Things People Do: Recensione in Anteprima del film con Wes Bentley
Noir in Festival 2014: film d’esordio per Saar Klein, montatore/allievo di Terrence Malick, Things People Do porta al Festival la storia di un padre di famiglia “costretto” a rubare per portare i soldi a casa. Buono? Umano? Cattivo? Il film lascia a noi la risposta, ma i limiti stanno altrove
La crisi morde, riuscendo sempre meno a farvi fronte. Se a questo si aggiunge la buona fede, l’onestà e se vogliamo pure l’onore, è evidente che l’epilogo non può che essere devastante. Da questi presupposti muove Things People Do di Saar Klein, che punta su un’idea forte in maniera non altrettanto incisiva. Bill (Wes Bentley) è un assicuratore che lavora sodo ma fa guadagnare poco alla società per cui lavora: per capire quanto è onesto basta assistere ad una partita di bowling, in cui, dopo aver fatto strike, chiama un fallo su sé stesso. Quando, insomma, essere così diretti non giova.
Ad ogni modo, Bill, una moglie e due figli, perde il posto di lavoro. Tale e tanta è la paura e la mortificazione, che decide di non confidarsi con sua moglie Susan (Vinessa Shaw), sebbene il loro rapporto vada a gonfie vele, così come la vita dell’intero nucleo famigliare. Uno di quelli sani, ammesso che oggi certe definizioni servano a qualcosa in contesti simili. Perché Klein, memore forse della lezione del maestro Malick (di cui è stato montatore), non vuole che la morale prenda il sopravvento sull’ambiguità, ed allora le timide metafore (come quella del lupo incagliato) di fianco a scene ben più dirette, come quelle che praticamente coinvolgono tutti i personaggi.
Emerge qui un primo limite di Things People Do, ossia la (mancata) profondità dei suoi protagonisti. Come rilevato in apertura, l’idea è intrigante: un padre di famiglia comincia a rubare per amore dei propri cari. Ad un incipit di spessore, a tratti addirittura brillante, si oppone una resa dei personaggi che non regge il passo. Bill, esasperato dalla prova di Wes Bentley, appare sincero ma al tempo stesso fatica a trasmettere l’angoscia di una situazione limite come quella che lo vede impugnare una pistola ed improvvisarsi rapinatore – la prima di queste rapine ha addirittura un che di comico, solo in parte voluto; per l’altra parte, qualcosa evidentemente non funziona, perché è quella la situazione che innesca la parabola provvisoriamente discendente di Bill.
Altra componente richiamata dallo stesso Klein, per forza di cose anche grazie ad un montaggio incalzante e che tende ad abbracciare più elementi possibile, è l’uso un po’ incerto dell’ambientazione, che eppure ha una sua evidente valenza nell’economia della narrazione: il deserto che circonda la casa di Bill, ad Albuquerque, è anch’esso metafora di una condizione esistenziale, interna ed esterna ai personaggi. Di questi il migliore, più per performance che per scrittura, è senz’altro il Frank di Jason Isaacs, poliziotto che non di rado alza il gomito per via di una situazione famigliare sofferta. Il rapporto tra Bill e Frank è importante, specie in relazione ai segnali che quest’ultimo dà in quanto tutore della legge, che in fondo preferisce la giustizia a quest’ultima – come quando, guardando un inseguimento a piedi in televisione, tifa per l’inseguito e non per i gli inseguitori, suoi colleghi.
Un film insomma che ha senza dubbio i propri meriti, se non altro perché si cimenta in una storia “pericolosa” sia perché, ridotta ai minimi termini, abusata, sia perché attuale in maniera schiacciante. Non fosse, tra le altre cose, per il fatto che la vicenda viene diluita in un arco narrativo forse pure un po’ più lungo del dovuto, avremmo parlato in toni ulteriormente lusinghieri. Things People Do invece non riesce a tenere incollati come si sperava e, quanto ai problemi che solleva, si barcamena quanto basta per non vanificare del tutto una buona premessa. Restando incastrato tra la sua vocazione squisitamente indipendente ed il desiderio di rendere il meno complesse possibile le cose, però, qualcosa (o molto) si perde, ed allora certi suoi difetti (su tutti, una specie di bidimensionalità dei personaggi) emergono con più facilità.
I toni sfumati assumono quindi una consistenza meno rilevante, e la pur innegabile verità di fondo dei conflitti su cui il film si sofferma ne esce in qualche modo ridimensionata. Ed anche se il finale vuole a ragion veduta lasciare in sospeso, sono altre le parentesi non chiuse che generano un po’ di amaro in bocca. Perché sia che tiri le somme, sia che lasci lì i pezzi sparsi, devi convincerci che quella soluzione, quale che sia, sia la cosa migliore da fare relativamente a quella storia. Al netto di tutto ciò, questo esordio non lascia indifferenti, e questo va comunque riconosciuto come punto non indifferente a favore di Klein. Con quel tocco di poesia di chiara matrice ma che in film del genere non guasta quasi mai.
Voto di Antonio: 6
Things People Do (USA, 2014) di Saar Klein. Con Wes Bentley, Vinessa Shaw, Jason Isaacs e Haley Bennett.