. Sembra un po’ di risentire la critica al primo film di Siskel ed Ebert, secondo i quali sostanzialmente Jurassic Park non era… Lo Squalo!
In questa sceneggiatura piena di cretinerie che se ridotta all’osso sta in un foglio A4 (pensiero comune tra molti detrattori), ci fa una figura barbina anche Vincent D’Onofrio (pessimo, anche considerato il grande ritorno in Daredevil), nemico senza carisma che vuole usare i velociraptor come armi da guerra. Ma c’era davvero bisogno di un grande nemico, in Jurassic World? Non mi pare, così come in fondo non c’era bisogno di un grande nemico in Jurassic Park.
Non era di certo un grande nemico nemmeno Dennis Nedry, visto che moriva nel giro di poco tempo per colpa del Dilophosauro (che qui ritorna in geniali vesti ‘ectoplasmatiche’). Pure il Vic di D’Onofrio fa la fine che si merita, quella che ci si aspetta e quella più logica e giusta. Tutto secondo i piani. Perché è la Natura che si ribella per istinto e per (mancanza di) empatia, e alla fine rimette tutto in ordine, come deve andare.
Da questo punto di vista, il film di Trevorrow alla fine compie addirittura una ribellione simile a quella dei velociraptor, con un twist finale da applausi. Sta qui il vero colpo d’ala del film: more teeth non riguarda l’Indominus Rex, ovvero il nuovo cinema pompato e modificato dalla CGI, ma riguarda piuttosto semplicemente il T-Rex, il classico!
La sua entrata è per gli annali: o almeno questo si prova quando Bryce Dallas Howard, correndo magnificamente sui tacchi a spillo (!), lo ‘libera’ con il segnale luminoso rosso. Altro che cinema come luogo ‘decrepito e abbandonato’: T-Rex still rules the world (of cinema, o almeno quello dei blockbuster). Stiamo parlando del cinema che fu che rivendica il suo potere, e stravince alla grande.
Se ha ovviamente un forte fascino su di noi che con Jurassic Park ci siamo cresciuti, sono convinto che l’entrata in scena del T-Rex farà fare i salti di gioia sulla poltrona anche alle nuovissime generazioni. Equilibrio: ce n’è per tutti. Perché il T-Rex non è solo ormai Storia del cinema, con buona pace dei puristi, ma soprattutto parte di un immaginario collettivo dove nessun Indominus potrà spodestarlo dal trono. Trovategli tutti i difetti che volete: ma ‘il parco è aperto’, ancora una volta, e io non posso che esserne felice.