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Predestination: recensione in anteprima del film d’apertura del Trieste Science+Fiction 2014

Trieste Science+Fiction 2014: apertura col botto. Predestination di Michael e Peter Spierig è uno sci-fi con viaggi spazio-temporali, incasinato con “logica”, che sorprende di continuo. Più che le questioni etiche e i dubbi morali, qui contano lo spettacolo e i personaggi: conta, quindi, il puro cinema.

pubblicato 30 Ottobre 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 20:57

C’è un uomo che arriva in una caldaia con una misteriosa valigetta. Deve disattivare una bomba: riesce nel suo intento, ma resta comunque sfigurato. Viene quindi trasportato in ospedale, dove gli viene ricostruito un nuovo volto. Lui è un agente temporale che viaggia nel tempo per incastrare “Fizzle Bomber”, un terrorista dinamitardo che scatena il panico per New York.

Lo ritroviamo tempo dopo che fa il barista, forse sotto copertura, e nel locale incontra un cliente. I due iniziano un po’ scontrosamente a parlare. Il cliente vuole raccontargli la sua storia. Detta così, ci sentiamo assolutamente in pace con noi stessi per quel che riguarda la trama: di Predestination non vi abbiamo rivelato nulla. Ma proprio nulla. E se pensate che si tratti di un tipico sci-fi sui viaggi temporali, siete sulla strada sbagliata.

I fratelli Spierig, quelli di Daybreakers – L’ultimo vampiro, prendono un racconto breve di Robert A. Heinlein, lo allungano in quasi 100 minuti di film (col senno di poi tutti necessari), e fanno il salto di qualità. C’è Looper, c’è un po’ di Nolan, c’è Los Cronocrimenes di Vigalondo: ma c’è innanzitutto un’idea di cinema ben precisa e rispettabile.

Se ci si pensa bene, Predestination è in teoria uno sci-fi “da camera”: di attori protagonisti, in fin dei conti, ce ne sono due, Ethan Hawke (nella sua miglior interpretazione da anni, Linklater escluso) e Sarah Snook (una rivelazione pazzesca). E quanto si parla e si parla e si parla. Però è tutto così intrigante e così ben pensato, che nonostante ci sia puzza di “fine a sé stesso” non si può che restare incollati alla poltrona twist dopo twist. Davvero oro colato, di cui ogni tanto si ha bisogno.

Predestination dice qualcosa sul concetto di identità e sul destino, con le ovvie implicazioni etiche e morali della fantascienza con salti spazio-temporali. Però quel che conta è davvero la macchina, che è oliata in modo egregio. C’è un grandissimo cambio di rotta dopo la prima parte in cui il cliente racconta la sua storia travagliata e lo spettatore la segue con una serie di flashback. Sostanzialmente, l’agente/barista e il cliente parlano seduti a un tavolo e bevono. Niente di più, appunto, in questa prima parte.

E quando il cambio di rotta arriva, invece di risultare brusco e forzato appare come una giusta e necessaria iniezione di adrenalina. In modo intelligente, gli Spierig hanno gettato una solida base che costruisce un personaggio e ne introduce un altro, fino a quel momento lasciato “in pausa” ad ascoltare. Da lì in avanti le vite dei suoi si intrecciano inesorabilmente, e da quando l’agente e il cliente si alzano dal tavolo comincia lo spettacolo, con tutte le sue svolte narrative, gli incastri e le (molte) sorprese.

Difficile dire di più senza svelare la trama del film, tant’è che si dovrebbe entrare in sala senza sapere quasi nulla. Basti sapere però che l’atmosfera di Predestination e il suo climax riescono a regalare un’emozione genuina e, talvolta, persino toccante. Predestination è fantascienza che, giocando con la macchina, riesce comunque a costruire dei personaggi a cui il pubblico si affeziona per davvero.

Poi certo, tutto deve in qualche modo tornare e gli incastri vanno al loro posto persino troppo bene. Ma in un film che lavora sul paradosso e parte essenzialmente dalla domanda “È nato prima l’uovo o la gallina?” sembra quasi una scelta obbligata. Se è poi condotta com’è condotta qui, non c’è nulla di male e manco di sbagliato, anzi. Perché, appunto, agli Spierig fregano di più personaggi e spettacolo rispetto alle questioni teoriche: a loro interessa il puro cinema.

Voto di Gabriele: 8

Recensione di Antonio Maria Abate

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Il concetto di predestinazione ha radici antiche oltre che connotazioni religiose. L’agostiniano Martino Lutero si rifece al vescovo d’Ippona, per esempio, per sviluppare la sua teoria sul cristianesimo. In soldoni, la predestinazione prevede che l’agire del singolo incida pressoché nulla ai fini del risultato, perciò per Lutero o si è salvi o si è dannati, a priori, tertium non datur. In Predestination di Peter e Michael Spierig il processo è confinato all’al di qua, perciò, forse, sarebbe lecito parlare più di fatalismo che di predestinazione. Ma tant’è.

Il film prende le mosse da un racconto breve di Robert Heinlein, scritto nel 1958, il cui protagonista lavora per un’agenzia segreta che ha scoperto il modo di viaggiare nel tempo. Ethan Hawke è quell’agente, la cui missione nello specifico è quella di impedire ad un bombarolo di compiere una strage che, come ci suggerisce un articolo di giornale, si è già consumata.

In realtà, però, da un’azione tesa a salvare molti, migliaia di vittime, col dipanarsi della trama il movente cambia in modo sostanziale. Un losco tizio (Sarah Snook) entra in un bar e ordina da bere. Dietro al bancone l’agente interpretato da Hawke si mostra oltremodo interessato alla sua storia, così convince il cliente a raccontarsi. Predestination poggia totalmente sui continui twist e collegamenti che vanno susseguendosi da un certo punto in avanti, non prima di aver accumulato una serie di interrogativi circa anzitutto l’identità di questo o quell’altro personaggio.

Il problema, entro una certa misura, è che sui titoli di coda non emerge in alcun modo il perché. Di fatto non sorprende che alla fine si possa rimanere spiazzati da una storia che alcuni hanno definito illogica, mentre invece una sua logica ce l’ha eccome, interna ma c’è; ciò che manca è semmai una ragione evidente per raccontarla, per darsi a quello che in fin dei conti è un intricato puzzle fine a sé stesso. Eppure Predestination manifesta quel gusto per lo stravolgimento delle menti attraverso la risistemazione della narrazione; un po’ quello che fa Christopher Nolan, il quale si affida a degli escamotage narrativi per sospendere e rilasciare informazioni basilari per esigenze di coinvolgimento.

E se è pur vero che qui il meccanismo non genera lo stesso, a tratti inspiegabile fascino, va riconosciuto agli Spierig una qual capacità di affabulazione che effettivamente spinge lo spettatore a voler capire di più circa certi risvolti della trama, senza costringerlo ad abbandonare in corso d’opera per eccesso di sofisticazione. L’unico, per certi versi determinate problema, è rappresentato dalla fine. Sia chiaro, non dal finale della storia, bensì dalla fine del film, che in molti potrebbero registrare come un bluff a tutti gli effetti (cosa che è… poi dipende da come ciascuno lo registri).

Giusto o sbagliato che sia, l’inverosimiglianza, finanche l’inconsistenza della vicenda, possono generare indifferenza o addirittura “frustrazione” solo a cose fatte, difficilmente durante lo svolgersi del film. Preso come un divertissement, perciò, Predestination è valido tanto quanto l’equivalente della sua durata trascorso però a risolvere certi rompicapo della Settimana Enigmistica; tale è pure il “guadagno”, che va ricercato esclusivamente nel godimento nel darsi al congiungimento dei vari punti.

È poco? È molto? Beh, se non è altro è cinema. Qualcuno potrebbe pure sviscerare certe tematiche di carattere etico, non senza però forzare (e non di poco) l’intento del film, che è anzitutto quello di tenere incollati alla storia e nulla più. Quella degli Spierig è perciò un’opera che mette in discussione una delle più ataviche diatribe tra i fruitori di cinema, ovvero gli spettatori: da un lato i cultori del messaggio, quelli per cui un film deve necessariamente “dire qualcosa”, e soprattutto in modo diretto; dall’altro gli amanti del viaggio, quelli per cui il cinema deve anzitutto mostrare.

Predestination si pone a metà strada. Una via di mezzo che elude del tutto la «teoria del messaggio» (chiamiamola così), ma che al tempo stesso scommette ogni cosa sulla trama, magari inutilmente intricata ma non a tal punto da risultare indigesta o, peggio, difficile da seguire. Anche perché il film sta o cade proprio sulla sua costruzione a livello narrativo, al di là di ciò che dice o come lo dice: in Predestination tutto dipende da quando. Ed il giocattolo in fin dei conti funziona senza rompersi, e qualora si rimanga delusi non è tanto per la scarsa qualità ma solo perché, ad un certo punto, qualcuno ce lo toglie di mano bruscamente. D’altronde fino a lì tutto combacia anche troppo bene, dunque se vi siete divertiti ci può anche stare un così discutibile epilogo.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7″ layout=”left”]

Predestination (Australia 2014, fantascienza 97′) di Michael e Peter Spierig; con Ethan Hawke, Sarah Snook, Noah Taylor, Elise Jansen, Christopher Kirby, Cate Wolfe. Qui il trailer. Uscita italiana sconosciuta.