La Trattativa di Sabina Guzzanti: Recensione in Anteprima
Venezia 2014 | la trattativa stato-mafia irrompe alla Mostra del Cinema grazie a Sabina Guzzanti
“Più di tutti temo “La trattativa” di Sabina Guzzanti, quello che ha una valenza più politica e scatenerà sicure polemiche”.
Pensieri e parole rilasciate pochi giorni fa da Alberto Barbera, direttore artistico della 71/a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, che ha questa mattina visto l’ultimo atteso documentario di Sabina Guzzanti presentarsi fuori Concorso. Tanti gli applausi a fine proiezione, per un titolo che ha provato a fare il punto sull’ormai mitologica e ‘presunta’ trattativa Stato-Mafia andata in scena tra il 1992 e il 1994. Gli anni delle stragi e delle bombe, dei morti ammazzati e della paura. Gli anni che sconvolsero il Paese, lasciando ancora oggi non pochi quesiti irrisolti. Ormai documentarista affermata e apprezzata, grazie agli ottimi riscontri di critica e di pubblico ottenuti con Viva Zapatero! (Nastro d’Argento) e Draquila, presentato 3 anni fa al Festival di Cannes, la Guzzanti ha letteralmente ‘messo in scena’ fatti noti, seminati e dai più dimenticati nel corso degli anni, tracciando un filo rosso in grado di collegarli tra loro. In modo da trarre delle conclusioni. O almeno provarci.
Accompagnata dalle splendide musiche di Nicola Piovani e in particolar modo dalla folgorante fotografia di Daniele Ciprì, sempre più simonimo di perfezione, Sabina è partita dalle clamorose rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza, dal 2008 collaboratore di giustizia, per intavolare ed illuminare la fantomatica ‘Trattativa’ del titolo. Reinterpretando il ‘reale’ interesse alla teologia di Spatuzza, con tanto di iscrizione universitaria in carcere, la regista ha costruito un espediente narrativo fatto di immagini di repertorio e docu-fiction, con ricostruzioni ‘teatrali’ legate a documenti ufficiali in mano ai magistrati. Fatti, per l’appunto, con rivelazioni secretate legate a quegli anni tristi e cupi che improvvisamente videro la mafia abbandonare la strada delle bombe e delle stragi. Il motivo? Questa la domanda principale a cui il documentario proverà a dare risposte.
Dalla cattura di un Riina letteralmente ‘venduto’ allo Stato perché ormai incontrollabile al ‘piazzato’ e ‘protetto’ Bernardo Provenzano, passando per il coraggioso e ovviamente ammazzato Luigi Ilardo e Marcello Dell’Utri, co-fondatore di Forza Italia e insieme allo ‘stalliere’ Mangano ‘tramite’ tra Cosa Nostra e Silvio Berlusconi. Ovvero l’uomo della provvidenza che avrebbe potuto salvare l’Industria dell’Illegalità italiana, ottenendo in cambio una tregua dagli attentati. Bombe che troncarono l’esistenza di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che più volte si fa spazio all’interno dell’opera tramite interviste dei primi anni ’90. Prezzemolino televisivo degli ultimi anni, più volte sbugiardato e di fatto poco attendibile, anche Massimo Ciancimino appare nelle ricostruzioni della Guzzanti, tanto da giovane quanto da chiacchierone quarantenne, con pentiti dei giorni nostri intervistati dall’ex comica e di fatto involontariamente esilaranti. Perché un personaggio come Silvio Berlusconi, a detta di uno di questi, mai e poi mai avrebbe potuto far parte di Cosa Nostra. In quanto imbarazzante. Causa bunga bunga, gaffes e quant’altro, tra l’ex Premier e l’ex braccio destro Dell’Utri sarebbe proprio quest’ultimo a ‘vergognarsi’ della presenza altrui. E non viceversa. E giù a ridere.
Ma come, di nuovo Silvio Berlusconi? Esatto. Ad ‘interpretarlo’ nelle uniche due scene in cui verrà chiamato sul set neanche a dirlo la Guzzanti, ancora una volta ‘costretta’ a dover incontrare il suo grande ‘nemico’ a causa dei temi trattati. Ossessione politica, la sua, o pura e semplice ‘dovere’ legato ad anni che videro l’allora Presidente Fininvest e del Milan scendere nell’arena politica, formando un Impero dal niente e con al suo fianco un condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa? Neanche a dirlo, ci pare evidente, chiunque potrà trarre le proprie conclusioni, inevitabilmente legate a doppio filo alla propria appartenenza politica. Ed è qui che si inciampa nell’errore.
Perché la politicamente schierata Guzzanti ha provato a concentrarsi su elementi apparentemente inattaccabili e incontrovertibili. Confessioni, carte, intercettazioni e processi. Nessun ‘punto di vista’, rare illazioni e un’attezione di fondo alla delicata materia trattata. Se si esclude la parte finale, in cui Sabina ‘immagina’ cosa ci potesse essere all’interno della mai ritrovata agendina rossa di Paolo Borsellino, La Trattativa non fa altro che accorpare verità a noi tutti già conosciute. Di nuovo e clamoroso, purtroppo, il documentario della regista non porta nulla, ma ha innegabilmente il merito di aver illuminato fatti e realtà da troppo tempo dimenticate. L’attacco alle istituzioni, minuto dopo minuto, si fa sempre più pesante e tagliente. Servizi segreti, ministri, presidenti del Consiglio e della Repubblica, alte cariche dello Stato, maggioranze e opposizioni, forze dell’ordine e massoneria. Più o meno tutti in quei primi anni ’90 contribuirono all’ideazione e alla concreta realizzazione della ‘Trattativa’, umiliando di fatto la memoria di quei magistrati uccisi dalle mafie. Falcole e Borsellino in testa. Noi la finiamo con le bombe, ma voi cosa ci date in cambio?
Non è un caso se la criminalità organizzata di oggi sia schifosamente più ricca, potente e politicamente collusa rispetto a ieri, così come non può essere un caso che tanti, troppi processi legati a quelle indimenticate stragi e alle accuse che ne seguirono finirono tutti in un vicolo cieco. ‘Perché il fatto non sussiste‘. Affiancata da attori come Enzo Lombardo, Ninni Bruschetta, Filippo Luna, Franz Cantalupo e Claudio Castrogiovanni, chiamati sul set per indossare i panni dei vari Spatuzza, Provenzano, Ciancimino, Dell’Utri e altri, il doc della Guzzanti va ulteriormente ad alimentare lo sdegno provato dall’italiano medio, sempre più distante da quelle istituzioni che con il tempo sono riuscite nell’impresa di ampliare l’infinito libro mastro degli innominabili segreti italiani. Di prove concrete Sabina ne sparge a bizzeffe, per poi limitare attacchi e conclusioni su presunte verità taciute legate alla sinistra di un tempo e a quello stesso Giorgio Napolitano solo velatamente nominato.
Meno documentario nel vero senso della parola e più opera di ‘finzione’ grazie alla ricostruzione ideata in teatro, La Trattativa non aggiunge nulla agli infiniti documenti video e non partoriti in questi ultimi 20 anni di accuse e polemiche, limitandosi a farne un riassunto. Particolarmente ficcante e caotico nel passare di palo in frasca ma sicuramente meno sorprendente e spiazzante dell’applaudito Belluscone – Una storia siciliana di Franco Maresco, che non a caso ha già scatenato più politici del centrodestra al grido ‘sequestrate il film‘. Riuscirà mai La Trattativa di Sabina ad arrivare a tanto? Ne dubitiamo. Perché tutto già visto. Già digerito. E già sotterrato nella memoria dell’italiano medio.
Voto di Federico: 6
Voto di Antonio: 5
La trattativa (Ita, doc, 2014) di Sabina Guzzanti; con Sabina Guzzanti, Enzo Lombardo, Ninni Bruschetta, Filippo Luna, Franz Cantalupo, Claudio Castrogiovanni – FUORI CONCORSO Venezia 71 – uscita in sala: 2 ottobre