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I migliori e i peggiori film del 2014 secondo Cineblog

Quali sono stati i titoli più importanti del 2014? Quali quelli ci che ci hanno colpito di più? Noi di Cineblog tiriamo le somme in merito agli ultimi dodici mesi in sala, stilando la lista dei migliori e dei peggiori film dell’anno secondo ciascun redattore

pubblicato 22 Dicembre 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 20:00

Stanchi di leggere le immancabili classifiche di fine anno? Se sì, abbiate ancora un po’ di pazienza. Noi di Cineblog abbiamo i nostri di verdetti, che come sempre sono più che altro delle preferenze. Un gioco al quale ci piace prestarci sistematicamente ogni anno in questo periodo; un po’ per fare il punto della situazione, un po’ perché è piacevole applicarsi in questo modo. Venti titoli a testa: dieci migliori e dieci peggiori.

Un 2014 ricco, come in fondo lo è stata l’annata che l’ha preceduto. E molto altro avremmo potuto e dovuto dire se non ci fossimo imposti un limite che, effettivamente, perde di anno in anno sempre più consistenza, ossia menzionare i titoli migliori e peggiori esclusivamente tra quelli usciti nelle nostre sale. Ma non disperate. A breve stileremo, in un articolo a parte, una lista di titoli apparsi nei vari Festival tenutisi nel corso del 2014; alcuni in uscita nel 2015, altri senza ancora una distribuzione in Italia.

Ed eccoci qui allora, a salutare questi dodici mesi di cinema evidenziando delusioni ed entusiasmi, con l’augurio di un anno ancora più prolifico in tal senso (in cantiere abbiamo anche un’altra sorpresa a tal proposito, perciò seguiteci nei prossimi giorni). Nel congedarci, cogliamo l’occasione non solo per rivolgervi i più sentiti auguri di un sereno Natale ma anche per ringraziarvi di quest’altro anno insieme, che oramai, uno dopo l’altro, sono arrivati dieci. Dieci anni di Blogo e perciò di Cineblog. A nome di tutta la redazione.

FEDERICO

boyhood

IL MEGLIO

Boyhood: il capolavoro del 2014. Unico nella sua folle complessità produttiva e straordinario nel rappresentare l’apparente banalità della quotidianità adolescenziale, Boyhood di Richard Stuart Linklater è oggettivamente già storia. Esistono altri film che possono dire altrettanto al termine di questa ricca stagione? No.
Mommy: l’affermazione registica di un talento di 25 anni Premio della Giuria a Cannes qui arrivato al suo 5° lungometraggio. Stilisticamente unico ed originale, con un uso diegetico della colonna sonora da far studiare nelle scuole di cinema e una narrazione perennemente in bilico tra commozione e stupore.
Nebraska, A proposito di Davis, The Wolf of Wall Street – Her – Lei: ricordi passati dagli Oscar di febbraio, tra film premiati ed altri clamorosamente snobbati. In ogni caso quattro perle di diversa ma comunque pregevole fattura, tra la poetica di Payne, l’eleganza dei Coen, l’unicità di Scorsese e la genialità di Jonze.
Pride e Due giorni, Una notte: il mondo dei diritti che incrocia nel migliore dei modi il mondo del lavoro. Da una parte il cinema britannico che ricorda un clamoroso evento anni ’80 che vide i minatori in sciopero contro la Lady di Ferro incrociare gli omosessuali di Londra a caccia di considerazione politica e mediatica; dall’altra il necessario cinema dei Dardenne con una storia drammatica nella sua devastante contemporaneità, impreziosita tra le altre cose da una superba Cotillard.
La Principessa Splendente e Si alza il vento: i due veri capolavori animati del 2014. Entrambi firmati Ghibli, e non è un caso.
Il capitale umano e Anime Nere: i due migliori film del cinema italiano di stagione. Non a caso due titoli lontani da quella ‘commedia’ che sembra aver fagocitato l’intera industria cinematografica nazionale. L’ennesima conferma di Virzì, la piacevole sorpresa di Munzi.
Grand Budapest Hotel: la definitiva conferma del talento registico, stilistico e di scrittura di un’icona come Wes Anderson, qui al massimo del suo splendore.
Solo gli amanti sopravvivono e Locke: due tra i migliori ‘sottovalutati di stagioni’, impreziositi da straordinarie prove d’attore.
22 Jump Street e The Lego Movie: l’incredibilmente divertente, originale e travolgente doppietta della coppia più sorprendente e geniale di Hollywood. Phil Lord e Chris Miller.
Captain America – The Winter Soldier e I Guardiani della Galassia – X-Men – Giorni di un futuro passato: il meglio dei cinecomic di stagione, a dimostrazione che blockbuster fumettistici e qualità possono andar d’accordo. Anche senza Nolan al timone.

IL PEGGIO
Transcendence: la conferma che non basta essere un grande direttore della fotografia per poter diventare regista. Il disastro d’esordio di Wally Pfister.
Maleficent: di realmente ‘malefico’, in questa mostruosa rivisitazione Disney legata al più bel villain animato di sempre, c’è lo script di Linda Woolverton, sempre più pericolo numero 1 di Hollywood.
Hercules: La leggenda ha inizio, diceva il sottotitolo. Ecco, ed è anche già finita. Meritatamente.
Storia d’inverno: uno dei titoli più caotici e produttivamente assurdi di stagione.
Grace di Monaco: il lento e triste declino di colei che è stata la più grande attrice della propria generazione. Nicole Kidman.
Transformers 4 – L’era dell’estinzione: il botteghino ha premiato l’operazione, ma i robottoni di Michael Bay vivono ormai solo e soltanto per far cassa. E nient’altro. Persino lui, il regista/produttore, si è palesemente stancato di loro. Ma finché continuano a piovere immeritati miliardi, perchè fermarsi?
Un ragazzo d’oro: Sharon Stone, Riccardo Scamarcio e Cristiana Capotondi allo sbaraglio. Qualcuno fermi Pupi Avati, prima che distrugga definitivamente un’infinita carriera impreziosita anche da buoni prodotti.
Lucy: il successo più inspiegabile del 2014. Persino Luc Besson e Scarlett Johansson si staranno chiedendo come sia stato possibile incassare quasi 500 milioni di dollari in tutto il mondo. Anche perché Limitless, uscito nel 2011 e in questo caso evidentemente ‘omaggiato’ nell’idea di fondo, è 10 volte meglio.
Una folle passione: Togliete ‘passione’ e avrete l’unico commento possibile per il disastro di Susanne Bier. Folle.
Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte I – come rovinare una saga fino ad oggi perfetta. Più soldi al box office grazie all’assurda divisione in due dell’ultimo capitolo, meno qualità cinematografica al buio della sala. Contenti loro, contenti tutti. Ma è un peccato.

ANTONIO

mommy

IL MEGLIO

Mommy: resto ancora del parere che il primo Dolan (!) non sia per tutti (capito? Già si parla di un «primo Dolan»). Altro discorso per quello da Tom à la ferme in avanti. Nel frattempo però sono trascorsi sei anni appena… perciò come la mettiamo? Parlare del suo «film capolavoro» mi sembra limitante per un ragazzo che ha ancora una vita davanti e che speriamo, al contrario, di filmoni possa girarne altri. Ma quante barriere abbattono quelle braccia che allargano l’inquadratura…

Il regno d’inverno – Winter Sleep: hanno scritto tutti la stessa cosa, e una volta tanto perché è vero: studio impietoso quanto radicalmente veritiero sulle dinamiche relazionali, a qualunque livello. Pure meno anti-pubblico di quello che sembra, anche se tre ore e venti di raffinati litigi sono pur sempre tre ore e venti di raffinati litigi.

Si alza il vento: rivederlo fa piangere e sorridere quasi come la prima volta. Quasi. Resta un film di una potenza unica, con un timbro inequivocabile e che chissà per quanto tempo non ne vedremo uno simile. Perché se è vero (come è vero) che Miyazaki ha chiuso, allora scordiamoci altre elegie di questa portata e intensità.

Adieu au Langage: perché comunicare mai come oggi è un lusso per pochi. E sono sempre di meno. Del film di Godard tanto c’è da dire, ma ci limitiamo a definirlo urgente. Uno dei più urgenti degli ultimi anni, tra formati interscambiabili e quant’altro. La domanda, poi, è tremenda: una volta archiviato il linguaggio, cosa viene dopo?

Interstellar: abbiamo letto con attenzione le critiche, sia malevole che ponderate. Speravamo di trovarci qualcosa d’interessante, di “serio” perfino, ed invece nulla: tutte cose che si sapevano ben prima che Nolan mettesse mano alla sceneggiatura. E se è vero che il marchingegno non funziona come altre volte, i pochi colpi che assesta li mette a segno piuttosto bene. Diffidate da chi vi dice: delle due l’una, o hai troppe pretese o ne hai troppo poche. Discorsi inutili.

Gone Girl: a me questo Fincher così classico, misurato e senza nemmeno una sbavatura piace e pure tanto. Tra l’altro questo ritratto matrimoniale, così esasperato, in alcuni passaggi riesce ad essere talmente lucido che l’agghiacciante sarcasmo di fondo è più che un mero orpello. E se il totale è sempre più della somma delle sue parti, nel corso di quest’annata non se ne trovano film equilibrati come questo. Migliori forse. Ma non più bilanciati.

The Wolf of Wall Street: una festa. Una di quelle che vorresti non finissero mai anche quando sai non solo che finiranno, ma che finiranno pure male. Cosa importa, però, finché puoi ordinare condimenti che costano più delle portate principali e nani da lasciar correre in un bersaglio? Tanto che alla fine non ti senti in difetto neanche un po’ per esserti divertito così genuinamente.

Grand Budapest Hotel: mi pare strano che, specie adesso che il fenomeno è calante, nessuno si sia mai industriato a scrivere la seguente introduzione ad una non meglio precisata bibbia hipster: in principio fu Wes Anderson. Ma magari è stato fatto, solo che non l’ho letto. Tuttavia le etichette lasciano il tempo che trovano, stanno strette e non mi paiono nemmeno granché utili. È chiaro, serve una certa inclinazione verso uno stile così saturo e denso come quello di Anderson. Ma quest’ultimo oramai ci sguazza talmente bene che alla lunga dovranno cedere anche i più ostinati.

Maps to the Stars: la satira di Cronenberg diventa sempre più ambigua ma al tempo stesso irresistibile. Tra l’altro continuo a pensare che quell’inguardabile auto-combustione sia volutamente di pessima qualità quanto alla resa degli effetti speciali; il che depone decisamente a favore di chi l’ha così concepita.

Locke: per girare un film come quello di Steven Knight servono due cose e soltanto queste: un attore che sa davvero il fatto suo ed una sceneggiatura pressoché impeccabile. Basta. Insomma, fate voi.

Potevano esserci ma non ci sono: Boyhood, A proposito di Davis, American Hustle e Ida.

IL PEGGIO

Qui è stata dura, non per difetto ma per eccesso purtroppo. Fare una scrematura tra ciò che si avverte come “il peggio” visto è meno semplice di quello che sembra. Perciò che fare? Lasciare fuori tutti quei titoli scontati che rientrano in questa categoria non mi sembra il modo migliore di procedere. Di conseguenza facciamo un po’ e un po’, ché tanto gli altri redattori hanno pensato loro a colmare le lacune.

Carrie – Lo sguardo di Satana: a ragione c’è chi ha scritto che si è trattato di uno dei casi più eloquenti di miscasting della stagione (Chloë Moretz). Il resto non sarà una conseguenza, ma è comunque una delusione. Sempre che ci abbiate creduto; sennò è una conferma.

Noah: The Fountain avrebbe dovuto dirci qualcosa. Aronofsky è davvero abile quando tratta storie “piccole”; dategli a parlare di cose come «da dove veniamo? cosa siamo? perché siamo?» e si perde. Dire che un cineasta abbia il diritto di interpretare le fonti da cui attinge come vuole mi sembra solo voler spostare l’attenzione dai veri limiti di questo Noah.

The Amazing Spider-Man 2 – Il potere di Electro: inauguro qui una breve serie di tre flop per definizione (gli unici di questa lista): ovvero film che in premessa potevano e senz’altro dovevano funzionare, mentre invece no, non hanno funzionato. Il reboot di Spider-Man ha beneficiato di uno dei cast più azzeccati di sempre in ambito cinecomic. Il primo aveva addirittura dato di che sperare, al netto delle ovvie critiche che una trasposizione così altisonante si porta dietro a priori. Qui invece abbiamo uno dei villain più deboli di sempre, nonché forse il peggior Spider-Man di sempre al cinema. Pure di Spiderman 3, che in tanti non tollerano? Può darsi.

Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate: questa trilogia non è nata sotto i migliori auspici. La voglia di tornare nella Terra di Mezzo era tanta, forse troppa. Specie da parte dei fan. Ma in certi luoghi ci torni se sai come fare, ché al «cosa fare» ci pensa sempre e comunque Tolkien. Risultato? Una prima parte sottotono, una seconda appena sufficiente, una terza mediocre. Se intendevano illustrarci perché il Silmarillion sia meglio lasciarlo dove sta, allora la trilogia de Lo Hobbit è stata un luminoso successo.

Transcendence: più che altro ci avevo sperato. Transcendence non è brutto film tout court; è solo che non dà neanche a tratti l’impressione di avere saldamente le mani sull’argomento. Che gli sfugge di mano, costantemente. Il risultato alla fine, oltre che insoddisfacente, è pure un po’ straniante. Ma non nel senso che forse voleva Pfister.

Maldamore: il peggiore di tutti. Talmente scadente che non dovrebbe nemmeno stare in questa lista, dove vengono menzionate comunque opere cinematografiche. E non pensiate che si tratti di cattiveria: se nel cast hai Zingaretti e la Ranieri le attenuanti sono poche. D’altronde i motivetti da cineporno italiano anni ’80 che accompagnano le panoramiche cittadine non sono lì per caso. Qualcuno li ha scelti. Prendetevela con lui/lei/loro, tra gli altri.

Il ragazzo d’oro: eh. Pupi Avati tempo fa rilasciò un’intervista in cui se la prendeva con coloro si permettevano di valutare i film suoi, come quelli altrui, senza avere la più vaga idea di ciò che parlassero. In altre parole i critici o giù di lì. È anche vero, però, che se vengono tirati fuori certi lavori, non si può dare addosso anche a chi, certamente sbagliando, spara a zero. In tal senso Il ragazzo d’oro è ahimè una sorta di autogol. E no, non mi edifica affatto scriverlo. Anzi.

Hercules: parodia di 300+La Passione di Cristo+Il gladiatore.

Supercondriaco: Dany Boon sembrava avere le carte in regola per altro tipo di comicità, di quella leggera ma intrigante. Poi arriva Supercondriaco, ed allora ridimensioni un po’ il tutto. Due cose lasciano perplessi. La prima è che è un passo indietro ulteriore rispetto a Niente da dichiarare?; la seconda, più grave, è che non fa ridere. Anzi, alla fine parte pure per la tangente, denotando una mancanza di controllo che anziché essere arginata viene addirittura ostentata.

Nymphomaniac – Volume 1: vengono in mente le parole profetiche di un pittore americano di fine ‘800, James Whistler: «Non date ascolto all’urlo dell’indecenza, a quest’ultima arringa del banale». Ok, nel Volume 2 Von Trier tira le fila e il discorso assume una valenza leggermente diversa. Ma siccome è stato deciso che i due film dovessero essere divisi, noi ci regoliamo di conseguenza.

Potevano esserci ma non ci sono: Yves Saint Lauren, Monuments Men e Lovelace.

GABRIELE

Under the Skin

IL MEGLIO

I primi due posti sono da considerarsi ex aequo. Non sono in classifica perché arrivati troppo tardi in Italia rispetto alle uscite originali Frances Ha e Stories We Tell, e francamente mi sembrano così 2012 per finire in questa Top 10…

01. Boyhood: il film di tutti. Non per questo rassicurante, anzi: la battuta finale del monologo di Patricia Arquette dovrebbe rimettere tutto in prospettiva. Il tempo passa, ed è inesorabile. Mai nessuno aveva fatto una cosa del genere. E il coming-of-age definitivo è servito, una roba che sarà non solo studiata, ma diverrà pietra di paragone in molti casi, forse più di quel che ora crediamo. Che coraggio, che sfida, e che viaggio. Nella Storia.
01. Mommy: non so più cosa dire del film e di Dolan. Sono anni che seguo questo regista diabolicamente giovanissimo, e non posso che essere contento che finalmente anche l’Italia possa godere del suo talento e di quello che ritengo essere il suo film più travolgente, toccante e sentito. Con almeno due sequenze da applauso scatenato: l’apertura dell’1:1 sulle note di Wonderwall e il futuro sognato su quelle di Experience di Einaudi.
03. Under the Skin: una delle esperienze dell’anno. Una nuova definizione filmica di perturbante, un oggetto a cui vi consiglio di dare una seconda possibilità se la prima siete rimasti frustrati e sconvolti. Il mondo visto dagli alieni: ma più che uno sci-fi o un horror è un ragionamento sull’empatia. Siamo noi essere umani a non essere pronti per gli alieni.
04. Nymphomaniac – Volume 2: il Volume 1, anche se in qualche modo preparatorio, non mi ha mai detto nulla. Ma la seconda parte di Nymphomaniac mi sembra una bomba, puro Von Trier. E credo sia la risposta più provocatoria e compiuta alle eterne accuse di misoginia. Attenzione alla scena dell’aborto nella director’s cut…
05. A proposito di Davis: il primo film dei Coen che mi ha commosso. Nota bene: la musica è talmente bella che avevo le lacrime già alla prima canzone. La storia di un ennesimo loser che è il lato folk di A Serious Man. Chiusa finale da perderci la testa, con Bob Dylan che mette la parola fine al loop con un cortocircuito pazzesco. Poi c’è New York vista ad altezza gatto.
06. I Toni dell’Amore – Love is Strange: se ne sono accorti in pochi, ma Ira Sachs è uno dei migliori talenti in circolazione là fuori. Questo è meno radicale del precedente Keep the Lights On, ma ugualmente sentito, sincero, per questo davvero emozionante. Con attori in stato di grazia e una parte finale perfetta.
07. Grand Budapest Hotel: non è il mio Wes Anderson preferito. Ma non ce la faccio proprio a non riconoscerne la grandezza. Un altro film che può infastidire quanto stampare un sorrisone in faccia per tutta la sua durata. Cinema rassicurante? Sì, ma del tipo più pregiato. Con in più una parte finale a suo modo addirittura commovente.
08. Maps to the Stars: mai visto un film del genere. Il lato B di Mulholland Drive? O quello più cool di The Canyons? Vedeteci quel che volete: io lo trovo esilarante e cattivissimo. Hollywood come il dead ringer di sé stesso. Sono convinto si tratti di un film che resterà. E poi finisce con la parola libertà.
09. Sils Maria: uno dei film che più sono cresciuti dalla presentazione a Cannes. Assayas ha il dono raro dell’eleganza, e la sua mise en abîme (sul cinema tanto quanto sulla vita) ha la capacità di scorrere via liscia grazie a una scrittura limpidissima. La Binoche splende, ma la rivelazione è una Kristen Stewart a dir poco meravigliosa.
10. Interstellar: per spettatori pionieri. Per chi ancora ci crede: nella scienza come necessario salto nel buio e nel cinema come necessario “tentativo”, anche in confezione da blockbuster. Non un film di fantascienza, ma un mèlo che abbraccia l’intero Universo: quindi non per cinici di riporto. Nolan ci ha provato, e io non riesco a non crederci.

Per poco non ce l’hanno fatta: Snowpiercer, The Look of Silence, L’Amore Bugiardo – Gone Girl, Addio al Linguaggio, Solo gli amanti sopravvivono.

IL PEGGIO

Non segnalerò i titoli ovvi, come cinepanettoni e ovvi orrori italiani. Non metterò due cose insopportabili e che non ci si crede come l’Hercules di Harlin o Maldamore, ma solo perché colgo l’occasione per segnalare altro: film in generale che qualche ambizione magari ce l’hanno pure, e che mi sembrano fallimenti o delusioni. Senza classifica, solo segnalazioni in ordine alfabetico.

– American Hustle: la noia che mi provoca il cinema di David O. Russell è pari solo alla noia che mi provoca il cinema di David O. Russell.
– The Butler: un altro filmetto inetto di Lee Daniels, che qualcuno crede un autore. Come ridurre la Storia in macchiette sciocche e bidimensionali.
– Grace di Monaco: il peggior film d’apertura di un festival nella Storia recente (per chi non se lo ricordasse, aprì Cannes 2014). Grottesco.
– Lovelace: altro biopic, altro giro nel nulla. Modesto, finto e persino (involontariamente?) moralista: chi se lo aspettava da Epstein e Friedman?
– Mademoiselle C: uno dei peggiori documentari degli ultimi anni, con adeguata e insopportabile confezione laccata e un modo di pensare il mondo, la vita e il cinema da mani nei capelli.
– Maleficent: capisco l’operazione, nel senso che ci troverei anche uno spunto originale. Ma ancora ci propinano effetti e idee à la Alice in Wonderland?
– Monuments Men: il peggior film diretto da George Clooney, altrove regista assai valido. Fiacco e interminabile: guardatevi piuttosto Diplomacy.
– Noah: visto che di acqua si parla… non ne bevo manco una goccia di questa roba qui, Mr. Aronofsky. Ridicolissimo.
– Ogni maledetto Natale: aiuto che delusione. Idea narrativa piatta, e la prima parte francamente è orrida. La seconda non migliora la situazione. Banalità a profusione: se questo è l’anti-cinepanettone siamo a posto.
– Storia d’inverno: la cosa obiettivamente peggiore dell’anno. Una follia produttiva che non si capisce manco da dove salta fuori. Però l’ultima mezz’ora è esilarante.
– Tutto sua madre: film amatissimo, considerato esilarante da tutti (è vero, ha scene molto divertenti). Però si trasforma in un fastidiosissimo boomerang per quel che riguarda il discorso LGBT che affronta…

SIMONA CUT-TV’S

Grand Budapest Hotel

Per un’appassionata di cinema senza tempo, solo IL MEGLIO arricchito da una bella stagione di grandi ritorni e capolavori restaurati in prima visione, da guardare spesso per la prima volta sul grande schermo della sala cinematografica, da La grande illusion contro la guerra di Jean Renoir a Hiroshima mon amour e gli afflati della Nouvelle Vague di Alain Resnais, da Pulp Fiction di Quentin Tarantino agli abissi di Polanski con Chinatown, con ritorni ai confini del West e alle origini dello Spaghetti Westrern della Trilogia del dollaro restaurata di Sergio Leone, un anti-eroe di frontiera come il cavaliere senza nome, il volto laconico e iconico di Clint Eastwood, un sigaro, un poncho e tutto quello che serve a nutrire Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965), Il buono, il brutto e il cattivo (1966).

Per passioni analoghe, che crescono con l’età, anche tutti i capolavori animati del maestro Hayao Miyazaki, arrivati o tornati per la prima volta sul grande schermo, con La Principessa Mononoke, La Città Incantata, Si alza il vento, ma anche con La storia della principessa splendente di Isao Takahata che contribuisce a dar lustro ai piccoli grandi film dello Studio Ghibli.

Grand Budapest Hotel: offre stanze e frivolezze nella toccante immaginazione di Wes Anderson, i dettagli sono tutto, la delizia sale con l’ascensore e Wes si lascia gustare come gli amaretti nella scatola rosa.

Interstellar: il sontuoso viaggio nei limiti umani e nell’universo infinito di stimoli che Christopher Nolan riesce a spedire nello spazio profondo, per farci tornare con i piedi per terra mentre la testa continua a ronzare.

Maps To The Stars: il lato oscuro di Hollywood arde, del fuoco sacro del genio in continua evoluzione e viscerale metamorfosi cinematografia di David Cronenberg, con uno psicodramma provocatorio che viviseziona gli eccessi della società arsi dai riflettori.

Boyhood: in viaggio sul grande schermo da sei anni a diciotto anni, dall’infanzia all’età adulta. L’avventura di crescita e formazione di un individuo, ripresa per 12 anni in seno ad una vera famiglia, da vedere già solo per questo, ma nel film di Richard Linklater c’è molto di più.

Il sale della terra: Wim Wenders sulle tracce della Genesi del mondo e delle glorie della natura, esplorate, fotografate e sostenute dal fotografo e dall’ecologista Sebastião Salgado con le emozioni vibranti delle sue immagini.

Il capitale umano: l’istantanea di Paolo Virzì dell’uomo contemporaneo plasmato da finanza, economia, parecchia avidità e l’inganno come sistema che non contempla innocenti.

Locke: un atto unico per un volto di attore (Tom Hardy) dai mille talenti e molte più emozioni.

Alabama Monroe – Una storia d’amore: di più, la ballata di due anime trafitte dall’amore e dalla vita al ritmo travolgente del Bluegrass di Felix Van Groeningen.

PIETRO

guardiani della galassia cineblog

Il rammarico più grande di questo 2014 è non poter inserire un film horror tra “il meglio”, a parte l’ampiamente sopravvalutato Oculus, un discreto thriller psicologico sfacciatamente spacciato per un horror e lo strepitoso Babadook purtoppo ancora inedito, il resto dei film horror visionati è stata una serie di titoli discreti, ma senza particolari guizzi.

IL MEGLIO

1. Guardiani della galassia: qualcuno ha provato a definirlo il nuovo Star Wars, un tantino avventato, ma il film di James Gunn è senza alcun dubbio il cinecomic dell’anno.

2. Interstellar: Christopher Nolan ha l’indubbia capacità di miscelare intrattenimento e spessore, una dote che qualche volta lo spinge a strafare (vedi Inception), ma sempre con indubbia classe e un’impronta visiva che incanta come nel caso di “Interstellar”.

3. Si alza il vento: Hayao Miyazaki non delude mai, una leggenda e un’artista incomparabile che ha portato l’animazione ad un livello superiore che prescinde gusti, età e generi.

4. The Wolf of Wall Street: un Leonardo DiCaprio scatenato e un Martin Scorsese inedito per un biopic carico, sopra le righe e maledettamente divertente.

5. La storia della principessa splendente: lo Studio Ghibli dimostra di poter narrare qualunque storia trasformandola in un’opera d’arte e la peculiare impronta grafica di questo nuovo film è pura poesia in movimento.

6. Apes Revolution – Il pianeta dele scimmie: un sequel che non delude, alza il livello tecnico e conferma su schermo il carisma e l’intensità di un personaggio, il Cesare di Andy Serkis, che riesce ad emergere con vigore oltre la maschera.

7. Captain America – The Winter Soldier: un sequel davvero imponente a livello visivo e con un plot di spessore che ci mostra un vero e proprio complotto ordito alla corte delll’integerrimo S.H.I.E.L.D. con il Lato oscuro dell’HYDRA che emerge mettendo tutti contro tutti, ma il bene e la giustizia hanno uno strenuo difensore che sa bene da quale parte schierarsi.

8. Godzilla: non si poteva fare di meglio con questo notevole “reboot” che miscela contenuti, effetti visivi di altissimo profilo e un occhio sempre rivolto all’originale giapponese oramai diventato oggetto di culto.

9. Snowpiercer: un gioiello fanta-apocalittico quello confezionato dal coreano Bong Joon-ho, che fruisce di un cast internazionale e una narrazione dinamica che non manca di regalare qualche caratterizzazione di spessore come quella di un volenteroso Chris Evans.

10. Smetto quando voglio: con l’intenzione di scegliere almeno un titolo italiano e non avendo ancora avuto l’occasione di visionare l’acclamato “Il capitale umano”, ho deciso di scegliere questa intrigante commedia che strizza l’occhio al classico I soliti ignoti, parla con ironia di crisi del lavoro e precarietà e sfoggia una coraggiosa e originale impronta visiva (vedi la fotografia di Vladan Radovic).

IL PEGGIO

1. Transcendence: un film che banalizza in maniera imbarazzante una tematica fantascientifica di grande spessore e fascino come la ricerca sull’Intelligenza artificiale e i rischi connessi all’abuso di tecnologia, un titolo privo di qualsivoglia appeal e con un cast a dir poco sprecato.

2. I, Frankenstein: su carta un film che poteva regalare dell’ottimo intrattenimento potendo fruire di un carismatico e talentuoso protagonista come Aaron Eckart e di un precedente come la serie Underworld. Purtroppo su schermo scorre un giocattolone senz’anima che trasforma una battaglia sovrannaturale dalle potenziali proporzioni epiche in un fumettone che scorre via senza lasciare alcuna traccia di sé.

3. Hercules – La leggenda ha inizio: un’ulteriore prova della indubbia capacità del regista Renny Harlin di confezionare imbarazzanti “ciofeche” (vedi The Covenant) e della mancanza di carisma di Kellan Lutz assolutamente inadatto a coprire un ruolo di protagonista, figuriamoci poi quello del leggendario Hercules. Il film dopo pochi minuti di visione si trasforma in una brutta copia del classico “300” sfoggiando a livello visivo una fastidiosa patinatura, fortuna ha voluto che alcuni mesi dopo è arrivato l’ironico e soprendente Hercules – Il guerriero di Brett Ratner con “The Rock” a ridar vigore e carisma al leggendario figlio di Zeus.

4. Into the Storm: un film di una pochezza emotiva imbarazzante, tutto effetti visivi e niente cuore, capace solo di regalare ancor più fascino al Twister di Jan de Bont che resta ad oggi un piccolo classico del filone disaster-movie.

5. 1303 3D: un thriller-horror a sfondo sovrannaturale di una tristezza unica. Rifacimento di un’interessante film giapponese, la versione americana trasforma il tutto in una soporifera storia di fantasmi, cercando di spaventare lo spettatore con beceri trucchetti da teen-horror regalando brividi con il contagocce.

6. Ghost Movie 2: quando la parodia diventa l’ombra di se stessa: volgare, chiassoso e girato con i piedi.

7. La stirpe del male: due talentuosi giovani filmmakers partono con l’intenzione di omaggiare il classico Rosemary’s Baby e confezionare il found footage definitivo dell’inflazionato filone degli horror a sfondo demoniaco. Purtroppo il risultato è confuso, noioso e a tratti irritante, niente a che vedere con gli ottimi Afflicted (vampiri) e La metamoforsi del male (licantropi) che invece consiglio caldamente.

8. Il segnato: se non bastava la serie “Paranormal Activity” a ripetersi ad oltranza ecco uno spin-off davvero inutile e palesemente realizzato per far cassa e “scassarci”.

9. Lovelace: si può realizzare un biopic su un’attrice porno e un titolo hard di culto mantenendo tutto nel confine del politicamente corretto? La risposta guardando il film della coppia Robert Epstein e Jeffrey Friedman è decisamente negativa. Nonostante la volenterosa performance della graziosa Amanda Seyfried il film risulta un rigoroso compitino svolto con un eccesso di formalità.

10. Lo sguardo di Satana – Carrie: un film che non ha ragion d’essere visto che c’è un classico alle spalle ancora oggi di notevole impatto. Le bravissime e talentuose Chloe Moretz e Julianne Moore fanno quel che possono per regalare al film un minimo di appeal, ma il senso d’inutilità di un’operazione del genere regna sovrano.