Actress: Recensione in Anteprima
Da attrice di The Wire a madre. La breve ma emblematica storia di Brandy Burre, raccontata attraverso un particolare documentario che mescola realtà e finzione in Actress di Robert Greene
I know what I did, ‘cause I’m clumsy. Perhaps not very graceful.
Un’ammissione di colpa. Così si congeda dal suo Actress, Brandy Burre. Attrice, ma anche madre. Anzi, forse soprattutto. Fu infatti il suo istinto materno a separarla dalla serie che le aveva dato un po’ di notorietà, ossia The Wire. Da allora la vita. Senza troppa retorica, semplicemente un cambio di prospettiva notevole, per chi era abituata a uno stile di vita da personaggio che va in onda su HBO: ora ci sono le bollette, i pannolini da cambiare, i sandwich da preparare e via discorrendo.
Robert Greene sembra quasi non volersi intromettere in questa storia; la segue e la riprende, le conferisce un tono da film di finzione, senza interviste o testimonianze ingombranti, anche perché la storia di Brandy si sta ancora svolgendo e non è tempo di tirare le somme. C’è sempre lei davanti alla macchina da presa, sia che si tratti di volteggiare o lavare i piatti in slow motion, sia che invece si debba seguirla mentre chiacchiera o rimprovera i suoi pargoli. Il tutto tra un intermezzo musicale (da musical proprio) e l’altro: pochi ma buoni.
Uno dei momenti stranamente più toccanti, ovvero lei che tira fuori il cofanetto di The Wire e sceglie gli episodi in cui compare, non ci dice però tutto. O meglio, tende a confermare l’idea che uno può farsi leggendo la sinossi, cioè che l’ancora avvenente Brandy soffra di una nostalgia tremenda per quel mondo lì. Ma non è solo questo. La Burre sta sperimentando sulla propria pelle una verità che tutti conoscono ma con cui troppo spesso facciamo fatica a confrontarci: le conseguenze delle nostre scelte.
A un certo punto, mentre guida, Brandy attacca un monologo a mo’ di flusso di coscienza, in cui ripercorre questi ultimi anni, così per come le viene in quel momento. Considerazioni semplici, quasi abusate, a tal punto che non ci si crederebbe nemmeno per un secondo se si trattasse di un’opera di finzione tout court. In quel tragitto, invece, tra un brano alla radio e le macchine che sfrecciano lungo la highway, le parole della donna suonano talmente sincere che ogni nostra riserva tende a sciogliersi: il (non)rapporto col compagno, una brava persona sì, ma con cui non c’è stato modo di costruire qualcosa di più che vada al di là del farci dei figli; la routine che è una gioia, ma alla quale manca sempre qualcosa, “quella” cosa. E poi il senso di frustrazione per non sentirsi mai all’altezza dei propri doveri, come madre, come professionista, come compagna, come figlia.
In un documento di all’incirca un’ora e mezza emerge tutto questo. Solo un documentario può riuscirci, pur lavorando su così poco: perché della protagonista praticamente non ci viene detto alcunché, da qui il riferimento a quel flusso di coscienza che descrive sensazioni e stati d’animo degli attimi vissuti, più che ricostruzioni di un passato più o meno prossimo. Nessun Grande Fratello, perciò, con confessionali e quant’altro; quando Greene deve somministrare informazioni utili, si limita a filmare una telefonata, un segmento tratto dal meno spettacolare degli episodi di tutti i giorni, senza ricamarci sopra.
Eppure Actress non si accartoccia, non ripiega né su sé stesso né sulla sua “star”, andando dritto al punto. Lei, Brandy, è un’attrice; non importa quanto fatichi a rientrare nel giro. Davanti alla macchina da presa è naturale, spigliata, quasi che quella situazione le fosse congeniale. È grossomodo irrilevante pure ciò che nel film viene, per così dire, ricostruito, perché a più riprese emerge quella sincerità di fondo che fa centro. In altri contesti, un personaggio che racconta di avere comprato quella vasca (che ora giace inutilizzata nel capanno degli attrezzi) perché ha sempre sognato di leggere un copione mentre si faceva un bagno con le bollicine, suonerebbe naif, per non dire stupidotto. Non in questo caso, perché nell’immaginario di persone in carne ed ossa certe cose sono davvero sedimentate.
In più, simili siparietti lasciano filtrare un altro degli aspetti pregnanti del film di Greene, che è il gap tra ciò che si desidera e come i nostri desideri si traducono nella realtà. La scelta di Brandy non è stata semplice, probabilmente la più dura della sua vita. E da quei brevi scorci che vi si affacciano, in qualche misura si riesce a capire come tale decisione abbia comportato le gioie maggiori così anche come le maggiori sofferenze. Tutto in massimo grado. Può una persona, una donna, riuscire a sopportarlo? Actress non prende posizione. Brandy, frastornata, invece ci prova. Ed allora viene fuori che è maldestra, per nulla aggraziata. Ma forse non è il miglior giudice di sé stesso.
Voto di Antonio: 7½
Actress (USA, 2014) di Robert Greene. Con Brandy Burre. In programma al Milano Filmmaker 2014.