Frank: Recensione in Anteprima del film con Michael Fassbender
Michael Fassbender in maschera, novello supereroe dei nostri giorni. Ma sono più di uno i “tabù” che sfata Frank di Lenny Abrahamson, opera surreale dal tocco commovente e malinconico
Durante il giorno umile impiegato, scrivania in open space come si usa in parecchie aziende medio-grandi. Vana la speranza di raggiungere il successo quella che coltiva Jon (Domhnall Gleeson), il quale nonostante tutto ci prova: ha un’intuizione, subito prende nota, corre verso casa per sedersi davanti alla tastiera e provare a vedere cosa ne esce fuori. Finché un giorno, in questo suo peregrinare verso nemmeno lui sa cosa, non incappa nei Soronprfbs, un gruppo che definire alternativo è un eufemismo: Jon li incrocia mentre il loro tastierista sta tentando il suicidio.
Meno uno. Serve qualcuno che sappia suonare la tastiera: e se finalmente i pianeti si stessero allineando in maniera favorevole all’infelice impiegato sognatore? Non è esattamente un ingaggio, ma la stessa sera si tiene un concerto e Jon può fare comodo. Finalmente, dopo un preambolo incentrato su altro, conosciamo Frank. Difficile stabilire chi sia Frank, se non che si tratta di un tizio stravagante il quale indossa sempre una testa di cartone/cartapesta. Senza mai togliersela.
Ha qui inizio il percorso di Jon verso il successo, perché quest’ultimo, dopo alcune trascurabili incertezze iniziali, non dubiterà mai circa quale sia la meta a cui i Soronprfbs sono destinati. Frank (il film) adotta un registro velatamente satireggiante, in fondo ironico, ma colpisce come un pugno sullo stomaco a ben vedere. Perché a dispetto del tono scanzonato i tasti toccati sono dolenti, legati come sono non tanto al successo in sé ma a come oggi un così agognato traguardo possa essere vissuto.
Si potrebbe parlare della storia di un’ascesa ai vertici della musica all’epoca dei social – e di fatto, come si fa ad evitare i social quando ci si attiene all’attualità? Solo che Lenny Abrahamson riesce a conferire quel tocco che è sì trasognato, finto-naive, senza però mai scadere nell’anticonformismo a tutti i costi, trattando i suoi ben strani personaggi pur sempre come persone. Che odiano, che amano, che si disperano, sebbene ciascuno di loro viva in maniera decisamente particolare l’avventura dei Soronprfbs.
Ma Frank va pure oltre, prendendosi peraltro non pochi rischi. Il riferimento cade sul suo protagonista, che incarna la portata di un’opera costantemente in bilico tra la commedia e il dramma. Michael Fassbender, privato del volto, deve trasmettere un’anima attraverso movenze, pose e quant’altro abbia a che vedere col linguaggio del corpo, il che è già indicativo di questa sua condizione “limite”. I suoi lo considerano un genio, e difatti geniale è il suo approccio ad ogni cosa, musica in primis, certo, sempre alla ricerca di suoni e combinazioni che dicano ciò che solo lui può e sa dire. Qui il dramma di chi addirittura rifiuta di farsi vedere in faccia, cosa di cui Frank ha perfino disgusto.
Un atteggiamento che in prossimità della fine si spiega e spiega molte cose. Soffermandosi sui limiti verso cui tendere, quando è lecito oltrepassarli e a quale costo, risparmiandosi sterili panegirici pseudo-intellettuali che ci parlano della particolare condizione dell’artista o presunto tale. Perché in fondo, a volte, la spiegazione più semplice è anche la migliore, come quando una persona vicina a Frank fa un’osservazione su quest’ultimo che suona più o meno così: «la sua condizione non ha nulla a che vedere col suo dono; quello ce l’ha da sempre. Anzi, siamo convinti che i suoi problemi lo abbiamo in qualche modo rallentato». Con buona pace di chi ha creduto e crede ancora nella favola dell’artista maledetto o giù di lì.
Cast decisamente azzeccato, in cui stella di Fassbender non oscura né viene oscurata da prove altrettanto a modo quali quelle di Gleeson e della Gyllenhaal. Frank a conti fatti è un film sulla sofferenza, quella che si manifesta in varie forme e che qui viene in qualche modo filtrata attraverso l’alone di surrealismo che pervade l’intero film. Utilizzando per la prima volta dai tempi di The Social Network una grafica accettabile, più invasiva ma in nessun caso invadente, dando adito a quel discorso che scambia la popolarità su certi lidi con qualcos’altro; quando si equivoca la gratificazione elargita da un contatore. Allora un ritratto sull’illusione pure, che è anche alienazione, sfumando ulteriormente il confine tra ciò che è “normale” e ciò che non lo è.
Riuscire a compattare tutto ciò in un solo film non è certo una passeggiata, e non a caso Frank deve cedere qualcosa in alcuni passaggi, che si tratti di un’estremizzazione o di un eccesso di stilizzazione. Tuttavia non è certo sotto la lente del tanto inflazionato realismo che va recepita quest’ultima fatica di Abrahamson, che ancora una volta si dimostra per lo meno abile nel muoversi in contesti contraddistinti da situazioni di per sé estreme, così come i personaggi che ne sono coinvolti. Che sono sempre persone, come ce ne sono tante oggi. Anzi, non si escluda a priori che ciascuno di noi possa a suo modo essere un membro in potenza dei Soronprfbs.
Voto di Antonio: 7½
Voto di Gabriele: 8
Frank (UK, 2014) di Lenny Abrahamson. Con Michael Fassbender, Domhnall Gleeson, Maggie Gyllenhaal, Scoot McNairy, Carla Azar, François Civil, Tess Harper, Hayley Derryberry, Matthew Page, Mark Huberman, Stephen M. Hardin, Jaime Powers, Kevin Wiggins, Travis Hammer, Paul Butterworth, Crystal Miller e Alex Knight. Nelle nostre sale da giovedì 30 ottobre.