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Xavier Dolan per la prima volta in Italia con Mommy: i suoi film secondo Cineblog

Finalmente un film di Xavier Dolan arriva in sala, anche grazie al successo avuto a Cannes 2014. Ma non c’è solo Mommy: prima abbiamo quattro lungometraggi da noi inediti che costruiscono una carriera veloce, fulminante e unica. Dal 4 dicembre anche l’Italia potrà essere testimone di un talento raro e vivo, di cui Cineblog ripercorre l’ascesa e il successo.

pubblicato 4 Dicembre 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 20:05

Mettiamoci l’anima in pace: siamo sempre gli ultimi a portare in sala il nuovo che avanza. Xavier Dolan arriva per la prima volta nei cinema italiani con Mommy, che è il suo quinto film e non è manco più una novità nel panorama internazionale. Certo, con una carriera veloce (5 film in 6 anni) e il successo totale scoppiato proprio con Mommy uno può pensare che “ci sta”, abbiamo solo perso il treno.

Però diamine, a nessun distributore è mai fregato nulla finora di Dolan, manco l’anno scorso a Venezia in cui c’era in concorso Tom à la ferme. Il fatto che fosse andato via dal Lido a mani vuote non aveva aiutato, ma è lo stesso Dolan a sapere che in Italia ha poche chance di distribuzione. Scriveva così qualche settimana dopo la presentazione del suo quarto film al Lido, rispondendo a un tweet che gli chiedeva se i suoi film sarebbero mai arrivati nel belpaese:

I distributori italiani non sono interessati per niente ai miei film [e consiglia di comprarli quindi su Amazon, ndr]

Siamo un po’ maliziosi: sarà mica colpa dell’orientamento sessuale di Dolan e del genere di film che fa? Sarebbe almeno una scusante, ovviamente oscena, e non si tratterebbe solo di miopia distributiva, cosa che purtroppo ci sembra essere. Classe 1989, nato a Montréal da padre ben famoso (Manuel Tadros), una gavetta da attore pubblicitario, televisivo e cinematografico (ve lo ricordate che fine fa all’inizio di Martyrs?), doppiatore da una vita (è la voce francese ad esempio di Jacob in Twilight), e già cinque lungometraggi in saccoccia. Tutti acclamati e premiati.

Anche se il suo stile è stato definito un mix fra Pedro Almodóvar e Wong Kar-wai, Dolan non ha mai nascosto l’età che ha (25). Quindi, piuttosto che citare grandi nomi fra le sue influenze, si limita a citare Titanic fra i film della vita, con tanto di cotta per DiCaprio. Mentre all’ultimo Festival di Cannes, dove Jane Campion e la sua giuria hanno assegnato a Mommy “solo” il Premio della Giuria (ex-aequo con Godard), ha dichiarato alla regista il suo amore per Lezioni di piano, tra i primi film che lo hanno influenzato da giovane e che lo hanno invogliato a scrivere storie e personaggi di donne forti.

Ci voleva proprio il buzz di Cannes 2014 – davvero: si parlava di Mommy ogni giorno a ogni ora in ogni angolo e in ogni fila – per far sì che un suo film arrivasse nelle nostre sale. E anche se Mommy rappresenta a suo modo un culmine di questa (prima parte di) carriera, bisognerebbe recuperare tutti i film di Dolan per seguire un percorso davvero affascinante e appassionante, a prescindere dall’età diabolica del regista. Che innanzitutto gioca con lo stile, con i formati e con moltissima musica accattivante.

Se il rischio era quello di ripetersi fin troppo, Dolan ha saputo spiazzare la critica e il suo primo pubblico con un bel cambio di rotta al quarto film. Se i primi tre lavori erano dei fiammeggianti “mèlo” sui generis, Tom à la ferme ha dimostrato che il regista può cambiare e può confrontarsi con qualcosa di nuovo, in questo caso il noir. Da uno stile barocco, denso, pieno di voli pindarici e momenti di matrice videoclippara quasi a sé stanti, Dolan si dà a un film che è ben più sobrio e asciutto, pur non snaturando affatto la sua cifra.

Mommy, anche se pare tornare agli esordi vista anche la centralità del rapporto madre-figlio, prosegue invece in questa essenzialità e asciuttezza di stile. Strano da dire per un film girato in 1:1, che fa della musica pop una cassa di risonanza emotiva per il pubblico più giovane e che non lesina in rallenti. Però ecco: per capire il percorso di Dolan fino al quinto film bisognerebbe recuperarne tutti i lavori. Anche per capire che il vero filo rosso che li lega è fatto innanzitutto dei giochi di relazione al limite del morboso che si instaurano tra i personaggi.

Resta poi il fatto che senza un talento unico al mondo non si gira a 19 anni un film come J’ai tué ma mère, e non si gira a 23 anni un’epopea di 3 ore come Laurence Anyways. Dolan tra l’altro trascende l’etichetta di cinema queer – nessuno si sogna più di catalogarlo – perché è in grado di girare, scrivere e innanzitutto pensare (il cinema, le persone e la vita) con una sicurezza e intelligenza rare. Lo hanno sempre aiutato gli attori, bravissimi, ma dovrebbe venire pure il sospetto che oltre a saper scegliere facce giuste e bravi interpreti, Dolan è innanzitutto un ottimo direttore d’attori. Notare anche che la fama che vuole che lui sia un interprete mediocre è piuttosto gratuita.

Chissà cosa succederà con il suo prossimo lavoro, The Death And Life Of John F. Donovan, il suo primo girato in lingua inglese. Dolan ci ha messo poco a convincere Jessica Chastain a salire a bordo del progetto. Da buon twittatore, non gli è parso vero quando proprio a Cannes l’attrice ha twittato entusiasta subito dopo aver visto Mommy, ed ha così risposto:

Chastain [22 maggio]: “Completamente travolta da Xavier Dolan. Il suo film, MOMMY, è stato così emozionante.”

Dolan [27 maggio]: “Ho visto solo adesso questo tweet perché sono stupido e cieco. Sei davvero dolce. Sono contento che ti sia piaciuto Mommy. Puoi essere la mia copertura?”

E se anche The Death And Life Of John F. Donovan segnerà un nuovo cambio di rotta nella sua filmografia, qui ci sentiamo molto fiduciosi: anche perché già mettere la Chastain in un ruolo da villain è una scelta di casting strepitosa. Poi certo, come ogni autore Dolan si è creato una fitta schiera di detrattori.

Ma quello che è più importante è che ha convinto molti critici dubbiosi grazie alle sue qualità uniche. Finalmente anche l’Italia può rendersi conto che è nato da un po’ un autore. Non c’è più l’influenza di Almodóvar, di Wong, di Fassbinder o altri: c’è solo, finalmente, Xavier Dolan. Che piaccia o meno.

I 5 film di Xavier Dolan

J’ai Tué Ma Mère (2009): ovvero ‘ho ucciso mia madre’. Hubert, 16 anni e omosessuale, la uccide “virtualmente”: prima dicendo a un’insegnante che la donna è morta, poi separandosene andando a vivere da solo col fidanzato. Almodóvar, Wong, Fassbinder, il videoclip: influenze (?) ovunque in uno stile barocco e dirompente, tra colori accesissimi, rallenti e tanta musica (i Vive la Fête su tutti). Diretto a 19 anni, parzialmente autobiografico (non si è mai capito quanto), mette in scena il primo rapporto conflittuale tra due personaggi: un figlio e una madre che si amano troppo, e se ne fanno e dicono di tutti i colori. Presentato alla Quinzaine di Cannes 2009: non si parlava d’altro. Esordio folgorante, e giustamente strabordante vista l’età del regista. Prima collaborazione con Anne Dorval, ovviamente nel ruolo della madre Chantale.

Les Amours Imaginaires (2010): lui e lei sono amici per la pelle, e si innamorano dello stesso ragazzo. Sarà un duello per chi attira di più la sua attenzione, mentre il ragazzo sembra godere sempre di più di stare al centro del loro mondo e del loro desiderio. A un anno esatto di distanza dall’esordio, Dolan viene accettato nell’Un Certain Regard di Cannes con la sua opera seconda. Oggi è un vero e proprio cult, ma all’epoca qualcuno aveva storto il naso. Momenti folgoranti, musica ancora più ricercata dell’esordio (Bang Bang cantata in italiano da Dalida, gli Indochine, ancora i Vive la Fête, i The Knife), neanche cinque minuti in cui non ci sia un rallenti o una trovata stilistica. Con il rischio però di frenare il ritmo e raggelare le emozioni. E infatti il film ha forse un solo vero grande momento di “battito del cuore”: quando Nicolas chiede con tocco maligno a Francis se davvero credeva che lui fosse gay.

Laurence Anyways (2012): inizio anni 90; lui e lei si amano. Tutto va a gonfie vele, finché lui non confessa di voler diventare una donna, e chiede a lei di restare al suo fianco lungo il percorso. Un percorso che durerà tantissimo. E Xavier Dolan si prende il suo tempo per narrare questa storia lunga 10 anni: ben tre ore di epopea stilosa, divertente e appassionante, da autore navigato. Girato interamente in 4:3, con scene fulminanti (i vestiti in cielo!) e una colonna sonora che acchiappa (con Fade to Grey e Moderat). Anche questa volta c’è il rapporto conflittuale e speciale con la madre: “Ho sempre avuto la sensazione tu non fossi mia madre”, “Non ho mai avuto la sensazione che tu fossi mio figlio. Ma mia figlia”. Il film finisce ancora in Un Certain Regard, con grande delusione del regista che puntava al concorso. Vince la Queer Palm, ma Dolan la rifiuta perché non ama le catalogazioni di genere. Prima collaborazione con Suzanne Clément, nel ruolo della fidanzata di Laurence e vincitrice a Cannes, e cameo per Antoine-Olivier Pilon.

Tom à la Ferme (2013): Tom arriva in campagna per il funerale del fidanzato, ma scopre che la madre non sa nulla della loro relazione. Ma lo sa suo fratello, che inizia a minacciare Tom. Tratto da un testo teatrale di Michel Marc Bouchard in cui si dice che “gli omosessuali imparano a mentire prima di imparare ad amare”. Il film questo non lo dice, ma lo mette in scena benissimo: dall’assolata pianura quebecoise Tom arriva in macchina in una fattoria avvolta dalla nebbia. Da quando il bel fratello del fidanzato gli proibisce di svelare la sua identità, ci prova un po’ di gusto. Non si sa perché e per come, ma certi meccanismi alla sindrome di Stoccolma scattano da sé. Noir irresistibile, dal controllo impeccabile, con plot alla Hitchcock (con tanto di partitura musicale doc), atmosfera morbosa, battute da commedia e botte horror da brividi lungo la schiena. Funziona la prima volta come spettacolo da gustare tutto d’un fiato; la seconda volta risaltano dei dettagli di intelligenza sopraffina. Come il cambio di formato nelle scene più adrenaliniche. Venezia lo ammette subito al concorso ufficiale, ma la giuria di Bertolucci è cieca e non lo premia. Qui la recensione da Venezia 2013.

Mommy (2014): Diane è una donna single che deve riprendersi in casa il turbolento figlio sedicenne Steve, affetto dal disturbo da deficit di iperattività. I due instaureranno un bel rapporto con la vicina di casa di fronte, donna balbuziente dal passato misterioso che si offre di dare ripetizioni scolastiche al ragazzo. Il formato dell’inquadratura questa volta è ancora più radicale: un 1:1 che rappresenta un quadrato perfetto, e che permette di concentrarsi sui volti degli attori creando una strana sensazione di claustrofobia. Ancora storia di relazioni turbolente, ma questa volta si cerca di correre ai ripari e stare bene: dopotutto si sta parlando di tre persone ferite nell’anima che provano a stare bene tra loro. Ci si aiuta, si chiacchiera, si discute, si balla, si beve e si fuma. Stile tenuto per le briglie senza rinunciare a colpi d’ala, e in almeno un paio di occasioni si applaude o si piange. Un capolavoro imperfetto e devastante, con una colonna sonora pop che fa da immediato contraltare emotivo alla storia (ci sono Dido, Oasis, una versione karaoke di Vivo per lei, Lana Del Rey e gli Eiffel 65). Un film contagioso e così pieno di energia non lo vedrete facilmente in giro. Premio della Giuria a Cannes 2014: era da Palma. Qui la recensione da Cannes 2014.

Bonus: College Boy – Indochine

Il fortissimo video di College Boy, girato da Dolan nel 2013 per la band Indochine. Abbiamo già il formato 1:1 e Antoine-Olivier Pilon come protagonista. Proprio come in Mommy.