Il cinema fa parte della decadenza culturale di Roma Capitale?
E’ cominciato da tempo un pressing sui molti problemi di quella che era l’industria principale della città
Una vecchia canzone del futurista Rodolfo De Angelis è intitolata “Ma cos’è questa crisi?”. Il futurista non c’è da tempo, la canzone non la si ascolta più, era carina, diceva più o meno: se c’è “un buon produttore, un buon attore o attrice, un buon regista, la crisi non c’è più.” Sparita. E invece. Il futuro viene anche dal passato.
Francesco Merlo, brillante giornalista della “Repubblica”, mi toglie le parole di bocca e dalla penna internet. Dice, cominciando alla larga com’è giusto: “La Cultura che muore a Roma non è un taglio del bilancio, che in Italia è solo una banalità, ma un territorio fisico e mentale che parte dai 19 chilometri delle mura aureliane, che franano un tanto al giorno- l’ultimo crollo è quello di piazzale Ardeatino- e arriva sino all’industria del cinema a 250mila persone”.
Quindi, sotto col pollice verso: “Si chiude a Cinecittà. Sono cancellate le ‘Notti del cinema’ a Piazza Vittorio e la Rassegna dei grandi festival (Cannes, Locarno e Venezia). Il sindaco si ostina a non nominare il direttore della Casa del Cinema. Vive nella mediocrità il Festival inventato da Veltroni… E’ sparita la Film commission… Si sono spenti almeno 50 schermi…”
Il sale della distruzione sparso sulle sale buie e anche sulle arene estive. Un collasso, con pochi segnali meno bui. Da Cinecittà non alzano del tutto bandiera bianca, solo un fazzoletto. Vedremo.
Sono impressionato da questa denuncia che si colloca all’interno del degrado ambientale e artistico, come si dice, mentre aumenta il numero delle mostre con esiti a volte catastrofici per il numero ridotto di visitatori. Eppure i turisti a Roma sono talmente numerosi che si aggrappano ai bed & breakfast come castori affamati, ai bus scoperti dannati e ingombranti, vanno con scarpe da ginnasti risuolate con il sudore delle passeggiate (a cerca di chi? di che? anzi, dé ghe, li mortacci…)
Non è il caso di rievocare come rimedio al vaso dei cocci col ricordo stinto delle Estati Romane, inventate dall’imperatore di sinistra Renato Nicolini che portava i legionari del cinema a Massenzio; e celebrava i suoi trionfi con l’occupazione di Roma con elefanti e giraffe come neanche Paolo Sorrentino, con la solitaria giraffa della “Grande bellezza” che è una gru truccata con protesi al silicone.
No, sono tempi passati e avevano una molla nel cuore dei romani, stanchi delle notti terribili del terrorismo, del sequestro Moro e della sua uccisione. I romani erano stanchi di cortei e di candele, di due o tre funerali al giorno (oggi solo cortei di protesta d’ogni tipo, ne farà uno Balotelli?).
I romani sognavano con la commedia all’italiana, le attrici ancora in polpa e intelligenza; i registi delle favole storiche, come Gigi Magni; o degli amori della memoria, come Ettore Scola; o delle colt e dei killer giustizieri a cavallo di muli come Sergio Leone.
Adesso i romani si sono rotti le balls con i Mondiali e si stordiscono a Piazza del Popolo con il rock che urla al vento e ai riflettori la richiesta non esaudita di un “paese normale”. Punto. Per ora, la situazione è questa. I tam tam d’allarme suonano sordi, come se fossero soffocati dal metrò sempre in corsa della scarsità di idee, risorse, persone capaci.
I notabili, i capoccia, sono sempre gli stessi. Girano come trottole da un assessorato al cadreghino museale, da una casa aperta a una casa chiusa, da un centro sperimentale che sperimenta la ritirata del buon giovane soldato cinephile da salvare alla scuola di cinema a pagamento dove si paga per non imparare.
De Angelis torna come posteggiatore ai ristoranti e alle trattorie, e intona: “Sta crisi sta molto bene, complimenti a chi di dovere”. Chi è, chi sono questi “chi”?
Estate di decadenza di posteggiatori. Crocchette e pizzette. E il cinema fatto a fette e fettine impanate di pellicola non impressionata, doppio zero, il nulla.