99 Homes: Recensione in Anteprima
E il primo lampo del Concorso arrivò, e giunge dall’America. 99 Homes di Ramin Bahrani, primo dei due statunitensi indipendenti in gara, è una struggente rappresentazione di ciò che non sta andando negli USA. E non solo lì
Le case non sono altro che scatole.
Dennis Nash (Andrew Garfield) è un giovane operaio che fatica a sbancare il lunario: i lavori all’abitazione presso la quale è attualmente impegnato vengono interrotti perché l’impresa non percepirà un soldo. Due settimane di duro lavoro per nulla. Dall’altra parte abbiamo Rick Carver (Michael Shannon), imprenditore alquanto cinico e scafato che si occupa di edilizia – o come dice lui stesso, «loro le case le costruiscono, io le possiedo». Il contesto non può che esserci familiare dato che è quello di un giorno a caso da all’incirca sette anni a questa parte; persone costrette per strada per via di spese che non possono più sostenere, a fronte di un mutuo inestinguibile già prima di stipularlo.
Ramin Bahrani innesta il suo ultimo film nella contemporaneità più attuale, anche stavolta interessato alle relazioni e a come queste (de)formino i caratteri, le personalità. A Dennis, che vive con sua madre (Laura Dern) e suo figlio, tocca il medesimo destino di tanti altri, cioè lo sfratto. Inutile cercare di guadagnare tempo, non con chi ha liquidato la tua causa in tribunale nel giro di sessanta secondi, ordinaria amministrazione per una corte sin troppo abituata a sottrarre immobili a gente dalle risorse modeste o addirittura nulle. Eppure qualcosa bisogna inventarsi. Il motel “dei poveri” nel quale viene parcheggiato lo strano nucleo famigliare di Dennis è un tugurio grande a malapena quanto una stanza; ma soprattuto, quella non è casa sua.
Finché Carver non nota questo giovane così determinato, scorgendo in lui quel potenziale che potrebbe fare al caso suo. D’altronde persone come Carver mai s’interesserebbero ad uno come Nash se non fossero convinte di poterne trarre un benché minimo giovamento/profitto. Ha inizio così una collaborazione che rappresenta un banco di prova esistenziale non indifferente per Dennis, il quale, a conti fatti, passa dall’altra parte della barricata. Da jolly tuttofare per i lavoretti di casa più disparati, Dennis deve reinventarsi manager; quel tipo di manager che, per intenderci, butta fuori le persone dalle rispettive abitazioni non appena lo sfratto diventa esecutivo. Non un giorno più tardi.
Anziché approfittarne per soffermarsi sui dilemmi morali del giovane e bisognoso padre, il che non gli compete, Bahrani evita l’accumulo di fuorvianti speculazioni, concentrandosi sull’azione e principalmente su quella. Certo, i bivi ci sono e gli appiccicosi quesiti che ne seguono pure ma, come in At Any Price, il regista preferisce evidenziare le dinamiche, sottoponendo al vaglio quei passaggi che apportano una tangibile modifica nel percorso personaggi. Personaggi che infatti mutano sotto i nostri occhi, gradualmente, cosa in cui Bahrani è parecchio bravo.
Tutto ciò, però, non a discapito delle tematiche che fungono più che da semplice cornice. Le vicende sono totalmente immerse nel contesto storico, politico e sociologico di questo inizio di millennio, segnato da ansia, paura, diffidenza e (perché no?) pure rassegnazione. In altre parole Bahrani fa un po’ ciò a cui aspirava Kim Ki-duk col suo ultimo One on One, solo riuscendoci, calando peraltro il tutto in una storia credibilissima e per nulla banale. Nemmeno ordinaria, ma funzionale al discorso del regista di origini iraniane, che con 99 Homes fa un po’ il punto della situazione rispetto a ciò che non sta andando negli USA. E non solo.
Ritornano qui leitmotiv già visti nel suo penultimo film, in primis il rapporto padre-figlio, che qui si estende al binomio mentore-discepolo. Relativamente a quest’ultima fattispecie, non c’è assolutamente nulla di scontato nel rapporto tra Dennis e Rick: Carver si serve del giovane tanto quanto quest’ultimo del suo nuovo datore di lavoro. Nessuna stima, né soggezione: ad attrarli l’uno all’altro è il bisogno, vero o presunto, e soltanto quello. Bahrani infatti non indulge in schemi retorici che vogliono l’agiatezza come uno spasso che però comporta un prezzo più o meno alto. Tutt’altro, la vita di Carver è un inferno: dopo una festa per celebrare un accordo importantissimo, i due si ritrovano insieme alle 5 di mattina a discutere su cose del tipo «in quanti ti hanno già minacciato?», mentre il più smaliziato dei due racconta di quella volta che dovette cominciare a girare con la pistola e da allora ce l’ha sempre addosso. Lo stesso capo in fondo abile manipolatore che, qualche scena prima, fa notare di non fidarsi di chi non ha una moglie; passaggio che assume consistenza alla luce di una svolta successiva, quando è proprio la famiglia di Dennis, con un atto estremo qual è l’abbandono, a costringerlo a ragionare su ciò che in fondo non ha mai smesso di sapere. Sì perché in un mondo come quello gli affetti rappresentano una debolezza che il nemico può sempre sfruttare a proprio vantaggio. Capito Rick “Family Man” Carver…
Anche laddove 99 Homes si concede una breve licenza dall’intento di mostrare, che ha la priorità su qualsiasi altro, lo fa con cognizione di causa, caricando per esempio sulle spalle del personaggio di Shannon l’onere e l’onore di illustrare ciò a cui stiamo assistendo. In particolare ne viene fuori un monologo intenso ma non sopra le righe, in cui Carver manifesta in modo glaciale i meccanismi che reggono il sistema di cui tutti, lui compreso, altro non sono che pedine. Frasi come «L’America non fa credito ai perdenti» perché sostanzialmente «creata da vincenti e retta da vincenti per i vincenti» rappresentano una sintesi amarissima ancorché realistica; si potrebbe dire una constatazione. Come a sottolineare che ciò che l’America è diventata va fatto risalire a questa costante ansia da prestazione, sia collettiva che personale, alla quale nessun membro della comunità può sottrarsi, anche volendo. «Hai lavorato onestamente per anni e cosa hai ottenuto?», incalza Carver all’indirizzo di Dennis, il quale accampa non scuse ma quantomeno attenuanti, dinanzi alle quali allo speculatore dalla cresta alta non resta che rispondere così: «mettila come vuoi, ma il risultato è che loro hanno vinto mentre tu hai perso». E si torna sempre allo stesso punto: la competizione quale idolo sul cui altare va immolato tutto, in primis la propria umanità.
E se anche stavolta, come in At Any Price, è vero che tutto cambia affinché nulla cambi, l’onesto Bahrani si ferma un passo prima, regalando un sorriso che non incide affatto sugli eventi, la cui china quella è e quella rimane, è evidente. Ma che per lo meno ci consente di credere che forse la vittoria non è tutto, e che è possibile vincere anche quando si perde. Anzi, a questo punto perdere è l’unico modo per ottenere l’effetto opposto: tenere in vita.
Voto di Antonio: 8,5
Voto di Federico: 8
Voto di Gabriele: 8
99 Homes (USA, 2014) di Ramin Bahrani. Con Andrew Garfield, Laura Dern, Michael Shannon, Tim Guinee, J.D. Evermore, Noah Lomax, Judd Lormand, Wayne Pére, John L. Armijo, Jayson Warner Smith, Nicole Barré, Deneen Tyler, Donna DuPlantier, Tom Bui e Cullen Moss.