Ritorno a L’Avana: Recensione in Anteprima
Resoconto amaro ma sincero di quella generazione che per prima è cresciuta nella Cuba post-rivoluzione. Ansie, rimpianti, speranze e sogni disattesi in Ritorno a L’Avana di Laurent Cantet
Poche ore, all’incirca dal tramonto all’alba. Un lasso di tempo tutto sommato ridotto per rievocare in maniera del tutto personale sessanta e passa anni di storia cubana, in modo ovviamente tutt’altro che storiografico. Cinque amici, Tania, Eddy, Rafa, Amadeo e Aldo s’incontrano dopo molti anni su una terrazza che dà su L’Avana. La Cuba divenuta utopia realizzata, o che c’è andata davvero molto vicino. Ritorno a L’Avana è dunque il tentativo, uno tra tanti, di fare un po’ il punto della situazione. Su dove si è, come ci si è arrivati e perché.
Un film che poggia interamente sui dialoghi di questi cinque amici, che tali sembrano esserlo per davvero, dato che solo con un amico puoi incazzarti, ridere, ballare, scherzare, il tutto nel giro di pochi minuti, come se niente fosse. E non è un caso se quest’ultimo lavoro di Laurent Cantet cominci proprio con questo gruppo che danza sulle note di un allegro brano tipicamente cubano (o almeno, così ci è sembrato).
Questa sorta di riunione nasce, a dire dei protagonisti, come un’occasione per rivedersi dopo tanto tempo, visto che, tra un impegno e l’altro, ci si vede sempre meno. Amadeo all’incirca quindici anni prima si è lasciato alle spalle il suo Paese per trasferirsi in Spagna, sebbene nessuno abbia capito perché non sia mai tornato; e non tornò nemmeno quando seppe che la moglie stavo morendo di cancro, cosa che Tania ancora oggi non gli perdona. Poi c’è Eddy, considerato lo sbruffone del gruppo, narcisista ed egocentrico, ultimo ad unirsi a questo convivio di anime in pena.
Ma per cosa? Rafa, quello con la lingua più lunga di tutti, ricorda con una rabbia oramai mutata in ironica rassegnazione quel tempo in cui adorava i Beatles, sebbene non potesse perché la musica straniera era considerata dal regime elemento corruttrice della gioventù che doveva formarsi in base ai principi della Revolución. Aldo sembra il più dimesso, eppure il più equilibrato, sempre col sorriso sulla bocca a cercare di far da paciere ad ogni screzio emergente, così, d’improvviso. Sembra.
Cos’è dunque Ritorno a L’Avana? Forse è il grido di una generazione, quella che a posteriori si è sentita privata degli anni più belli della sua vita. Anni che però, paradossalmente, ciascuno di loro rievoca con nostalgia, tra risate e abbracci, perché in fondo, nonostante tutto, di bei ricordi ce ne sono. «Noi almeno abbiamo creduto per davvero», è questo il mantra che Aldo va ripetendo a sé stesso e agli altri, affermazione che più di qualunque altro scritto riassume e sintetizza in maniera efficace il fallimento di un’intera generazione.
Eddy, che tra tutti quelli che sono rimasti a Cuba è colui che se la passa meglio, ammette di sentirsi una puttana: «sì è vero, a un certo punto ho cominciato a fare quello che tutti si aspettavano da me, ovvero dire sempre sì». Eppure di capricci se n’è passati, tra viaggi, belle macchine e quant’altro rappresenti un po’ lo status symbol del benessere occidentale al quale tanti, dentro e fuori Cuba, guardano con ammirazione. «Perché mi avranno anche rubato il mio sogno, ma la vita no… quella non gliel’ho lasciata prendere!», conclude così Eddy uno dei momenti più toccanti, onesti e sinceri del film.
Cantet non è interessato a colpire con pose ad effetto, scorci ammalianti o discorsi che edifichino. Tanto più che il regista francese ammette di non conoscere realmente la controversa storia di questo Paese, del quale però si è innamorato qualche anno fa, allorché girò il corale 7 Days in Havana. No, prende piuttosto cinque persone qualunque, che però si vogliono anche bene; li mette lì, su una terrazza, e lascia che ricordi, frustrazioni, amarezze, piccole e grandi gioie, riemergano attraverso la potenza evocativa del racconto duro e puro, ovvero quello orale.
Ed allora ciascuno esce allo scoperto, grato di essere ancora lì a poter discutere con degli amici davanti ad un bicchiere di rum o di whiskey come non se ne trovano da quelle parti. Soffermandosi, ne sono costretti, ad ammettere cosa ha macchiato un’esistenza sì imperfetta, ma che tra alti e bassi non è poi stata nemmeno così pessima: la paura. È stato, è e sarà sempre questo l’unico vero rimpianto; mentre il sole si alza e la luce illumina la splendida costa.
Voto di Antonio: 7
Ritorno a L’Avana (Francia, 2014) di Laurent Cantet. Con Isabel Santos, Jorge Perugorría, Fernando Hechevarria, Néstor Jiménez e Pedro Julio Díaz Ferran. Nelle nostre sale da oggi, giovedì 30 ottobre.