Cake: Recensione in Anteprima
Jennifer Aniston nel ruolo di una vita in Cake
Ex moglie di Brad Pitt, volto storico della serie Friends con cui vinse un Emmy e un Golden Globe e da oltre un decennio ‘abbonata’ a commedie sboccate e remunerative, Jennifer Aniston ha colto al volo l’occasione cinematografica di una vita con Cake di Daniel Barnz, 45enne regista dell’applaudito Phoebe in Wonderland e dell’orrendo Beastly. Un titolo indipendente girato interamente a Los Angeles per ingolosire i tanti divi che vivono nella Città degli Angeli, qui rappresentati da Anna Kendrick, Sam Worthington, Lucy Punch, Chris Messina, William H. Macy, Felicity Huffman ed Adriana Barraza.
Volti, fantasmi, presenze che orbitano attorno ad una Aniston mai tanto brava e credibile nei panni di una donna devastata dal dolore. Un’intensa e inattesa prova d’attrice che ha portato Jennifer alla riscossa, andando incontro ad una nomination ai Golden Globe ed una ai SAG. Scandalosamente e ingiustamente fallita la candidatura agli Oscar, l’ex signora Pitt ha comunque dimostrato di saper fare ‘altro’, rispetto al genere di pellicole fino ad oggi interpretate, andando incontro a quell’ “imbruttimento” che ad Hollywood fa sempre tanto clamore.
Perché Jennifer è Claire Simmons. Una donna sofferente, che prova costante dolore fisico a causa di un drammatico incidente che gli ha cambiato per sempre l’esistenza. Ricoperta dalle cicatrici, Claire si trascina stancamente in giro per la città. Cova rabbia repressa, è un vulcano in perenne ebollizione pronto ad eruttare, è scorbutica ed è sola. Perché tutti l’hanno allontanata. Suo marito, gli amici, persino il gruppo di supporto sul dolore cronico che frequenta senza eccessiva enfasi. Solo una persona le è rimasta vicina: la domestica Silvana, messicana che l’accudisce giorno e notte, preoccupandosi del suo stato di salute, scorrazzandola in giro per L.A. e arrivando persino in Messico per prenderle medicinali che negli Usa necessiterebbero di ricetta. Perché Claire è perennemente imbottita di antidepressivi e antidolorifici, da mandar giù tracannando vino bianco. Tra allucinazioni e sofferti ricordi sfiora più volte l’idea di farla finita, fino a quando un vero suicidio, quello di Nina, uno dei mebri del gruppo di supporto, non la costringe a guardarsi allo specchio. Facendola insinuare nella vita del marito di Nina e del figlio che la donna ha abbandonato…
Nel 2013 inserito nella ‘blacklist’ delle migliori sceneggiature ‘non prodotte’ (nata come ‘corto’, e si vede), lo script di Cake vive effettivamente di elementi interessanti, ma anche dannatamente già abbondantemente elaborati e purtroppo qui mediocramente rappresentati sul grande schermo. Appurata l’incredibile bravura della Aniston, che riesce a dare credibilità a questa donna travolta dai dolori, tanto fisici quanto emotivi, è il film tutto a galleggiare in un mare di pochezza contenustica. Barnz ha il pregio di non svelare troppo del passato della sua protagonista. Sappiamo a malapena cosa le sia successo. Non ci viene mai mostrato, se non tramite brevissimi e poco chiari flashback, ma negli occhi tristi e azzurri come il cielo dell’attrice percepiamo la fatica nell’andare avanti, nel dover elaborare quel lutto indicibile, nel rialzarsi una volta per tutte, nel perdonare se’ stessa in quanto madre e donna. Indomabile ‘bisbetica’, Claire è cinica e sboccata, arrogante e testarda. Distesa sul sedile del passeggero mentre gli altri sono alla guida dell’auto, è lei ad impartire ordini ed indicazioni, riufiutandosi di osservare quella strada che per forza di cose dovrebbe prendere, uscendo rapidamente da un tunne tempo prima imboccato.
Giocando con le allucinazioni da ‘farmaci’, Barnz sfrutta malamente l’immagine di Nina, la 30enne madre suicida che comincerà ad assillare Claire tanto da portarla fino alla porta di suo marito. Continue incursioni di scarsa efficacia, e dai toni ‘alterati’ che stridono rispetto a tutto il resto, per una Anna Kendrick gettata alle ortiche come parte del ricco cast, accennato e poco più nei suoi personaggi secondari. Lo stesso Sam Worthington, vedovo della Kendrick, agirà ai limiti del surreale nel gestire il ‘non-rapporto’ con la Aniston, in grado di provare ‘affetto’ solo nei confronti di Adriana Barraza, candidata agli Oscar con Babel di Inarritu e qui dolce ‘badante’.
Trascinando per 100 minuti il volto struccato, costellato di rughe e cicatrici nonché affaticato dell’ex Rachel di Friends, Daniel Barnz non è riuscito a riempire un film che scivola nella ridondanza, nell’inaccettabile pochezza dei suoi personaggi secondari, nella fragilità registica che non ha alcun guizzo, nei lunghi tempi morti e nell’inconsistenza di una trama che oltre ad una ‘banale’ nonché pregna di cliché elaborazione del lutto non riesce proprio ad andare, minando e di fatto rovinando la più inattesa prova d’attrice di stagione. Targata Jennifer Aniston.
Voto di Federico: 5
Recensione di Antonio
Un gruppo di sostegno sta scambiandosi le proprie impressioni sul recente suicidio di Nina (Anna Kendrick), anch’ella membro fino al tragico evento. L’atmosfera dev’essere positiva, a dispetto di una situazione estrema, specie se a confrontarcisi debbono essere delle donne con problemi che stanno tentando di superare. Finché a Claire (Jennifer Aniston) dire la sua, e ci si mette poco a capire che quest’ultima faccia fatica a contenere il suo malessere, rispedendo al mittente i buoni sentimenti verso la morta suicida.
Cake ci parla di un lutto, non tanto della sua rielaborazione; nel film non si è ancora a quel punto, e la condizione di Claire è abbastanza eloquente in tal senso. L’ex-avvocato di successo si trova ancora in un limbo, quello in cui si è inchiodati nel punto del tunnel dal quale non si riesce a vedere l’uscita né tantomeno si può tornare indietro. Senza che a questo malessere venga mai dato un nome, senza entrare più di tanto nel merito dell’incidente da cui lei è uscita viva per miracolo mentre il figlio ha perso la vita.
La Aniston di Cake è inedita, cinica, sfatta, imbruttita. Non solo le cicatrici che ha in tutto il corpo, ma anche il totale stato d’abbandono in cui versa a livello esistenziale, ché a quello pratico ci pensa l’insostituibile Silvana, la badante che tiene in ordine la casa e, come si capisce col passare del tempo, anche la vita del suo datore di lavoro.
Uno degli aspetti più interessanti di Cake sta proprio nel suo evitare il più possibile ogni via diretta, non tanto per malcelato pudore, quanto per lasciare che sia lo spettatore a speculare su quanto avviene. Una vicenda che a più riprese vira su qualcosa a metà tra onirico e mistico, mentre Claire rivede Nina ed inspiegabilmente s’interessa alle dinamiche del suo suicidio. Eppure tale inspiegabile curiosità è esattamente il motore dell’azione, ciò che consente alla protagonista di compiere lo step successivo. Facendo perciò leva su un elemento essenzialmente misterioso, la storia ci accompagna lungo la risalita della protagonista. Che è di quelle scorrette, magari insopportabili, ma nonostante tutto piacevoli per via del suo approccio sarcastico alle cose, talvolta nero.
La Aniston è colei che letteralmente traina il film, che senza di lei è certamente un’altra cosa. E quando scriviamo “senza di lei”, non intendiamo il suo personaggio evidentemente; no, si tratta proprio dell’attrice, che si fa carico pressoché di tutto il potenziale drammatico di quanto avviene nel corso del film, finendo con il condizionarne il ritmo e i toni. Tanto che ad un certo punto tocca darsi ragione del perché Cake non riesca però ad arrivare sino in fondo, impressione che si avverte in più occasioni.
Problema di sceneggiatura insomma, che effettivamente risente di alcune incertezze nel tenere testa all’incipit di cui sopra, ovvero quello secondo cui i contorni debbano essere sfumati. Tuttavia gli spunti non mancano, e sebbene alcune scene paiano un po’ tirate per i capelli (come il primo incontro tra Claire e Roy a casa di lui; o l’episodio della giovane ladra), rimane che altrove il tutto funzioni in maniera più spedita. Su tutti, basti evidenziare la dimensione in cui “abita” Claire, sospesa in un luogo senza tempo; condizione che ci viene visivamente restituita mediante il confuso ed estemporaneo avvicendarsi del giorno e della notte, un passaggio da cui la protagonista sembra oramai essere immune.
Vive più di momenti perciò Cake, abbastanza per trarne fuori qualcosa di interessante. Certo, per quanto lo vediamo difficile, restare tiepidi dinanzi alla prova della Aniston rappresenta un discrime fondamentale; tutto si regge su di lei. Ciononostante non va archiviato così frettolosamente il tentativo di soffermarsi su dinamiche che definire inflazionate è dire poco, riuscendo però ad offrire almeno un personaggio degno di nota. Fosse anche solo per questo, il film di Barnz può dirsi a suo modo riuscito. Poco importa fino a che punto.
Voto di Antonio: 6
Cake (Usa, drammatico, 2015) di Daniel Barnz; con Jennifer Aniston, Anna Kendrick, Sam Worthington, Lucy Punch, Chris Messina, William H. Macy, Felicity Huffman ed Adriana Barraza, Pepe Serna, Camille Mana – uscita giovedì 7 maggio 2015.