Omaggi a Eduardo: scopriamo che con Pasolini è solo lui a mostrare l’ansia del Paese che non c’è
A volte le celebrazioni servono, il più grande dei De Filippo presenta una visione della realtà che aiuta a capire la nostra crisi.
Dopo Gomorra, Scampia, ‘a monnezza, la terra dei fuochi. Trent’anni fa moriva Eduardo De Filippo, il grande attore, regista, scrittore; che era un uomo di stile e di gran gusto. Trent’anni sono passati dalla scomparsa di questo personaggio straordinario.Tre decenni in cui non si è spento, anzi aumenta, il desiderio che Napoli,i dintorni, il Paese, possano vivere giorni diversi. Ho scritto un libro, “Eduardo De Filippo – Scavalcamontagne, cattivo, genio consapevole”. Questo libro ha due obiettivi: presentare nuovi racconti di persone che lo hanno conosciuto, per capire meglio il lungo lavoro di Eduardo e della famiglia De Filippo; comporre da questi racconti poco celebrativi,inquieti, provocatori, un ritratto delle trasformazioni che abbiamo conosciuto, e che Eduardo aveva intuito e proposto nei suoi lavori, fra teatro, cinema, televisione. “Scavalcamontagne”, ovvero artista che rivela di essersi misurato fin da giovanissimo con il pubblico nelle zone lontane, tra disagi e aspettative di serenità. “Cattivo”, nel senso di esigente: Eduardo non un cattivo carattere ma un forte carattere nei rapporti sulle scene e nella vita.
“Genio consapevole”, per la sicurezza e misura con scriveva e rappresentava le idee. Eduardo è stato una sorta di moderno “viaggiatore”, originale e spregiudicato, nell’Italia del Novecento, un Paese che conosceva spostamenti di milioni di persone dal sud al nord, e viceversa; incontri e scontri di linguaggi e di convinzioni. Ma anche “sperimentatore” tra le arti e la comunicazione, sempre pronto a trasferire nei drammi, commedie, film, pensieri e sentimenti capaci di parlare agli spettatori, attratti dal suo fascino. Un libro in cui si confrontano opinioni e da cui affiorano spunti, suggestioni, illuminazioni che girano intorno ad Eduardo e alla sua umanissima lezione.
Eduardo era un uomo del Novecento. L’ho scoperto in un giorno qualunque, che non fu più qualunque grazie a lui. Era davanti a me, l’aria seria, il volto infossato, sereno, pronto ad aprirsi a un sorriso leggero. Guardai nel suo piatto. Un piatto diviso in due: da un lato il tuorlo di un uovo, dall’altro un cucchiaio di miele. Eduardo, classe 1900, aveva ottant’anni. Parlava dolcemente quando posava il cucchiaio. Dopo tanto tempo, dopo i molti spettacoli e i molti film, lo avevo davanti; non lo avevo mai incontrato da solo. Eduardo quattro anni dopo se ne andò. Provai dolore.
Quel giorno del primo incontro, nella casa del quartiere Trieste a Roma, avevo in testa qualcosa da chiedergli e avevo il pudore di pronunciare. Mi intimidiva. Sentivo che aveva simpatia per me che avevo scritto sull’”Europeo” una breve nota, in cui chiedevo perché avesse accettato in un teatro del centro di Milano un pleonastico premio alla carriera; un monumento utile soltanto a chi glielo aveva assegnato, un “cumenda” senza interessi artistici. Simpatia perché, altrimenti, non mi avrebbe telefonato per sollecitare un incontro.
Cominciammo a parlare con calma, cercando le parole finchè, avanzata la conversazione, mi decisi a fare una domanda su qualcosa che avevo letto, scritto proprio da lui, proprio sul suo lungo lavoro sul set e sulle tavole di scena: “Eduardo, lei ritiene che ci debba essere sempre qualcosa di profetico alla fine di tutto, in ogni sua opera. Che cosa vuol dire con la parola “profetico”? Che significa?”.
Ero riuscito a stupirlo, forse. Eduardo appoggiò il cucchiaio. Sorrise. Il volto segnato. Lo sguardo curioso, limpido. In quell’istante, mi ricordò una fotografia scattata con la famiglia, nel 1908: al centro Eduardo Scarpetta, ai lati la moglie Luisa De Filippo, e poi Eduardo, Peppino, Titina. In quella fotografia aveva l’espressione di sempre, composta, già adulta; mi parve di vedere un filo di baffi sulla bocca sottile; aveva otto anni.
Mi rispose: “Profetico? E’ il sentimento della vita che non può finire con la fine dello spettacolo, il sentimento di qualcosa che si prepara, che verrà…” Ecco. Nel giorno in cui vengono ricordati in molti modi i suoi spettacoli, drammi, commedie, film, queste parole annunciano la sua eredità, la realtà e una folla di brividi sul futuro.
In un preambolo alla commedia, quasi una farsa, “Sik Sik, l’artefice magico”, Eduardo scrive: “Sono le ventuno e trenta. Il pubblico si affolla davanti al botteghino. Fra un quarto d’ora avrà inizio lo spettacolo. Ecco l’unico istante nel quale sento la responsabilità enorme del mio compito: questa folla è anonima, sconosciuta, esigente. E mai come in questo istante io sono fuori, ancora completamente fuori dal cerchio della finzione…
“Non mi sento ancora convinto di ciò che dovrò essere, fra qualche minuto, sul palcoscenico. Mi sento confuso alla folla e mi sembra e mi sembra che debba anch’io avvicinarmi al botteghino e chiedere un posto di poltrona, per assistere allo spettacolo. Fino a che la luce della ribalta non m’acceca con le sue piccole stelle luminose e il buio della sala non spalanca il suo baratro infinito, io non prendo, né so, né posso prendere il mio posto nella finzione. I minuti inesorabili m’inseguono. E nella loro corsa mi prendono, mi travolgono, mi spingono verso la porticina del palcoscenico, che si rinchiude sorda alle spalle. La barriera è chiusa. Due tocchi al trucco. Il campanello squilla: la prima e la seconda volta. La tela si leva. Ecco le piccole stelle. Ecco il baratro…Ecco l’attore”.
Ecco l’artista, il genio consapevole. Per ricordare questo Eduardo, ansioso come noi, pronto ad affrontare le sue prove, ho realizzato un breve filmato “Eduardo De Filippo…e un tram che si chiama desiderio”. Un breve, piccolo racconto (14’) con immagini e musiche per Eduardo, e le sue molte facce: attore, autore, regista teatrale, cinematografico, tv; e le molte anime di poeta civile. Un racconto evocativo per tentare una sintesi di grandi suggestioni, rapidamente. Un film flash che colpisce ogni volta che lo si presenta. Una lunga fotografia che apre e si allunga nelle pagine del libro dal titolo “Eduardo De Filippo, scavalcamontagne, cattivo, genio consapevole”.