Home Festival di Cannes Lost River: recensione del film di Ryan Gosling presentato a Cannes 2014

Lost River: recensione del film di Ryan Gosling presentato a Cannes 2014

Festival di Cannes 2014: Ryan Gosling fa il suo esordio da regista con Lost River, fiaba allucinata tra incubo e realtà che è una variante della fine del Sogno Americano. Non un disastro totale, ma un “interessante” e pretenzioso pasticcio con un immaginario tutto d’accatto che potrebbe pure intrigare. In concorso in Un Certain Regard: leggi la recensione.

pubblicato 21 Maggio 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 01:31

Un mondo tutto suo, fatto delle proprie ossessioni e delle proprie influenze. Lost River è un’opera prima e si vede, perché Ryan Gosling fa esattamente quello che si presuppone faccia un regista alle prime armi col proprio debutto dietro la macchina da presa: omaggia, cita e “usa” i propri modelli di riferimento per iniziare a costruire un proprio percorso e una poetica man mano sempre più personale.

Di riferimenti ne ha sicuramente tanti l’attore, che ha lavorato per anni con alcuni tra i più acclamati registi contemporanei. Gosling cita innanzitutto due autori che per lui sono stati fondamentali per Lost River: Nicolas Winding Refn e Derek Cianfrance. L’influenza del primo è piuttosto scontata, sia perché ha una carriera più lunga di Cianfrance, sia perché la sua estetica ha raggiunto il culmine con Solo Dio perdona, l’opera che maggiormente si può ritrovare a prima vista in Lost River.

Non saprei bene dire perché effettivamente Gosling citi Cianfrance tra le sue influenze principali. Forse si tratta più che altro di stima verso un regista con il quale ha iniziato un fortunato sodalizio e che deve avergli insegnato molto sul set. O forse la sua influenza si ritrova tra le pieghe del lato più verosimile del film, in quella “fauna umana” disagiata e disperata che popola la stramba storia del suo esordio.

Però mi pare anche che il modello di riferimento principale sia più che altro un’intera fetta di cinema indie americano, soprattutto southern, che nasce con Harmony Korine. Gummo è precisamente l’opera che mi pare Gosling citi a mani basse, soprattutto per quel che riguarda la presenza di certi freaks che popolano la sporca cittadina dov’è ambientata la pellicola.

La storia sembra un indecifrabile caos allucinante tra sogno e realtà, ma di base è piuttosto semplice e si segue bene. Billy (Christina Hendricks) è una madre single con due figli, l’adolescente Bones (Iain De Caestecker) e il piccolo Franky. C’è il rischio concreto che tolgano loro la casa, che è poi quella in cui la donna ha sempre vissuto. Per poter pagare le rate, la donna accetta un lavoro in uno strano cabaret che la trasporta in un mondo “altro” tra il magico e l’allucinato.

Il locale è gestito da Cat (Eva Mendes), una donna che ha il gusto del macabro e del grand-guignol ed imbastisce spettacoli violentissimi e sanguinosi. Si rivelano alla fine sempre tutti dei trucchi, e il pubblico sembra apprezzare calorosamente. Siamo dalle parti del Club Silencio di Mulholland Drive e di Velluto Blu, e di certo David Lynch è una delle maggiori influenze del film (persino Fuoco cammina con me).

Intanto Bones vive la sua adolescenza con il desiderio di sfuggire da Lost River, che è il nome stesso della desolata cittadina rurale dov’è ambientato il film (gli esterni sono quelli di Detroit). La sua migliore amica è la vicina di casa Rat (Saoirse Ronan), nome non scelto a caso visto che la ragazza gira sempre con un topo in tasca. Entrambi sono spaventati dalla presenza per le strade di Bully (Matt Smith) e Face, due violenti e spaventosi bulletti che si credono i re di Lost River e girano su una macchina con tanto di trono.

Abbiamo citato finora Refn, Cianfrance, Korine e Lynch. Andiamo avanti. Se c’è Refn vuol dire che c’è anche un tocco di Jodorowsky. Nel club di Cat c’è invece molto di certo horror italiano anni 70-80, soprattutto le tonalità e i colori del cinema di Dario Argento (attenzione pure alla colonna sonora, un mix tra Argento e Carpenter) e Mario Bava. Contate poi che Rat in casa ha una nonna che è interpretata da Barbara Steele e il gioco è fatto. Nella parte finale invece si scorgono echi de La morte corre sul fiume.

Insomma: Lost River è un film-collage vero e proprio. Gosling ha dichiarato che ha fatto il film che avrebbe voluto vedere lui stesso al cinema da spettatore. È ovvio, visto che dentro c’è tutta la roba che più ama dal punto di vista cinematografico. Però guardando il film si incomincia pure troppo ad “indovinare” a voce alta a che film o che autore si riferisce l’omaggio, ed ogni volta è piuttosto prevedibile. Spostando il baricentro dalla storia del film, variante allucinata della fine del Sogno Americano, solo sulla questione estetica.

Come incubo allucinato e liquido Lost River troverà sicuramente i suoi fan. Tutti gli altri ne riconosceranno alcune qualità stilistiche (la fotografia è di Benoît Debie) e forse un immaginario eterogeneo e a tratti affascinante, ma lo bolleranno come un film-raccoglietore di (bellissime) immagini per le cover di Facebook.

Insomma: un puro disastro o un “interessante” disastro? A voi la scelta. Ma allora perché al contrario di molte operazioni simili, allo stesso modo presuntuosissime e confusionarie, questa in fondo non annoia? E perché siamo comunque curiosi che Gosling giri un altro film, e che magari sia più compatto?

Voto di Gabriele: 5.5
Voto di Antonio: 6

Lost River (USA 2014, noir / fantasy 105′) di Ryan Gosling; con Iain De Caestecker, Christina Hendricks, Ben Mendelsohn, Eva Mendes, Rob Zabrecky, Saoirse Ronan.

Festival di Cannes