Grace di Monaco: Recensione in Anteprima del film d’apertura a Cannes 2014
Una diva divenuta principessa, tra sacrificio e abnegazione. Nicole Kidman regge a fatica nei panni dell’eroina moderna in un mondo datato. Così come lo è il ritratto che ne fa Olivier Dahan in Grace di Monaco
Comincia come una favola, Grace di Monaco. Ma non è una favola: «la vera favola è credere che la mia vita sia una favola», si legge proprio all’inizio del film. Una di quelle attribuite a Grace Kelly, che di questo film ne è l’eroina indiscussa. Tanta, troppa retorica in Grace di Monaco: sul cinema, sulla storia, sugli eventi. Un film classico che tratta la questione attraverso una prosa patinata, poco incisiva a dispetto dell’innegabile sforzo produttivo.
Tutto si apre con un pianosequenza che mostra un periodo antecedente al tempo della narrazione, filtrato attraverso quello che potrebbe benissimo essere un ricordo nostalgico di una diva atterrata su un altro pianeta. Quel pianeta è il Principato di Monaco, tanto pure per una regina di Hollywood. Ed è proprio al confine tra queste due dimensioni che il film di Dahan si perde, approntando alcuni discorsi senz’altro condivisibili ma assolutamente privi di mordente.
Alfred Hitchcock in persona – o meglio, una sua caricatura – irrompe con la sua inconfondibile sagoma in un castello sfarzoso: è li per incontrare l’attrice del suo prossimo film, un certo Marnie. Dopo le immancabili raccomandazioni da parte dell’entourage della principessa, tra un vostra maestà e maestà soltanto, ecco che i due si incontrano. Grace, circondata da ciò che qualunque brava ragazza sognerebbe, appare stanca, amareggiata: Hitch, che è uno col pelo sullo stomaco, non si lascia scappare l’occasione e parte con la trattativa. A Grace il grande schermo manca eccome, solo che adesso è una principessa, ed Hollywood non è più posto per lei.
L’intera pellicola (come si diceva un tempo) è anche un claudicante tentativo di dar ragione di questa nostalgia, contrapponendo i desideri della donna Grace al codice della principessa. Chiamata a sacrificare sé stessa per le ovvie ragion di stato (pardon, Principato). E le ragioni sono forti, visto che in quel periodo il Principato di Monaco è sotto assedio politico, con la confinante Francia che esige tasse da quella che avverte come una propria pertinenza.
Qui si innestano più strati; oltre alla politica, il matrimonio, la carriera, i laceranti dubbi interiori. L’attenzione viene spostata con troppa disinvoltura da una sfera all’altra, costringendoci a non cogliere appieno la portata e le implicazioni di ciascuna di esse. Limite forte per una storia che così diventa solo un pretesto per mostrare il coraggio di una donna nell’ambito di un contesto cosi atipico nonché antico. Inevitabilmente ricorre infatti un timido rimando all’Ancien Régime, quando Grace, risolta e risoluta, realizza che le cose possono cambiare solo dall’interno; ed allora si tratta dell’ennesima parte in cui entrare, nonostante tutto anche stavolta a favore di camera.
Intrighi di corte, giochi di potere ed equilibri politici da un lato; travaglio interiore e sofferenza personale dall’altra. Mentre assistiamo a personaggi che vanno e vengono, lezioni di francese, luoghi comuni e lievi forzature quasi parodistiche di certi profili e di certi ambienti, perdiamo di vista la maturazione di Grace, che avviene sotto i nostri occhi eppure non ce ne accorgiamo nemmeno. Forse per via della succitata retorica, certo. Ma anche perché questo biopic è cosi “pulito” che il bel viso della sua protagonista in primissimo piano finisce col farsi emblema di un cinema purtroppo stantio, come oramai, piaccia o meno, lo sono certe strutture e certo modo di raccontarcele.
Voto di Antonio: 4,5
Voto di Gabriele: 3
Grace di Monaco (Grace of Monaco, USA, Francia, 2014) di Olivier Dahan. Con Nicole Kidman, Tim Roth, Frank Langella, Paz Vega, Parker Posey, Milo Ventimiglia, Geraldine Somerville, Nicholas Farrell, Robert Lindsay e Derek Jacobi. Nelle nostre sale da domani, giovedì 15 maggio.