Thou Wast Mild and Lovely: recensione in anteprima
Torino Film Festival 2014: sensuale e seducente, naïve e malizioso. Il secondo lungometraggio di Josephine Decker, giovane regista celebrata nella sezione Onde, è l’incontro tra il Mumblecore e il cinema di Malick. Leggi la recensione di Thou Wast Mild and Lovely.
C’è qualcosa di seducente e malizioso in Thou Wast Mild and Lovely, opera seconda di Josephine Decker, regista indie di Brooklyn super-chiacchierata all’ultima Berlinale. In quell’occasione aveva presentato i suoi primi due lunghi, Butter on the Latch e questo Thou Wast Mild and Lovely.
Proprio a Berlino si era sparsa la voce della nascita di un nuovo talento, e la Decker è diventata una delle sensation di questo 2014 festivaliero. Molti critici hanno iniziato a portarla su un palmo di una mano, convinti di aver davvero trovato una voce così nuova che vale la pena essere sostenuta.
Nel suo cinema di base c’è uno stile molto riconoscibile all’interno di certo cinema indie americano super low budget, con alcuni rimandi al Mumblecore (le interazioni naturali tra i personaggi e i dialoghi improvvisati). Ma la Decker punta più in alto, mescolando questo stile da SXSW con riferimenti più alti: come se in Butter on the Latch il Mumblecore incontrasse Lynch, per dire.
In Thou Wast Mild and Lovely il riferimento che salta all’occhio è invece il cinema di Malick. Descritta così, la Decker potrebbe anche passare per l’ennesima giovane regista americana un po’ pretenziosa e in fondo molto naïve. Non mi stupirei se qualcuno l’avesse già pensato. Però bisogna anche ammettere che Thou Wast Mild and Lovely è anche un passo avanti rispetto al debutto, che comunque ha i suoi motivi di interesse.
Siamo in una fattoria del Kentucky. Akin ha lasciato a casa moglie e figlio, si è tolto la fede dal dito ed è alla ricerca di un lavoro per l’estate. Lo accolgono Jeremiah, dal temperamento dominante, e la figlia Sarah, ragazza sensuale e perversa. Tra i tre s’instaura un meccanismo di reciproco studio, di osservazione, e tra Akin e Sarah scatta anche la passione. L’arrivo della moglie dell’uomo trasformerà un gioco fino a quel momento innocente in un incubo dai contorni inattesi.
La differenza più sostanziale rispetto a Butter on the Latch è un plot che, restando pur sempre molto esile, sale più in superficie. E il risultato ne guadagna: resta in qualche modo sperimentale, nel senso più giocoso del termine, ma c’è un filo sottile di trama che a livello drammaturgico almeno mantiene l’interesse costante.
Non solo: nel film ci sono momenti in cui l’atmosfera è pregna di un misto di morbosità e paranoia. L’isolazione che Akin (interpretato da Joe Swanberg, non a caso esponente del Mumblecore che fu) in qualche modo si autoimpone e in cui resta imprigionato, è descritto in modo molto carnale: il sesso, fortunatamente, non manca. Allo stesso tempo il pubblico riesce a capire in che modo il ragazzo possa vivere a livello mentale questo triangolo, ed è una sensazione che mette un po’ a disagio.
Poi c’è la misteriosa Sarah, che anche grazie alla presenza e all’interpretazione di Sophie Traub è un personaggio che sin dalla prima scena cattura lo sguardo. È grazie a lei se vengono fuori gli impulsi di Akin, ed è grazie a lei se la Decker riesce a creare una tensione erotica costantemente in bilico fra innocenza e perversione: si veda la scena della rana, ad esempio…
Senza contare poi tutta la parte finale, che segna un bello scarto rispetto a tutto quello che s’è visto prima. E da horror “esistenziale” si passa alla violenza, senza troppi sconti e con qualche inattesa splatterata. Si resta pure un po’ a bocca aperta e non si sa come reagire (una proiezione collettiva potrebbe anche scatenare la risata, per dire). Certo che fascino e coraggio alla Decker non mancano.
Voto di Gabriele: 7
Thou Wast Mild and Lovely (USA 2014, drammatico 94′) di Josephine Decker; con Joe Swanberg, Sophie Traub, Robert Longstreet, Kristin Slaysman.