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Stasera in tv su Rai 3: “Hannah Arendt” di Margarethe von Trotta

Rai 3 stasera propone “Hannah Arendt”, dramma biografico del 2012 diretto da Margarethe von Trotta e interpretato da Barbara Sukowa.

pubblicato 29 Gennaio 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 18:38

Cast e personaggi

Barbara Sukowa: Hannah Arendt
Freiderike Becht: Hannah Arendt (da giovane)
Axel Milberg: Heinrich Blücher
Janet McTeer: Mary McCarthy
Julia Jentsch: Lotte Köhler
Klaus Pohl: Martin Heidegger
Michael Degen: Kurt Blumenfeld
Nicholas Woodeson: William Shawn
Ulrich Noethen: Hans Jonas
Victoria Trauttmansdorff: Charlotte Beradt
Harvey Friedman: Thomas Miller
Megan Gay: Francis Wells
Claire Johnson: Ms. Serkin
Gilbert Johnston: Professor Kahn
Tom Leik: Jonathan Schell

La trama

Scappata dagli orrori della Germania nazista, la filosofa ebreo-tedesca Hannah Arendt nel 1940 trova rifugio insieme al marito e alla madre negli Stati Uniti, grazie all’aiuto del giornalista americano Varian Fry. Qui, dopo aver lavorato come tutor universitario ed essere divenuta attivista della comunità ebraica di New York, comincia a collaborare con alcune testate giornalistiche.

Come inviata del New Yorker in Israele, Hannah si ritrova così a seguire da vicino il processo contro il funzionario nazista Adolf Eichmann, da cui prende spunto per scrivere La banalità del male, un libro che andrà incontro a molte controversie.

La storia

Stasera in tv su Rai 3 Hannah Arendt di Margarethe von Trotta (4)

Hannah Arendt è il ritratto del genio che sconvolse il mondo, grazie alla sua scoperta della “banalità del male”. Dopo aver assistito al processo al nazista Adolf Eichmann, svoltosi a Gerusalemme, la Arendt osò scrivere dell’Olocausto con parole che non si erano mai sentite prima. Il suo lavoro provocò immediatamente uno scandalo, ma la Arendt non ritrattò, nonostante gli attacchi di amici e nemici. In quanto ebrea tedesca emigrata, lei aveva difficoltà a recidere i suoi legami dolorosi con il passato e il film mette in mostra il suo affascinante mix di arroganza e vulnerabilità, rivelando un’anima formata e sconvolta dall’esilio.

La pellicola mostra Hannah Arendt (Barbara Sukowa) nel corso dei quattro anni (dal 1961 al 1964), in cui assiste, scrive e sopporta la reazione nei confronti del suo lavoro sul processo al criminale di guerra nazista Adolf Eichmann. Osservando la Arendt mentre partecipa al processo, rimanendo al suo fianco mentre viene contestata dai suoi critici e sostenuta da una ristretta cerchia di amici fedeli, avvertiamo l’intensità di questa donna ebrea forte, fuggita dalla Germania nazista nel 1933. Un’accanita fumatrice e una donna orgogliosa, la Arendt è felice e ha successo in America, ma la sua visione penetrante la rende un’outsider dovunque vada. Quando scopre che il Servizio segreto israeliano ha rapito Adolf Eichmann a Buenos Aires e lo ha portato a Gerusalemme, è determinata a raccontare il processo. William Shawn (Nicholas Woodeson), responsabile della rivista New Yorker, è eccitato di avere una stimata intellettuale a occuparsi di questo processo storico, ma il marito della Arendt, Heinrich Blücher (Axel Milberg), non condivide questo suo entusiasmo. Lui è preoccupato che questo incontro riporterà la sua amata Hannah a quelli che entrambi definiscono i “tempi oscuri”.

La Arendt entra in questo infuocato tribunale di Gerusalemme aspettandosi di vedere un mostro, ma invece scopre una nullità. La sciatta mediocrità di quest’uomo non coincide con la profonda malvagità delle sue azioni, ma capisce rapidamente che questo contrasto è proprio l’enigma che bisogna risolvere. Ritornata a New York, iniziando a comunicare la sua interpretazione rivoluzionaria di Adolf Eichmann, la paura si impadronisce del suo migliore amico, Hans Jonas (Ulrich Noethen). Lui la mette in guardia, dicendole che il suo approccio filosofico genererà soltanto confusione. Ma la Arendt difende il suo punto di vista coraggioso e originale, convincendo Heinrich a sostenerla in questo percorso.

Dopo due anni di pensieri intensi, ulteriori letture e dibattiti con la sua migliore amica americana, Mary McCarthy (Janet McTeer), il ricercatore e amico tedesco, Lotte Köhler (Julia Jentsch) e, ovviamente, un confronto costante con Heinrich, consegna finalmente il manoscritto. La pubblicazione dell’articolo sul New Yorker provoca immediatamente uno scandalo negli Stati Uniti e in Israele, per poi estendersi al resto del mondo.

Hanna Arendt fornisce uno sguardo sull’importanza profonda delle sue idee, ma è soprattutto la commovente possibilità di capire il cuore caloroso e la brillantezza glaciale di questa donna complessa e profondamente affascinante.

Note dell’autrice della biografia

Stasera in tv su Rai 3 Hannah Arendt di Margarethe von Trotta (3)

La luce che proviene dalle opere di una persona si diffonde nel mondo e rimane anche dopo la sua morte. Che sia grande o piccola, effimera o duratura, dipende dal mondo e dai suoi metodi. Ai posteri l’ardua sentenza.

La luce che proviene dalla vita di una persona – le parole dette, i gesti, le amicizie – sopravvive soltanto nei ricordi. Se deve entrare in questo mondo, ha bisogno di trovare una forma nuova. Una storia deve essere composta da tanti ricordi e storie. [Elisabeth Young-Bruehl autrice della biografia “Hannah Arendt”].

Un film su Hannah Arendt e perché

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La luce del lavoro che Hannah Arendt ha trasmesso al mondo brilla ancora. E visto che il suo lavoro viene citato da un numero sempre crescente di persone, diventa più luminoso ogni giorno che passa. In un’epoca in cui molte persone si sentono obbligate ad aderire a un’ideologia precisa, la Arendt rappresentava un esempio luminoso di qualcuno che rimane fedele alla sua visione particolare del mondo. Nel 1983, volevo realizzare un film su Rosa Luxemburg, perché ero convinta che fosse la donna e pensatrice più importante dello scorso secolo. Io desideravo comprendere la donna dietro alla combattente rivoluzionaria. Ma ora, agli inizi del ventunesimo secolo, Hannah Arendt è una figura anche più importante.

La sua visione e profondità iniziano a essere capite e affrontate correttamente solo adesso. Quando formulò per la prima volta il concetto de “la banalità del male” – un termine che aveva coniato nel suo reportage sul processo a Eichmann – venne criticata aspramente e attaccata, come se fosse una nemica del popolo ebraico. Oggi, questo concetto è diventato una componente essenziale di qualsiasi discussione che tenta di giudicare i crimini dei nazisti. E, ancora una volta, io ero interessata a trovare la donna dietro a questa grande pensatrice indipendente. Lei era nata in Germania e morta a New York. Cosa la portò lì? In quanto ebrea, non ha certo lasciato la Germania di sua spontanea volontà e per questa ragione, la sua storia suscita una domanda che mi sono posta in tanti altri miei film: come si comporta una persona di fronte a eventi sociali e storici che non può influenzare o cambiare?

Come tanti altri ebrei, la Arendt avrebbe potuto diventare una vittima del nazionalsocialismo, ma si rese conto del pericolo e abbandonò la Germania per recarsi a Parigi. Quando la Francia venne invasa, lei scappò a Marsiglia e, passando attraverso la Spagna e il Portogallo, arrivò finalmente a New York. Mentre fuggiva, pensava amaramente ai tanti amici che avevano scelto di rimanere e sostenere i nazisti. Lei era molto delusa, constatando quanto rapidamente si adattavano a una “nuova era”, descrivendo questo fenomeno in un’intervista come “Zu Hitler fiel ihnen was ein”. Voleva dire che, per giustificare la loro decisione, “si facevano delle idee false su Hitler”. L’esilio rappresentò la sua “seconda nascita”.

La prima trasformazione nella sua vita avvenne quando studiò filosofia con Martin Heidegger. A quell’epoca, la sua vocazione era inseguire il pensiero puro. Ma dopo l’esilio forzato, non aveva scelta, se non quella di impegnarsi negli eventi concreti del mondo. Nel 1960, quando si sentì finalmente a suo agio in America, era pronta ad affrontare uno dei capitoli più tragici del ventesimo secolo. Lei avrebbe osservato direttamente l’uomo il cui nome evocava l’assassinio di milioni di ebrei: Adolf Eichmann. Il nostro film si concentra su quei quattro anni turbolenti, in cui le vite della Arendt e di Eichmann si incrociano. Questo ci offriva l’opportunità di raccontare una storia che portasse a una comprensione profonda dell’impatto storico ed emotivo suscitato da questo confronto esplosivo. Quando la pensatrice originale e priva di compromessi si ritrova di fronte al burocrate sottomesso e ligio al dovere, sia la Arendt che il discorso sull’Olocausto cambiano per sempre. In Eichmann, lei ha visto un uomo il cui mix fatale di obbedienza e incapacità di pensare in maniera autonoma (“Gedankenlosigkeit”) gli ha permesso di trasportare milioni di persone verso le camere a gas.

Ritrarre Hannah Arendt quasi esclusivamente nel periodo che inizia con la cattura di Eichmann e termina poco dopo la pubblicazione del suo libro La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme, ha reso possibile non solo investigare il suo lavoro rivoluzionario, ma anche rivelare il suo carattere e la sua personalità. Abbiamo modo di conoscerla come donna, come compagna di vita e, cosa più importante per lei, come amica.

Alcuni flashback ci riportano agli anni venti e cinquanta – in cui vediamo la relazione appassionata di una giovane Hannah con Martin Heidegger — così come il loro incontro diversi anni dopo la conclusione della guerra. Lei non riusciva a troncare il rapporto con Heidegger, nonostante lui avesse aderito al partito nazionalsocialista nel 1933. Questi flashback sono importanti per capire il passato della Arendt, ma il film è incentrato soprattutto sulla sua vita a New York assieme al marito Heinrich Blücher, che lei aveva incontrato quando era esule a Parigi, ai suoi amici tedeschi e americani, soprattutto l’autrice Mary McCarthy, e al suo amico di lunga data, il filosofo ebreo tedesco Hans Jonas.

Questo è un film che mostra Hannah Arendt come una persona divisa tra i suoi pensieri e le sue emozioni, tanto da dover spesso separare l’intelletto dai sentimenti. La vediamo come una pensatrice e insegnante appassionata; una donna capace di un’amicizia che dura tutta la vita – qualcuno l’aveva definita un “genio dell’amicizia” – ma anche una combattente, che in maniera coraggiosa difendeva le sue idee e non si sottraeva a nessun confronto.

Il suo obiettivo era sempre quello di capire. La sua frase caratteristica, “io voglio capire”, è quella che la descrive meglio. Ed è proprio la sua ricerca per comprendere le persone e il mondo che mi attiravano. Come la Arendt, io non voglio giudicare, ma soltanto capire. In questo film, per esempio, voglio capire quello che Hannah Arendt pensava sul totalitarismo e il collasso morale dello scorso secolo: sull’autodeterminazione e la libertà di scelta; e quello che è riuscita a rivelare del male e dell’amore. Spero che il pubblico arrivi a capire, come è capitato a me, perché è così importante ricordare questa grande pensatrice.

La chiave per comprendere la sua vita è il desiderio della Arendt di rimanere fedele a quello che definiva “amor mundi”, l’amore del mondo. Sebbene il suo esilio forzato l abbia portata a essere vulnerabile e a soffrire di alienazione, ha continuato a credere nel potere dell’individuo di sopportare la forza crudele della storia. Il suo rifiuto di farsi sopraffare dalla disperazione e dalla mancanza di speranza la rendono, ai miei occhi, una donna straordinaria, la cui “luce brilla ancora oggi”. Una donna che può amare ed essere amata. E una donna che può, come si è definita, “pensare senza steccati”. Insomma, una pensatrice indipendente. Per offrire una visione autentica della Arendt come essere umano, abbiamo dovuto andare oltre le tantissime risorse scritte e audiovisive trovate negli archivi. Quindi, dopo un lungo periodo di ricerche tradizionali, abbiamo svolto delle interviste importanti con delle persone contemporanee, che hanno fatto parte della vita e del lavoro di Hannah Arendt per tanti anni.

Fonte | Pressbook ufficiale