Confusi e felici: Recensione in Anteprima
La miglior cura per il mal di vivere? Farsi una risata. Massimiliano Bruno confeziona una commedia dalle buone intenzioni, il cui quesito di fondo viene stemperato con un’ironia a tratti divertente sebbene goffa. È Confusi e felici
Marcello (Claudio Bisio) è uno psicanalista la cui vita scorre senza particolari scosse; ci si è addormentato sopra, riscaldato dal tepore del successo e dell’agiatezza, cose che entrambe non gli mancano. Che i suoi pazienti non siano il ritratto della stabilità non è certo strano: chi spaccia (Marco Giallini), chi non riesce a recidere il cordone ombelicale con la madre nemmeno a quarant’anni (Massimiliano Bruno), chi sogna di leccare capezzoli a spatola ogni notte (Paola Minaccioni), chi viene tradito dalla moglie (Rocco Papaleo), chi si lamenta (Caterina Guzzanti) del marito (Pietro Sermonti), reso impotente dai tablet; insomma, ce n’è abbastanza.
Capita però che una diagnosi cambi la vita del dottor Bernazzani, e che questo cada a sua volta in depressione. Come uscirne? Qui viene innescato il surreale giochino di Confusi e felici, che ribalta la situazione, mettendo i pazienti nei panni di coloro che devono aiutare lo psicanalista. Un’intuizione su cui ciascuno potrà anche dire la sua, ma che in questo caso non si segnala tanto per la sua credibilità o meno, quanto per ciò che ne consegue nel film. In Confusi e felici, infatti, il format è quello di tante, troppe pellicole che affollano le nostre sale, in cui l’incipit narrativo serve solo per dare spazio a tutta una serie di episodi a loro modo slegati.
Aiutare Marcello a “guarire” diventa una sorta di self help, come dicono negli USA da svariato tempo, in questo caso un po’ scorretto perché cavalca un problema altrui. Ma in fondo il film si muove lungo la linea che separa un non meglio precisato politicamente corretto da quello scorretto, tentando al solito di far filtrare talune peculiarità del tipo italico, un po’ razzista, insofferente verso le regole, mammone e chi più ne ha più ne metta; ma in fondo sempre un pezzo di pane, uno di buon cuore insomma.
Dove infatti si arranca sta nell’esercitare un certo controllo su quella componente su cui il film sostanzialmente si regge, ossia nel bilanciamento tra toni grevi e leggeri. Le tematiche non sono tutte esattamente tenere o semplicemente divertenti, dato che anche la vicenda più grottesca tende a celare situazioni e dinamiche alquanto delicate. Tuttavia Confusi e felici sdrammatizza a priori, ponendosi come commedia senza troppe pretese, se non quella di invogliare a sorridere anche laddove una cupa serietà rappresenterebbe la reazione più ovvia.
E come in altre occasioni, all’ambizione non segue il risultato. Che nel film vi siano momenti in cui è pressoché impossibile non sorridere è innegabile, ma questo dice poco. In tal senso non si può fare a meno di riconoscere i giusti meriti ad un Giallini che impersona la romanità più ostinata o ad un più originale ma non meno esilarante Papaleo, entrambi personaggi che trainano la scena: il primo più autentico, mentre il secondo più rarefatto, incarnano due tipologie d’attore comico ben distinte, che probabilmente non stiamo però sfruttando a dovere.
Emerge qui l’inconsistenza di una sceneggiatura che non può far altro che affidarsi anima e corpo alle prove dei suoi interpreti, per forza di cose con fortune alterne. Risulta perciò arduo, se non superfluo, soffermarsi su una scrittura ancora una volta limitata e limitante, espressione della oramai nota ritrosia che produzioni di questo tipo denotano nello sperimentare, andando oltre il concetto di format. E per una Guzzanti brillante e sopra le righe, c’è una Minaccioni alla quale tocca il banale ruolo della ninfomane con la fissa per i capezzoli; perché in fondo, per noi spettatori, è difficile distribuire percentuali di responsabilità, non sapendo fino a che punto il contributo dell’attore sia stato determinante.
In Confusi e felici si riscontra dunque questa difficoltà nell’assecondare quel desiderio, magari condivisibile, di andare oltre il vissuto e proporre un ritratto vagamente edificante. Attraverso la risata, che dicono sia la reazione più spontanea e salutare di tutte, certo; dimenticandosi però del film e del fatto che tale sia l’opera in questione. Che è sbilanciata purtroppo, visto che la distanza tra l’andamento conciliante, contraddistinto da battute e situazioni bislacche, ed il dramma di fondo è troppa e troppo netta. Come due spartiti di due brani ben diversi che si sovrappongono, facendo costantemente leva sull’uscita di spirito estemporanea, per poi passare ad una svolta di portata ben più pesante.
Shock emotivi troppo deboli e fuorvianti, che si sommano anziché mescolarsi, dando adito ad un lavoro più incline a fornire risposte affrettate anziché soffermarsi sulle domande. Nel caso in questione il quesito principe è: come si comporterebbe una persona che sa di avere poco tempo prima che la sua vita cambi in maniera irrimediabile? Ecco allora che per sublimare un discorso non proprio spassoso si punta al registro comico, dove a farla da padrone è l’ironia. Ma come spesso accade, saper dosare fa la differenza. Più che mai in Confusi e felici.
Voto di Antonio: 4
Confusi e felici (Italia, 2014) di Massimiliano Bruno. Con Claudio Bisio, Marco Giallini, Anna Foglietta, Massimiliano Bruno, Paola Minaccioni, Caterina Guzzanti, Pietro Sermonti e Kelly Palacios. Nelle nostre sale da domani, giovedì 30 ottobre.