Italy in a Day secondo Gabriele Salvatores: ‘esiste una visione del futuro ma dobbiamo combattere l’indifferenza’
Venezia 2014 |quattro chiacchiere con un regista ‘social’, prima con Italy in a Day e a breve con Il Ragazzo Invisibile, film la cui colonna sonora è nata tramite concorso web. Intervista a Gabriele Salvatores
Mattinata di freddo e pioggia al Festival di Venezia, con il Concorso travolto dal favorito En duva satt på en gren och funderade på tillvaron (A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence) di Roy Andersson e il Bel Paese rappresentato da due documentari. La zuppa del Demonio di Davide Ferrario e l’atteso Italy in a Day di Gabriele Salvatores, da noi già recensito in anteprima.
Un ‘social-movie’ straordinariamente emozionante che lo stesso regista Premio Oscar ha così voluto ‘raccontare’. Salvatores ha infatti partecipato ad un round-table web a cui noi di Cineblog abbiamo preso parte, rispondendo con particolare disponibilità ed interesse a più domande. Qui a seguire immancabilmente riportate.
Quanto c’è di tuo in Italy in a Day.
“Ci sono dei fili rossi, tra il vulcano che erutta e quella ragazza che mai esce da sotto la propria coperta, ripiegata su se stessa, e il viaggio in mezzo al mare di questo ragazzo con i container. Una sorta di astronave su acqua. In un esperimento del genere ci sono cose che mai avrei potuto fare in un film di funzione. Una delle scene più commoventi è quella della persona anziana malata di alzheimer che non ricorda il nome dei figli. Se fai questa roba qua al cinema sarebbe impossibile, poco credibile. Neanche il miglior regista e la miglior attrice su piazza risulterebbero convincenti. Questa è la forza di questo esperimento. Però non basta avere una macchina fotografica per diventare fotografo, uno sguardo lo devi tenere. In termini cinematografici è il montaggio a farla da padrone. L’anima del film è il montaggio. La potenza del montaggio è la visione del regista”.
Avrai ovviamente anche escluso molto, dal montaggio finale.
“Abbiamo eliminato le cose che credevamo più costruite, ce ne sono anche nel montaggio finale ma in quel caso hanno una verità al loro interno. Mi aspettavo molto più trash dai video inviati, alla social network e invece no. Ci siamo posti una domanda a cui non so dare risposte. Ad esempio non ci sono i ricchi. Non c’è nessuno di una classe agiata, o almeno all’apparenza. Non ci sono classi borghesi. Non abbiamo proprio ricevuto alcun video di questo tipo. Ho cercato di avere immagini dai set ma non abbiamo avuto molta partecipazione. E’ come se ognuno lottasse per se. D’altronde se io sono tranquillo non ho bisogno di condividere nulla con gli altri. Però c’è un’immagine di futuro per l’Italia”.
Quella che esce fuori è un’Italia che non si piange addosso.
“Vero, era quello che volevamo fare. Esce l’immagine di un’Italia ferita, sofferente ma con dignità. CI possono riempire di mazzate ma ci rialziamo. C’è anche molta paura, soprattutto tra i giovani. Ma sorge una visione di speranza”.
Quanto ha influito la ‘crisi’ di questi ultimi anni nel materiale inviato.
“Abbastanza. La crisi si sente però quella stessa crisi ci porta a far nascere dei veri e propri demoni dentro di noi. Sorge la paura. Ma non c’è depressione in questo caso. Esiste una visione del futuro. Il pericolo maggiore che dobbiamo ricacciare indietro è l’indifferenza. Quando non ce ne frega niente di quel che avviene ad altri, pensando solo e soltanto al nostro orticello”.
Che differenze ci sono tra il suo Italy in a Day e la versione inglese prodotta da Ridley Scott.
“Il suo format andava verso un’altra direzione, con l’immagine di un Pianeta ripreso in una sola giornata, con un montaggio più rapido, videoclipparo. Noi abbiamo voluto dare un’immagine più italiana, legandoci alle storie delle persone”.
C’è chi ha definito il suo film il ‘selfie’ degli italiani. E’ d’accordo con questa visione?
“Assolutamente no. Qui non c’è nessuna voglia di mostrarsi, o almeno io non l’ho percepita. C’è voglia di raccontare. E’ più una seduta di psicanalisi, altro che selfie. Abbiamo ricevuto il triplo dei video rispetto a quelli inviati a Ridley Scott. E in quel caso arrivavano da tutto il mondo. Segno che gli italiani sentono il bisogno di raccontarsi”.
La presenza dell’astronauta Luca Palermitano è stata casuale?
“No no, c’è stata una grande preparazione nella fase di pre-produzione. Contattare i carceri e anche Palermitano, chiedendo lui di ‘filmarsi’ nel corso di quella particolare giornata. Abbiamo pianificato il suo punto di vista. Idem per gli ospedali e con le nascite a cui assistiamo. C’è stato un enorme lavoro di liberatorie. E’ stata sicuramente questa la parte più difficile”.
Perché proprio il 26 ottobre del 2013?
“Era un sabato, quindi teoricamente la gente era più libera. Ci siam persi qualcosa sul lavoro, ma sono scelte che fai e che ti portano ad avere un determinato prodotto. Il sabato è un momento di pausa in cui se vuoi raccontare qualcosa di te hai tempo per farlo”.
Non hai avuto la tentazione di girare anche la tua giornata?
“Certo che si. Abbiamo avuto la tentazione. Stavo girando Il Ragazzo Invisibile, all’epoca. Ho dato la telecamerina al protagonista chiedendo lui di riprendere quel che voleva, ma alla fine non ce l’abbiamo fatta. Anche per una questione di pudore personale, di privacy. Non me la sono sentita. Ad esempio ho avuto timore dei tanti che hanno inviato filmati parlando direttamente a me, a Salvatores in quanto regista. E infatti non sono nel film”.
Avete fatto anche delle domande per indirizzare l’opera. Degli step da seguire.
“Ovviamente sì. C’erano dei punti di partenza prima annunciati in rete. Ma non ci sono stati ritocchi di immagini, se non di pulizia del suono e del colore. A volte abbiamo aggiunto dei sottotitoli perché il volume era troppo basso, ma oltre non siamo andati”.
Vi sono arrivati anche video di stranieri che abitano in Italia?
“No, perché abbiamo chiesto video solo e soltanto agli italiani. Italiani all’estero, al limite, ma non stranieri”.
Archiviata la fortunata e riuscita esperienza social con Italy in a Day hai subito fatto il bis con l’imminente Il Ragazzo Invisibile. Hai infatti indetto un concorso on line per scovare la canzone portante del film. E’ stata un’esperienza felice, siete soddisfatti del materiale ricevuto?
“Quando nel 1996 girai Nirvana venni in qualche modo visto come un pazzo visionario. Era il 1996. Ma già all’epoca avevo grande fisucia nel mezzo della rete. Poteva portare il Pianeta Terra ad aprirsi completamente. Ma non è poi andata a finire così. Internet è diventato un supermercato. Facebook si è comprato WhatsApp solo e soltanto perché fino ad ora non aveva i numeri di telefono degli utenti. Adesso avrà anche quelli. Il web può essere il futuro, io ci credo. Possono nascere felici esperienze. Con il Concorso de Il Ragazzo Invisibile sono arrivati oltre 1000 brani. E molti di questi bellissimi. Doveva esserci una sola canzone vincitrice, ma alla fine ne abbiamo scelte 3. Saranno tutte all’interno della pellicola”.